25.

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Buttai via un altro dei tanti manoscritti, ormai irrecuperabili. Hoseok, si occupò dell'altra ala.

Senza il suo aiuto ci avrei messo una vita. Voleva continuare con la storia delle indagini, diceva di non sentirsi tranquillo sapendo del pericolo che correva la mia famiglia.

E come se non bastasse, tra meno di quattro giorni, avrei accolto in casa mia uno spartano. Non era una cosa che capitava tutti i giorni.

L'angoscia per la sparizione di Clio e Aura aveva scosso tutti. Persino la servitù cercò di dare una mano nelle ricerche. Quando stavo per dare di matto, delle piccole ombre avevano fatto la loro comparsa. A quel punto non ci fu niente di più liberatorio di un sospiro di sollievo.

"Ha detto di chiamarsi Jimin."questo disse Aura, non appena le chiesi della garza messa accuratamente intorno alla sua gamba.

Quel nome così puro e funesto da riportare la pace dentro me stesso. Contro ogni moralità, lasciai perdere quella montagna di lavoro, tutto per una causa ben che sofferta. Non m'importò della mia reputazione, delle voci.

Conoscevo la strada a memoria, non fu questo il problema. Quello che mi preoccupava, era ciò che gli avrei detto una volta averlo avuto faccia a faccia. Tirarmi indietro era fuori discussione, perché senza pensarci due volte, spalancai cautamente la porta che mi aveva tenuto lontano da Jimin per troppo tempo.

Diversamente da ciò che mi sarei aspettato, il locale era vuoto. Nessuna anima la popolava, o almeno questo era quello che pensavo. Assottigliando lo sguardo, individuai la chioma bionda che mi aveva fatto perdere la testa fin da subito. Era seduto comodamente su uno dei divani rivestiti in velluto, un bicchiere stretto nella mano.

Fissò gli occhi nei miei, cercando di scorgere qualcosa in me che non aveva ancora visto.«Jungkook»tentò di mettere a posto la brocca che aveva furtivamente recuperato.«cosa ci fai qui?»

Magari Yoongi non c'era nemmeno, e lui ne aveva approfittato per rubare l'ultimo goccio di vino rimasto.

Chissà per quale miracolo.

Mi avvicinai, con cautela. La sua figura mi metteva comunque in soggezione, il suo profumo aveva iniziato a stordirmi.

«Volevo ringraziarti.»

Buttai fuori quelle parole, perché altrimenti sarei rimasto lì impalato a guardarlo. Non che questo fosse una gran fatica.

Bevve un'altra volta, indeciso se dovermi rispondere o meno. Forse stava cercando qualche sorta di alibi.

«Non ho fatto niente.»replicò lui, evitando il mio sguardo.

«Le hai riportate a casa»precisai, sottolineando l'ultima parola.«questo non lo definirei"niente."»

La sua raffinatezza mi aveva colpito per l'ennesima volta, e prima che potesse fare altro, catturai il suo braccio. Jimin sembrò essersi rifugiato nel suo mondo, a tal proposito, ritirò l'arto all'istante, come scottato da una fiamma.

«Posso fare qualcosa per te?»

Mi sorpresi da quel tono così formale, come se ad un tratto non ci conoscessimo più.

«Prima di tutto vorrei che mi guardassi.»lo richiamai, mentre lui continuò ad ignorarmi.

«E se non volessi?»

«Non lo capisci che sono attratto da te in un modo che nemmeno io riesco a capire?»

«Smettila.»ripeté lui, portando le mani alle tempie.

«Perché dovrei?»alzai il mento, imponendomi su di lui, come non avevo mai fatto.

Jimin sospirò e i suoi occhi, si legarono ai miei, creando di nuovo quella catena che ci aveva uniti fin dal primo momento. Quando avanzò, fino a portare le mie spalle a toccare il muro, vidi in faccia la sua verità. E non ci fu niente di più doloroso.

Come poteva un niente farti tanto male?

«Ti sei fatto un'idea sbagliata di me.»

Scossi la testa, in disaccordo.

«Fandonie.»

«Vattene.»

«Non me ne vado.»

Stanco di quei battibecchi inutili, portò le mani ai bordi della mia tunica, stringendo nei palmi il tessuto venuto da chissà quale parte del mondo. Se non l'avessi mai conosciuto, a quest'ora avrei sicuramente avuto paura di lui. Denti stretti a definire maggiormente la mandibola, il respiro pesante di chi si sente in trappola.

Forse stava cercando di trattenersi; glielo si leggeva in faccia. Con poche mosse, portò le mani ai miei fianchi, per poi spingermi contro un mobile dietro le mie spalle. Il tremolio che producemmo non mi fece staccare gli occhi dai suoi nemmeno per un attimo.

Mi sentivo una gazzella alla mercé di un leone affamato.

Affannato, e senza forze, piantai una mano sul suo petto.«Che cosa fai?»il suo battito fuori controllo.

«Voglio baciarti per tutte le volte in cui non te l'ho permesso.»

Il tempo delle chiacchiere era finito. E dopo istanti che sembrarono non passare mai, attaccò la bocca alla mia, in un chiaro segno di dominanza e bisogno.

JUST ONE NIGHT ― jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora