17.

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Occhi che non riconoscevo. Ecco ciò che mi si presentava davanti, ad un soffio dallo specchio in cui la mia stessa immagine veniva riflessa. Quanto sarebbe stato bello potersi nascondere dietro a quell'insulso pezzo di vetro, sfuggire alle proprie responsabilità. La mia vita era composta solo da impegni, e per quanto volessi scappare da essi, faticavo a trovare la porta giusta. O quanto meno, una via d'uscita che avesse fatto al caso mio. Rimossi una ciocca dalla tempia, la quale stava per finire accidentalmente sull'occhio. Diedi un ultimo sguardo al pavimento e munito di quel poco coraggio, uscii fuori dalla mia stanza, dirigendomi in quella di Youra. Molti degli invitati i quali si stavano apprestando a raggiungere casa nostra, avevano accettato con garbo l'invito che pochi giorni addietro erano stati recapitati alle loro porte. Non sarebbe potuto essere diversamente, come da tradizione. Il fracasso e il chiacchiericcio al piano inferiore però, mi dava già sui nervi; indossai il mio abito migliore, anche se avrei potuto farne a meno.

Prendendo un lungo respiro, e facendo appello al buon senso, raggiunsi repentino la porta della stanza (poco distante dalla mia). Il brusio all'interno mi fece rendere conto che molto probabilmente la sua preparazione non era giunta al termine. Del resto, chi avrebbe mai potuto biasimarla se per quelle sera il suo unico scopo sarebbe stato apparire impeccabile come fedelissima moglie di una delle personalità più influenti di Atene? Bussai alla sua porta, quindi. Con tono deciso. Una voce che non riconobbi, mi giunse alle orecchie. Dopo averne preso consapevolezza, entrai. Allungai il collo, individuando Youra seduta comodamente sul divanetto al centro della camera, circondata da oli preziosi e da tutte le ancelle a sua disposizione, intente ad aggiustarle il lungo vestito in raso color argento. Evitando di creare pieghe o peggio, di rovinarlo. Altre invece, le stavano ossessivamente pettinando i lunghi capelli scuri, solo un paio di ciocche ribelli furono sistemate in alcune trecce. 

«E' ora.»le ricordai, notando come le ancelle si stessero allontanando, man mano che il sottoscritto si avvicinava alla padrona di casa. 

Youra, a quel punto, mosse le braccia in avanti, mostrandomi i tanti bracciali in oro che portava dal polso fino a su. Ero stanco di quell'atteggiamento infantile, ma ero così abituato a mentire che non ci facevo più caso. L'irritazione che reprimevo da un po' tentò in qualche modo di celare il disgusto che quella donna mi provocava. Ne ignorai lo sguardo furbo e schivo, soltanto perchè mille altri pensieri stavano affollando la mia testa.

«Non mi trovi più bella del solito?»un sorriso spuntò sul suo viso, con l'unico intento di farmi cedere.

A quella domanda, le ragazze sembrarono essersi congelate sul posto. Quelle parole, non so come, bloccarono ogni loro movimento, come se fossero in attesa di un verdetto. Capii subito cosa avesse in mente: era troppo chiaro. Il suo scopo era dominarmi davanti ad altri occhi, mostrare che non fosse piegata al mio volere. Doveva ancora digerire la calunnia che le avevo riservato. Abbozzai un sorriso, prestandomi al suo gioco. Piegai la testa in avanti, in segno di apprezzamento.

«Vi trovo in splendida forma, mia signora.»

Dopo ciò, a Youra bastò battere le mani per far scappare via tutte. Fatto ciò, fece un passo in avanti, questa volta nessun timore nello sguardo. Poggiò la mano sul mio petto. Prepotente.

«Dovevo aspettare il nostro anniversario per vederti così cordiale nei miei confronti.»sussurrò, sprezzante, convinta che sarei stato tanto stupido da assecondarla.

«Non ti ci abituare.»

Detto questo, afferrai il suo braccio, portandolo sotto al mio, in modo da tenerlo ben saldo. Raggiunto il salone principale, abbellito ora dall'argenteria che non era mai stata esposta al pubblico sino a quel momento, la grande folla ci accolse con un grande boato, seguito poi da un applauso. Non ero abituato a tutte quelle moine, solo per un evento comune, esattamente come tutti gli altri. A Youra invece, piacque da morire. Fu come se fosse ella stessa la protagonista, che per certi versi tutta quella gente di cui non conosceva nè il nome e nè la provenienza, fossero lì soltanto per lei. E per ammirarla. Troppo egocentrica per non ammetterlo. Le corde di una lira vennero pizzicate, dando vita ad un suono limpido e puro, dando il segnale ai servitori di poter incitale gli ospiti a bere e a deliziarsi quanto volessero. Le danze erano ufficialmente aperte. Altre risate si unirono alla baldoria, ed io non potevo solo che provare tanta invidia per tale spensieratezza. La prassi, inoltre, richiedeva un giro di saluti per ogni membro del consiglio. Scambiammo qualche aneddoto sui prossimi restauri, sulle nuove tasse da mettere in vigore, anche per le prossime stagioni. Si parlò del raccolto precario, delle attività commerciali che nell'ultimo periodo avevano subito una battuta d'arresto. Segno di una crisi evidente nel settore. Ma anche sull'abolizione di pene altrettanto inutili per quei tempi. Atene aveva bisogno di una ripulita radicale, e per farlo dovevamo partire dalle radici.

«Jungkook, che magnifico rinfresco.»esclamò un altro consigliere, indicando con un dito alcuni boccali di vino alle nostre spalle.

«Dovete ringraziare mia moglie per questo.»

«I miei omaggi.»replicò quest'ultimo.

Il silenzio di Youra mi stava preoccupando. Conoscendola, prima o poi avrebbe parlato di qualcosa di poco appropriato. Fece un piccolo inchino, tornando a concentrarsi su di me.«Oh, la ringrazio infinitamente.»

L'uomo non ci fece caso, d'altronde. Passò poi a me, alleggerito dal fatto che il vino venisse servito in quantità esagerate.

«Ci sono novità?»

«A cosa vi riferite?»domandai, poi.

«Non vedo ancora nessun giovanotto correre nei dintorni.»aggrottò la fronte, fingendosi preoccupato della nostra situazione familiare.«ovviamente siete ancora giovani, ma spero in nulla di grave.»

Aggrottai le sopracciglia, colpito dell'orgoglio. E avrei anche risposto a tono se Youra non si fosse messa in mezzo. La vidi alzare il mento, mettendosi sulla difensiva.

«Non sono tenuta a sbandierare ai quattro venti un mio possibile stato di gravidanza.»

Detto questo, sparì tra la folla di gente, mischiandosi con essa. Spalancai di poco la bocca, sentendomi offeso in prima persona per quel breve scontro.

«Vi prego di perdonarla, ultimamente è molto nervosa.»

Per grazia divina, si ritrovò a concordare anche lui sulla mia tesi.«Non dovete scusarvi. Capisco perfettamente.»

Faticavo ancora a credere che si fosse comportata in quella maniera. Le avevo ribadito più volte di rimanere al suo posto e per l'ennesima volta aveva fatto di testa sua. Non sarebbe finita qui.

JUST ONE NIGHT ― jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora