15.

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Seokjin's pov

Avevo mantenuto il capo basso per tutto il viaggio. Quella stessa notte avevo dato fuoco alla lettera – un chiaro segno d'invito – che mi era stata fatta recapitare d'urgenza, per poi montare a cavallo. A giudicare dalle parole scritte in codice, non c'erano problemi in vista. Il padrone voleva vedermi. Il rischio poteva annidarsi ovunque, e di certo non potevo farmi abbindolare dalla frenesia. Di tempo per organizzare il piano ne avevo a sufficienza. Le poche anime pie, le quali godettero della mia figura, non mi intralciarono. Per la maggior parte, si trattava di mendicanti o di uomini fin troppo brilli, usciti da qualche taverna. Poi, senza che me ne accorgessi, mi ero ritrovato fuori da Atene. Le guardie poste davanti all'entrata di quel palazzo così incontaminato, non avevano opposto resistenza; le mie visite nella capitale spartana erano aumentate a dismisura. Operavo nell'ombra, come un serpente che strisciava nella siepe, pronto per attaccare.  Le varie tribù di cui prima avevo il monopolio, stavano dando segno di cedimento. Jungkook aveva imparato presto come convincerli a passare dalla parte giusta.

Non potevo permettere ad un insulso ragazzino di potermi umiliare davanti ai miei corrispettivi: ne andava della mia reputazione di ferro. Ben presto, sarebbero cambiate molte cose. Mossi l'alfiere di un passo, già fantasticando sul resto. Dopo aver rifiutato cordialmente un bicchiere di buon vino, il sovrano di Sparta mi aveva cordialmente offerto di metterci comodi. Avevamo molto di cui discutere. Proprio l'anno precedente l'ennesima conquista, la schiera persiana aveva minacciato di demolire il suo popolo. Tante furono le previsioni di una disfatta totale, ma nonostante fosse appena salito al trono, il ragazzo si era dimostrato di essere degno del suo nome. Era noto per la sua furia, e anche per il fatto di non possedere alcun nemico che avesse avuto la malsana idea di provocarlo. Chi parlava senza il suo permesso o per suo merito, teneva poco alla propria testa.

«Sono in vantaggio, vostra grazia.»lo derisi, mentre lui rimase impassibile.

Era raro che prendesse atto di una sconfitta. Era spietato sia in campo militare, sia per quanto riguardassero delle semplici esecuzioni. I suoi occhi attenti ai dettagli, tornarono a fissarmi, come se non riuscisse a farne a meno. Le lunghe dita affusolate, dotate di un colore olivastro, – tipico di quelle zone – vennero piegate all'ingiù, verso la prossima pedina da spostare.

«Non cantare subito vittoria.»

«Non l'ho fatto.»precisai.

Avvertii le sue parole pronunciate in tono grave, segno che il tempo del divertimento fosse concluso.

«Spero tu abbia buone notizie per me, Seokjin.»proruppe l'altro.

Mi schiarii la gola, aspettandomi una domanda del genere da parte sua.

«Ci sto lavorando.»

Un cavallo a destra e la mia regina in salvo. Potevo farcela. Non era tutto perduto.

«Perché questo suona come un altro dei tuoi temporeggiamenti?»

Scrollai le spalle, preso in fallo.«Diciamo che ci sono stati dei problemi.»

«Nulla di grave, presumo.»

Scossi la testa, alternando lo sguardo da lui alla scacchiera.

«C'è solo qualcuno nella mischia che non riesce a stare al suo posto.»rivelai, concentrato sulle restanti possibilità.

«Il figlio del bastardo che ha osato sfidare mio padre?»tuonò lo spartano, sorpreso di averlo sentito nominare ancora.

Per di più in casa sua. Annuii, certo di averlo stuzzicato fin troppo. Un grosso errore da parte mia.

«Proprio lui.»

Il re di Sparta tacque per un minuto, preso dalle sue riflessioni. Due torri poste ai fianchi del mio campo, un groppo in gola che si formava sempre più con insistenza.

«Ti darò altro tempo, ma solo perché sei il migliore»pronunciò, accrescendo di più il mio ego smisurato.«ma fa attenzione Seokjin, la mia pazienza ha un limite.»

«Presto potrai portare a termine la tua vendetta.»

«Stanne certo.»replicò, spostando da un lato, una porzione di capelli, finita per sbaglio sulla fronte.

Poi un tonfo grave mi riportò amaramente alla realtà, e niente poteva avere più importanza. Dovevo agire, e alla svelta.

«Scacco matto.»

Il rumore della pedina in ceramica caduta a terra, e la sua risata sinistra erano l'equivalente per la mia rivendicazione. Mi ero ritrovato in trappola senza saperlo, mangiato dalle fatalità che io stesso avevo dato per scontate. Un sorriso che non prometteva nulla di buono, e fu troppo tardi per tirarsi indietro. Il patto di sangue doveva chiudersi nel modo più brutale possibile.

JUST ONE NIGHT ― jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora