Studiai ogni più piccola deviazione, perché, proprio adesso, non potevo commettere errori. O me ne sarei pentito per gli anni a venire.
Non m'importava se il consiglio mi avrebbe sbattuto fuori, accusandomi di cattiva condotta. Per ora non m'importava di nulla.
L'unico pensiero il quale mi spronava a muovere i passi, era Jimin.
Vagavo, confidando in quell'unica certezza. Tirai all'indietro le redini, e Astéri arrestò il suo cammino. Probabilmente, anche lei aveva intuito dove ci trovassimo.
Non avevamo mai avuto la cattiva sorte di uscire fuori dalla nostra casa per approdare in una terra così ostile.
Avevo seguito la mappa nei minimi dettagli, anche durante il tragitto, perché la paura di sbagliare strada e di arrivare tardi, era un'eventualità che non potevo rischiare di correre. Superammo la densa palude con fatica, ma senza numerosi intoppi.
Diedi uno sguardo a quelle mura impotenti, anche se la nebbia m'impediva di scorgere altro. Appurai che Sparta avesse un bel problema da risolvere: il blocco caduto non dava via di scampo.
Per il momento, Atene poteva rilasciare un sospiro di sollievo. Non era ancora tutto perduto. Mi chiedevo che cosa fosse successo, ma ormai non potevo badare a quelle piccolezze. Avevo badato troppo a quel posto oscuro e tetro, per accorgermi che fossi arrivato a destinazione.
Stavolta, un piano per tutto non c'era. Eppure questo, non faceva parte del mio essere. Mettevo in preventivo anche le alternative. Ma stavolta il desiderio di riportare a casa Jimin mi aveva destabilizzato a tal punto da non riuscire più ad analizzare i pro e i contro.
Potevano chiamarmi pazzo, restava solo la consapevolezza che dovessi riportarlo indietro. Ci sarei riuscito, in un modo o nell'altro. Altrimenti, sarei morto provandoci.
Abbandonai la sella, consultandomi di tanto in tanto con la mappa. Raggiunsi in poco tempo il punto di non ritorno. L'imbrunire del cielo mi diede man forte, consigliandomi silenziosamente di sbrigarmi, perché le tenebre si stavano avvicinando.
Il suono di un corno squarciò l'aria, provocandomi un brivido di freddo lungo tutta la schiena.
Superai alla svelta un masso, spostandolo altrove, e passando attraverso un cunicolo di modeste dimensioni. Secondo Yoongi, questo passaggio era lo stesso che aveva usato anche Jimin. L'adrenalina cominciò a passare attraverso le vene, più veloce di prima. Non avevo idea di cosa stesse succedendo e non ci tenevo nemmeno a saperlo.
Scese un paio di scalinate, piuttosto strette, mi ritrovai in un grande corridoio. Il buio regnava sovrano, dato che in quell'area non erano state apposte candele. Mi presi un momento per tastare il pavimento, camminando piano, evitando di produrre rumori sospetti. Poi, senza capire come, la mia vista venne riempita dalla presenza di un grande salone imperiale. Le finestre dai motivi esagerati, gli specchi grandi il doppio di quanto ci si aspettasse.
Tutto di quella dimora rispecchiava Taehyung.
Avanzai, guardandomi intorno e concentrandomi. Per ora nessuno mi aveva visto, e questo fu un bene.
Nel momento esatto in cui ribadii a me stesso di non abbassare la guardia, ebbi davanti colui che mi aveva rovinato. Il re di Sparta, accompagnato da un soprabito in seta, stava ammirando il panorama notturno. Era sporto oltre il parapetto e mi dava le spalle.
«Avevi tanta voglia di vedermi?»mi chiese proprio lui, non muovendosi di un centimetro.
Mi pietrificai sul posto, preso alla sprovvista. Strinsi il labbro inferiore tra i denti, intensificando la presa quando vidi i suoi occhi profondi.
Come diavolo aveva fatto?
Cercai di mantenere il respiro imparziale, per quanto mi fu possibile.«Sei un illuso.»replicai.
«Conosco bene il motivo per cui sei qui.»
«Sentiamo.»
Appoggiò la schiena al marmo, seguito dalle mani, trovando una posizione comoda. Mi guardò dall'alto in basso, come se non fossi degno delle sue attenzioni.
«Sei qui per pareggiare i conti.»
Si mosse in avanti, per niente intimorito, anzi a tratti, lo vidi anche divertito. Presi atto di ciò, e in sincrono, indietreggiai, pensando ad un'alternativa. Nel frattempo, analizzai il suo abbigliamento, realizzando che non avesse armi.
«Sono qui per Jimin»precisai, muovendo i passi insieme ai suoi.«ma sì, anche per quello.»
«E chi ti dice che sia ancora tra di noi?»
Sapevo che stava mentendo.
Mi ero preparato a questo tipo di scontro. Pensava di fare leva su Jimin per farmi deconcentrare. Si vedeva lontano un miglio che non mi conosceva affatto.
«Non gli faresti mai del male.»
A quelle parole, una piccola smorfia stropicciò la sua bocca, cercando un modo per non esporsi troppo.«Mi domando come ha fatto a provare interesse per uno come te.»
Se mi fossi trovato in un'altra situazione, sarei scoppiato a ridere.
«Chiamala coincidenza.»
«Le volte in cui ho pensato che non potessi più godere della sua vista, mi rattristava parecchio...»disse, inclinando la voce in un tono falsamente triste e nostalgico.
Non volevo sentire oltre. Il tempo dei giochi era finito. Con passo frenetico e irregolare, gli fui vicino. I buoni propositi persi.
Lo colpì con un pugno al viso, facendogli perdere l'equilibrio, ma lui trovò appoggio su un divanetto, posto poco distante.
«Continua a sognare.»
Non aspettai una sua mossa, e mi chiesi il motivo del perché non avesse ancora chiamato le sue guardie. Gli sferrai un calcio all'altezza dello stomaco, e lui grugnì in risposta, contorcendosi a terra.
«Quanto sei patetico.»rise, come se davvero potesse trarre beneficio dal dolore che gli stavo infliggendo.
«La pagherai per tutto ciò che hai fatto.»dichiarai, pronto a tornare all'attacco.
Ma lui fu più veloce. Passò la gamba libera vicino alle mie caviglie, facendomi cadere rovinosamente all'indietro. Issai il peso sui gomiti, cercando di alzarmi, ma Kim piegò il busto in avanti, spingendomi all'indietro con il suo corpo.
«Tu dici?»sussurrò lascivo al mio orecchio, e per tutta risposta ringhiai davanti ad una possibile resa.
Non se ne parlava.
Portò velocemente le sue mani al collo, stringendole con una forza innata, impedendomi di muovermi.
La sua risata fu l'unico rumore che riuscii ad avvertire.«Muori, muori, muori.»ripeté, lo sguardo più demoniaco.
La vista iniziava ad offuscarsi, la presa diventava secondo dopo secondo sempre più stretta. Boccheggiavo, alla disperata ricerca d'aria.
Me ne sarebbe bastato anche un minimo. Lasciai la presa sui suoi polsi, avvertendo la vita allontanarsi. Pensai che fosse finita davvero, fin quando una freccia non sfiorò di poco la guancia di Taehyung.
Una goccia di sangue corse via dalla sua pelle, cadendo sulla mia. Vedere puro stupore nella sua espressione, fu più che sufficiente.
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JUST ONE NIGHT ― jikook
FanfictionGrecia, 433 a.C. In quel tempo ogni forma d'arte stava incontrando la propria evoluzione, senza nessun tipo di freno. E gli uomini non potevano niente contro il volere imposto dal fato. Ciò che doveva compiersi era già stato scritto. In origine, fu...