L'aria fresca mi dava man forte, nonostante non ne avessi bisogno. Che ascoltassero pure – pensai; questo non intaccava per niente la mia reputazione. Anzi, per certi versi, la valorizzava.
Non avrei aspettato il tramonto. Non avevo un motivo valido per farlo. Avevo seguito le tradizioni solo perché fosse giusto. Ma in verità non esisteva niente di più noioso nel farlo. Il cambiamento del cielo era evidente, ne ero quasi impaurito. Le nuvole stavano assumendo un colorito strabiliante. Dal manto bianco e puro, aveva assunto una sfumatura rosata. La stanchezza stava cercando con ogni mezzo di ghermire la mia testa, già martoriata a dovere.
Non potevo permettermi di cedere. Da quando l'assemblea era stata sciolta, la rabbia continuava a circolare nel mio sistema; Hoseok aveva cercato invano di farmi ragionare, m'implorava di essere più razionale. Non voleva che la faccenda degenerasse. Il bene che ci legava avrebbe prevalso anche su questo. Stavolta sarebbe stato meglio metterlo da parte.
La collera che avevano scatenato quelle parole era troppo forte da tenere a bada. Tenni ben saldo l'arco tra le mani, le dita strette intorno agli assi e la corda sottile tirata fino all'estremo. Chiusi un occhio, mirando all'obiettivo. Scoccai l'ultima freccia, liberando anche il respiro, ormai trattenuto da troppo tempo. Colpito il bersaglio, non m'importò del resto. Ma era come se non fosse abbastanza. Cosa mi mancava? Stavo reprimendo l'ira che minacciava di venir fuori in un solo palpito. Poi una voce familiare, mi distolse dai tormenti. Una sagoma a me familiare, mi stava osservando da un bel po'. Mi chiedevo proprio quando avrebbe fatto cadere la sua copertura. Tutto considerato, la mia dolce sorellina non si smentiva mai. Corporatura asciutta e minuta, capelli biondo scuro, lasciati liberi di svolazzare grazie all'intervento del venticello leggero. Quando voleva, sapeva come poter diventare irruente. Peggio di una tempesta.
A braccia conserte, mi squadrò dalla testa ai piedi. La spalla poggiata ad una colonna di marmo.
«Non credi di esagerare?»mi domandò, in tono ironico.
Si preoccupava fin troppo, anche se non potevo biasimarla. Poteva prevedere ogni mia mossa. Con poco, riusciva a capire cosa stessi per dire. Bastava che mi guardasse negli occhi ed il gioco era fatto.
«Non esagero affatto.»
«Hai una brutta cera.»constatò poi, senza il bisogno di avvicinarsi.
«Daphne,ti prego»alzai gli occhi al cielo.«mi ricordi nostra madre.»
«È forse un male?»mi rimbeccò lei, falsamente offesa.
Scossi la testa, in disapprovazione. Non poteva immaginare quanto tenessi a lei. E per questo non volevo che si preoccupasse inutilmente per me. Posai lo strumento di caccia nella sua custodia, sospirando a causa della troppa empatia.
«Sai quanto sia impegnato, soprattutto in questo periodo di caos.»
Daphne a quel punto, non disse nient'altro. Al contrario, fece la cosa più semplice di questo mondo: mi diede un abbraccio.«Ti ricordo che oltre a ricoprire un ruolo importante in politica, sei anche mio fratello»bisbigliò amorevolmente al mio orecchio.«non dimenticarlo.»
Curvai le labbra all'insù, colto alla sprovvista e stringendole la vita.
«Non lo faccio mai.»
Una volta essersi allontanata di poco, giusto per rivolgermi un sorriso, la sua espressione mi fece pensare che ci fosse dell'altro sotto. Non ero mai stato bravo a nascondere le emozioni. Specialmente in sua presenza. Ero un libro aperto.
«Sarà un bene.»concordò alla fine lei, pronta per un altro round.
Tentai di sviare il discorso, portandolo in un campo più sicuro. Almeno fino a quando le acque non si fossero calmate.
«Le bambine?»
Ad un tratto, sentimmo in lontananza dei passi veloci avvicinarsi, e l'intuito mi aveva concesso un suggerimento. Non potevano che essere le due pesti che rendevano le mie giornate meno faticose del normale. Sbucarono senza preavviso, come se fossero state richiamate dalle mie parole. Le andai incontro, con un sorriso a trentadue denti. La loro spensieratezza mi dava un motivo in più per non cadere nel baratro totale. Mi piegai sulle ginocchia, accogliendole nelle mie braccia. Oltre a condividere lo stesso gene dalla nascita, condividevano anche la stessa sfortuna. Figlie senza un padre(mai conosciuto), andato via troppo presto a causa della guerra.
«Ecco le mie principesse.»
Arrivate entrambe ai miei piedi, fecero un salto, catapultandosi nelle mie braccia per ricevere una stretta dalla quale non si sarebbero staccate tanto facilmente. Vedere quanto fossero cresciute, quasi mi sconvolse. Daphne non poteva apparire più intenerita a quella scena.
Clio fu la prima a lamentarsi in un modo assai adorabile.«Ci sei mancato tanto, zio.»
Lasciai un bacio sulle loro fronti, in segno di scuse.
«Anche voi mi siete mancate.»
Aura mise subito in chiaro le cose, non facendosi scappare i particolari del suo piano.
«Dovremo recuperare il tempo perso.»
«Decisamente!»concordò Clio, mentre Aura strinse maggiormente le braccia sottili intorno alle mie spalle.
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JUST ONE NIGHT ― jikook
FanfictionGrecia, 433 a.C. In quel tempo ogni forma d'arte stava incontrando la propria evoluzione, senza nessun tipo di freno. E gli uomini non potevano niente contro il volere imposto dal fato. Ciò che doveva compiersi era già stato scritto. In origine, fu...