18.

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L'insofferenza mi aveva portato ad abbandonare quella baraonda, non prima di aver recuperato un bicchiere di vino. A passo fiacco, raggiunsi la terrazza. Poggiate le mani sul davanzale, presi ad ispezionare il cielo, ormai nero e arricchito da qualche stella sparsa qua e là. A volte mi domandavo quanti corpi celesti potesse ospitare. Vedevo tutto ciò come una sfida, come se qualcuno ci stesse imponendo di superare i nostri confini. E qui entrava in gioco il ruolo dell'enigma: non sapere mai fino in fondo cosa ci circondava e cosa sarebbe successo nel domani che verrà. Gli Dei ci stavano invidiando proprio per questo. Non avrebbero mai potuto avere la nostra fortuna, quella di gustarsi al meglio ogni tipo di sensazione.

Con quella concezione ancora vivida nella testa, mi concessi un generoso sorso. Non esisteva niente di meglio che quella bevanda per rabbonire il mio stato d'animo.

Una voce allegra, venne a reclamarmi. Un Hoseok raggiante fece la sua comparsa.

«Ti ho trovato!»mi richiamò, preso dall'euforia.

«Che succede?»

«Vieni»mi scosse con un braccio, esaltato.«o ti perderai lo spettacolo.»

«Quale spettacolo?»

Hoseok fece spallucce, probabilmente sapendone quanto me. Prima che mi trascinasse dentro, mi ricordai di portare con me il bicchiere. Ancora pieno. Sarebbe stato un peccato sprecarlo. Tornammo alla festa, facendo finta di non esserci allontanati. Avrei rimpianto quel cielo per il resto del tempo. Gli invitati ora, erano stati pregati di spostarsi all'esterno. Mi accomodai al divano in pelle, con la consapevolezza che Youra fosse già lì. Pronta a godersi lo spettacolo insieme al sottoscritto. Hoseok invece era corso via, avvicinandosi a Daphne, la quale era rimasta in disparte. Almeno lei sarebbe stata in buona compagnia. Youra mi guardò per un attimo, e stranamente non mi bombardò di domande. Come suo solito. Bastava il suo profumo per riempirmi il petto di angoscia e irritazione. Feci finta di niente, anche se il desiderio di portarla via per urlarle contro, stava avendo la meglio su di me. Un silenzio tombale però, mi bloccò da farlo. Stavo diventando nervoso, e quando accadeva, diventavo ingestibile. Non sapevo cosa aspettarmi, ma presto l'avrei scoperto. Mancava poco.

Una figura scura camminò tra la folla, facendosi spazio e attirando su di se l'attenzione di ogni presente.

«Mi chiedo se sarà di tuo gradimento.»sussurrò, istigandomi per vedere quando avrei abbandonato la maschera del marito devoto.

Portai la mano in alto, intimandola di chiudere la bocca. Incrociai le gambe e con l'altra mano, portai il bordo del bicchiere alle labbra, non prima di aver chiuso il discorso con delle semplici parole.

«Non voglio sentirti.»

Poi degli uomini con dei tamburi fecero il loro ingresso, battendo le mani a tempo sulla superficie liscia dello strumento. La testa, a quel punto, mi trasportò indietro a quella notte.

Cosa diavolo ci fai qui, Jimin?

Una volta uscito allo scoperto, notai un particolare che mai mi sarei aspettato. In mano, reggeva una torcia infuocata. Portava una camicia logora, la quale apprezzai perché copriva quel corpo che ormai avevo dichiarato essere mio. Seguì le percosse dei tamburi, muovendosi in quello spazio ristretto. Nonostante fosse circondato da estranei, lui continuava a librarsi in aria. Ruotò il bacino, e con la mano, fece lo stesso con la torcia, creando dei cerchi di fuoco. Poi mi sorprese, lanciando in alto l'arnese e in automatico strinsi i denti, preoccupato per la sua incolumità.

In tutto quel tempo, Jimin non mutò la sua espressione. Rigida e concentrata. Trovai questo a dir poco eccitante. Mancava poco e il suo corpo sembrava pronto per spiccare il volo. Sarei stato capace di guardarlo giorno e notte, senza stancarmi mai. Poi qualcuno dietro di lui, gli passò velocemente una borraccia, la quale lui prese in automatico. Buttò giù il contenuto, senza deglutire, mentre altri esprimevano tutta la loro meraviglia. Fatto questo, avvicinò la bocca alla fiamma, e sputò fuori il liquido, producendo così una lunga scia di fuoco, stando attento a non bruciare nessuno.

Nello stesso momento, la musica cessò. E un altro applauso venne liberato. Più forte dei precedenti. Come atto finale, non poteva fare di meglio. I lunghi orecchini(probabilmente finti)che pendevano dai suoi lobi, vibrarono insieme al petto. Respirò piano, realizzando cosa avesse appena fatto. Dopo che la folla venne sparpagliata per tornare all'interno, qualcuno, incuriosito dallo straniero, rimase ancora un po' lì, sperando di poter sapere di più. Magari di ricevere per sbaglio un suo sguardo. Contrario a ogni preghiera, Jimin tornò a fissarmi, come se esistessimo solo noi due. Noi due e nessun altro.

Schiuse di poco la bocca per concedersi l'ennesima boccata d'aria, troppo affaticato dal ballo in cui ci aveva deliziato poco prima. 

JUST ONE NIGHT ― jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora