L'alba mi aveva strappato al conforto troppo presto. Era ingiusto, per chi come me stava cercando una via di fuga per non affrontare le proprie difficoltà. Prima o poi sarei dovuto ritornare nella mia dimora. Non potevo scappare. Toccai con un dito la base del collo, avvertendo un tremolio sotto pelle. Il suo ricordo, ora più vivido che mai. La verità era che avevo delle responsabilità a cui badare. Con l'andare avanti, quel "peso" non si affievoliva mai.
Anzi, sembrava volesse aumentare in modo esponenziale, non volendo concedermi tregua. Gli editti non si organizzavano da soli. E lo straniero non rientrava in esse. La testa mi consigliava di prenderla più alla leggera, di non affrettare troppo le cose. Ma un'altra parte mi diceva di smettere di rincorrere i fantasmi. Che cosa stavo cercando? Dovevo uscire da quella bolla. Se riuscivo a concentrarmi, magari potevo anche uscire dal labirinto. Tutto quel pensare non mi faceva bene. Mi ero distratto talmente tanto da sentirmi vuoto. Troppo preso da qualcosa che appunto, mi aveva trasportato in un'altra realtà. Quella notte mi era sembrata non finire mai. Come avrei potuto dimenticare il suono di quella voce così ammaliante?
Continuava a esistere nella mia testa. Hoseok era come scomparso, come inghiottito dalla terra. Stavo iniziando a preoccuparmi. Poi l'idea che fosse rimasto al bordello, mi riportò un po' di calma. Attraversai il cortile di quella villa che mi aveva visto nascere e crescere, non facendo caso alle faccende svolte dalla servitù. Arrivato allo scorcio del corridoio principale, le solite guardie, mi fecero un cenno col capo, lasciandomi passare per raggiungere le mie stanze.
Con entrambe le mani spalancai le porte che mi separavano da quello che mi aspettava. Ovvero la donna con cui ero stato costretto a passare metà della mia vita. Trovarla seduta davanti allo specchio non mi stupì. Era una delle sue tante abitudini. Sperava che magari un giorno l'avrei vista con occhi diversi, che magari iniziassi a provare qualcosa per lei. Avevo provato a non espormi troppo, non mi fidavo del suo aspetto cordiale. Youra sapeva come prendere le persone, e questo nel tempo aveva sviluppato la sua tecnica di manipolazione. Poteva farlo con tutti, tranne che con me. Per una fortuna sfacciata, il ruolo che ricoprivo assorbiva tutte le mie energie e spesso e volentieri mi addormentavo nel mio studio, ricoperto da mille documenti da leggere e visionare.
Si voltò verso di me con uno sguardo da falsa indifferente.«Sei in ritardo.»disse, con una nota di astio che m'infastidì terribilmente.
Abbassai di poco il capo, cercando di apparire desolato.«Mi scuso.»
«Le tue scuse non mi bastano.»
«Che vuoi che ti dica?»
Strinse nella mano un lembo del suo vestito, rigorosamente bianco, dopo avermi rivolto le spalle. M'incolpava di tutto, anche del mio disinteresse dell'avere un figlio. Ormai erano più di quattro anni che quella storia andava avanti. Avevamo provato di tutto, anche un sacrificio al mese agli Dei. Ma niente, Youra non avrebbe mai concepito un figlio. E scaricava su di me questa sua sventura, la quale – in un certo senso – era anche la mia.
«Lascerò il patrimonio a Clio e Aura.»
Pensare che un giorno le mie splendide nipoti avrebbero vissuto senza alcun problema, rendeva la sopportazione meno faticosa del normale. Ma Youra non avrebbe mai imparato il significato di perdere. Incrociò le braccia al petto, mettendosi sulla difensiva.
«Sai bene che non le ho mai considerate come mie figlie, quindi non credo sia giusto.»
Uno scatto ardente mi lacerò la testa, impedendomi di agire con razionalità. Con pochi passi, azzerai la distanza e le strinsi il polso in una morsa ferrea. Non volevo sentirmi parlare in questo modo, soprattutto da quella donna la quale ero costretto a condividere il letto ogni volta. Questo poteva bastare. I suoi occhi di ghiaccio si bloccarono sulla mia figura, impaurita. La strattonai in avanti, avvicinandola a me. Dovevo mantenere la calma, o avrei fatto qualcosa di cui mi sarei pentito per tutta la vita.
«Per me è come se lo fossero»sputai, indispettito.«perciò non azzardarti mai più a parlare in modo sconsiderato.»
Questa volta non m'importò vedere una sua reazione. Non mi serviva sapere cosa ne pensasse al riguardo. La sua opinione non doveva contare nulla.
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JUST ONE NIGHT ― jikook
Fiksi PenggemarGrecia, 433 a.C. In quel tempo ogni forma d'arte stava incontrando la propria evoluzione, senza nessun tipo di freno. E gli uomini non potevano niente contro il volere imposto dal fato. Ciò che doveva compiersi era già stato scritto. In origine, fu...