10.

948 96 8
                                    

Lessi l'ennesimo paragrafo con difficoltà. Passarono altre ore, senza che me ne fossi accorto. Il rumore della penna che strisciava veloce sul foglio, mi bastò per restare concentrato. In quel caso, poco importava. Mai in tutto quel tempo mi era capitato di sforzarmi così tanto, e solo per uno stupido foglio. Dato il troppo lavoro, ero stato costretto a saltare il pranzo, cosa che non avrebbe pesato troppo sulla mia coscienza. Una "pratica" la quale avevo perso l'abitudine a parteciparvi. L'avrei sfruttato come scusa per ritirarmi nelle mie stanze, dedicandomi ai miei pensieri quotidiani. Inspirai l'odore pungente della carta, trovandoci del divertimento. Non avevo mai dato niente per scontato, si trattavo soltanto di un periodo fin troppo indaffarato. Con l'avanzare degli anni, gli impegni sembravano aumentare. Documenti su documenti. La fine decisamente lontana.

E il caldo asfissiante del pomeriggio inoltrato, non facilitava la mia concentrazione. Sperare di finire per il giorno dopo, equivaleva ad un'eresia. Tanto valeva lasciar perdere. Ancora con il capo chino sulla scrivania in mogano, uno scricchiolio colpì le mie orecchie. All'inizio il pensiero di sbottare e di cacciare fuori chiunque si fosse permesso di disturbarmi, mi aveva sfiorato la mente. Anche tanto. Poi decisi di lasciar perdere, così facendo mi sarei distratto maggiormente.

E questo non potevo permettermelo.

Senza alzare gli occhi dai mille fogli sparsi, feci un cenno di congedo con la mano, usando giusto due parole.«Sono occupato.»

La porta venne spalancata rivelando la figura di Youra. Lo sguardo perso, il quale si fermò in automatico su di me. Strinsi i denti, nascondendo la sorpresa di averla nel mio studio. A quell'ora, per giunta. Colto sul fatto, sospirai, infastidito dalla sua presenza. Direi un tempismo eccellente. Sostenni la fronte con la mano libera, mentre l'altra la lasciai penzolare al di fuori della finissima poltrona dov'ero seduto. Il male alla testa stava minacciando di ritornare; non potevo affrontarlo con lei presente. Sarebbe stato troppo da sopportare. Mi concessi due minuti di pausa. Lo scrupolo di sapere che cosa volesse, mi stava pregando di lasciarla parlare. Anche perché ne avevo bisogno.

Youra non si concedeva mai visite di cortesia, c'era sempre un motivo sotto per cui mi cercava. Per un momento, pregai si trattasse dei particolari per l'anniversario.

«Ti ho detto tanto volte di non entrare nel mio studio senza permesso.»proferii, mentre lei mosse i passi, sempre più vicina.

«Volevo solo vederti.»

Detto questo, alzò parte del vestito, in modo da potersi mettere a cavalcioni su di me. Spalancai di poco la bocca, non aspettandomi quel gesto. Che intenzioni aveva? Portò le mani lisce sulle mie guance, un sorriso di rivincita ad accompagnare il tutto. Scostò i lunghi capelli castani dalle spalle con l'unico intento di farmi godere della vista del suo seno, alquanto prosperoso.

«Non è una giustificazione.»

Schioccò la lingua contro il palato.«Posso fare ciò che voglio.»gli occhi iniettati di lussuria.

Credeva di potermi modellare a suo piacimento. L'impulso incontrollabile di spingerla via mi stava logorando dentro. Poi il cervello partì spedito, trovando una soluzione allettante. Perché non stare al suo gioco? Mi lasciai sfuggire un ghigno, e questo Youra l'aveva notato subito. Non sapeva cos'aveva provocato. Prima che potesse fare altro, le strinsi i fianchi in una morsa ferrea, sollevandola per poi sbatterla contro la scrivania, senza mai staccare il corpo dal suo. Alcuni documenti volarono via, rintanandosi in angoli imprecisi della stanza. Youra spalancò gli occhi, gemendo nel mentre, non aspettandosi tale impeto da parte mia. Abbassai di poco la testa, buttando fuori il respiro carico di risentimento che avevo trattenuto fino ad allora. L'espressione sognante sul suo volto mi faceva provare solo ribrezzo, ma dovevo resistere.

Strusciai i fianchi contro i suoi, e per sbaglio il membro sfiorò la sua intimità. Un altro gemito stridulo scappò dalla sua bocca. Quando cercò di allungare le mani per tentare di spogliarmi, afferrai i suoi polsi, bloccandoli sul posto.

Credeva sul serio che mi sarei prostrato ai suoi piedi?

Aveva gli occhi ridotti a due fessure.

Scossi la testa, alzando un sopracciglio.«Forse non mi sono spiegato.»

«Jungkook...»un altro singulto, stavolta più acuto dei precedenti.

«Se oserai di nuovo disobbedirmi, ti pentirai di avermi conosciuto. Sono stato chiaro?»le sussurrai, scandendo ogni singola parola.

Molte furono le maledizioni che puntò contro di me, definendomi un animale a sangue freddo. Magari aveva anche ragione. Degli insulti non sapevo cosa farne, dato che in tutto quel lasso di tempo ne avevo ricevuti innumerevoli. Riceverle da lei, rendeva la situazione più divertente.

JUST ONE NIGHT ― jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora