14.

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Il mattino si era presentato troppo in fretta, ed io volevo solo che quel profumo tanto soave rimanesse attaccato ancora alla mia pelle. Il cinguettio dei passeri mi strappò a quel tepore dov'ero sprofondato. Dopo un lungo lasso di tempo, mi decisi ad aprire gli occhi. Il soffitto era sempre al solito posto, le pareti colorate di quel bianco che solo a guardarlo faceva male. Ero sempre stato un bambino affetto da troppa curiosità. Qualunque cosa mi capitasse tra le mani dovevo tenerla abbastanza tempo con me, in modo da poterla capire meglio. E guai a chi me la portasse via. Non potevo negare che in un modo o nell'altro, quell'atteggiamento capriccioso non era mai andato via. Il fatto di non aver accanto la presenza opprimente di Youra, mi bastò per svegliarmi con il buon umore. Stavolta era diverso. Portai le mani chiuse a pugni sugli occhi, stropicciandoli brevemente. Riempii il petto di aria fresca, rilasciandola poi dalle narici. Mugolando nel mentre. Un calore nuovo mi aveva accompagnato nel processo. La piccola finestra spalancata e la voglia di alzarsi pari a zero.

Quando aprii entrambi gli occhi, una voce soave e roca al tempo stesso mi fece rinsavire.«Ti sei svegliato.»

Mai note più belle furono suonate. Pronunciate quelle parole, fu veloce il movimento della testa, la quale seguì la sua voce per poi incontrare il suo viso. Spostai di poco la coperta, e ciò che mi aspettò, fu tre volte meglio di un tramonto di fine estate.

 Spostai di poco la coperta, e ciò che mi aspettò, fu tre volte meglio di un tramonto di fine estate

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I suoi capelli svolazzavano, colpa del venticello mattutino. Il chiarore dei suoi occhi sapeva come fare breccia nei miei. Il mistero celato nelle sue iridi era troppo forte per abbatterlo al primo tentativo. Per non parlare delle sue labbra.

«Perché sei qui?»tentai, sviando lo sguardo.

Non mi aspettavo di trovarlo a pochi centimetri. Se avessi continuato il contatto, non ci sarebbe stato scampo. Rischiavo di saltargli addosso, e in tutto questo erano passate pochissime ore.

Deglutii, tentando di non farmi beccare. Jimin sembrava aver capito il mio disagio, perché fatta quella domanda, gli angoli della sua bocca si piegarono all'insù. Un sorriso radioso mi diede il "buongiorno" ,e non potevo sentirmi più onorato di così.

«Aspettavo che ti svegliassi»ripeté, come se fosse una cosa normale.«non sono abituato a fare colazione in compagnia, ma oggi potrei fare un'eccezione.»

Dopo aver detto ciò, fece un cenno con la testa, indicando un vassoio ai piedi del letto sfatto. Al di sopra, tante leccornie da non riuscire nemmeno a contarle.

«Perché dici così?»

Lasciò il discorso a metà, ignorandomi volutamente per alzarsi e afferrare i bordi del vassoio. Venni catturato dall'immagine della sua schiena, priva di ogni indumento. La pelle candida e lucida – causa del sudore – mi provocò una secchezza della bocca senza precedenti. Spalancai la bocca, abbassando gli occhi per dare un veloce sguardo ai suoi muscoli, fino ad arrivare al suo ombelico, il quale osservai di più. Tutto di Jimin meritava di essere lodato. Ma la mia copertura venne presto sbandierata ai quattro venti, perché colui che stavo contemplando si era accorto del mio smarrimento.

Portò il bicchiere d'argilla alla bocca, non lasciando mai il mio sguardo.«Hai perso la lingua?»ridacchiò, buttando la testa all'indietro, evidenziando il pomo d'Adamo.

«È colpa tua.»sibilai, cercando di mantenere un minimo di decenza.

«Colpa mia?»

Schioccai la lingua al palato, mentendo.«Mi pare ovvio.»

«Ti lascio solo, allora.»

Piantò i gomiti sul letto, facendo leva per alzarsi, ma non gli diedi modo di farlo, perché catturai il suo polso con le dita. Prima che potesse dire altro, lo tirai verso di me, facendolo tornare al suo posto.

«Non ti azzardare a farlo.»

«Come vuoi.»annuì, dando più enfasi alle sue parole. Poi piegò la schiena in avanti, dandomi completa visuale del suo sedere.

Quando ritornò da me, stringeva tra le dita un frutto, sicuramente esotico, che non avevo mai visto prima. Sbuffò, accompagnato da un sorriso da vero malandrino.«Smettila di fissarmi.»

«Mi chiedi l'impossibile.»

«Tieni, avrai fame.»

Portò il frutto alla mia bocca, gustandosi la mia reazione. Masticai piano, non riconoscendo però la sua provenienza.

«Si chiama "dattero" , è tipico della mia terra.»m'informò, colto sul punto di chiederglielo.

«È delizioso.»pronuncia, non dando peso a quel piccolo dettaglio che aveva tirato fuori di sua spontanea volontà.

Buttai giù quella prelibatezza, e prima ancora che potessi esprimere un altro parere, Jimin m'interruppe.

«Non potrà mai eguagliarti.»

La sua voce seducente mi raggiunse, forte e chiara. Il cuore in gola, pulsante come non lo era mai stato.

JUST ONE NIGHT ― jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora