"Uno di noi"

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Il tempo passa, ma lui rimane immobile con lo sguardo fisso verso l'infinito.
Non mi azzardo a dire nulla, mi limito ad aspettare le sue parole.
"Perchè non me lo hai detto?" Mi chiede di punto in bianco:"Non lo so, forse avevo paura che lo coinvolgessi nelle tue attività losche, dirtelo significava tornare da te ed io non potevo permettermelo in quel momento, ero giovane, avevo tutta la vita davanti".
La mia spiegazione non lo soddisfa:"Ho un figlio...non so se dire di essere padre per la prima volta o per la seconda, a quest'ora quanti anni avrà? 12? Wow. I-io non so cosa dire, non so cosa fare adesso..."
Io lo informo:"Ho perso ogni traccia su di lui, forse è stato adottato, non ne ho la minima idea. Però ammetto che mi piacerebbe incontrarlo" dico amareggiata.
Lui rimane in silenzio, io provo a farlo reagire mettendogli apposto i capelli scompigliati dal vento.
Mi guarda fisso negli occhi e poi mi dice:"Ho bisogno di pensare un po'...mi dispiace ma per me questa è una batosta e non posso non ammettere che la cosa che mi fa più male è il tuo comportamento, per tutte le scuse che tu possa darmi non sarei lo stesso in grado di comprendere le tue azioni. Era nostro figlio, potevamo essere una famiglia...come starà adesso? Dove sarà? Non ti sei fatta queste domande? Lo hai abbandonato e basta!".
Io lo guardo sbigottita:"Cosa pensi? Che abbia abbandonato mio figlio come un cane in mezzo all'autostrada? Non sono così cinica come credi...ho sbagliato, lo so, non ci sono scuse, ma cerca di capire come mi sono sentita conoscendo la tua vita, la tua banda e tutte le cose a cui quel bambino andava in contro se fossi tornata con lui da te!".
Ci alziamo dalla panchina, lui continua a non rivolgermi la parola.
Decido di prendere l'iniziativa e faccio strada verso una nuova meta.
Non ha idea di dove lo stia portando ma so che riconosce queste strade, è un luogo dove è già stato.
Ci fermiamo davanti un locale e lo riconosce subito, è il bar in cui lavoravo quando ci siamo conosciuti ed è anche il posto in cui ci siamo dati il nostro primo bacio, a ripensarci divento tutta rossa e Ryan sa bene il perchè.
Entriamo, è ancora come quella volta, è rimasto tutto identico, a parte il fatto che adesso è un luogo abbandonato. Mi metto dietro al bancone e mi immedesimo nella me stessa di tanti anni fa, mentre Ryan si siede di fronte a me, al suo vecchio posto.
Dietro di me trovo alcolici di ogni genere, strano che non li abbiano portati via con il trasloco, prendo del rum e lo verso in due bicchieri, ne porgo uno a Ryan che lo beve tutto d'un fiato.
Mentre beviamo, in un clima di dubbia natura, il mio cellulare squilla. Rispondo, non è una voce familiare..."Penso che l'assassino di Henry sia uno di voi" sento, poi riattaccano, cosa è appena successo? Era una voce femminile e sembrava piuttosto giovane.
Ne parlo con Ryan che, ricordando le mie parole, mi suggerisce il possibile interlocutore, Mandy! La fidanzata di Henry, ero stata io stessa a darle il mio numero.
Cerco un significato nelle sue parole, ancora una volta Ryan mi precede:"Uno di noi...potrebbe intendere uno della nostra squadra, ma non è plausibile...potrebbe essere un agente di polizia?" Lo guardo scossa:"Pensi che qualcuno di potente nel corpo di polizia possa aver commesso un omicidio? Il distretto più potente del paese è il 34°"
Ci guardiamo negli occhi e ci intendiamo:"Jennifer è in pericolo!" Gridiamo entrambi, poi ci mettiamo a correre in direzione della centrale.
Corro più veloce che posso, cercando di tenere il passo di Ryan.
Appena arriviamo, Ryan vaga per gli uffici cercando sua figlia, poi chiede alla segretaria dove sia finita la bambina e lei risponde:"Un poliziotto ha detto di doverla portare a casa sua perchè suo padre aveva chiamato"
Abbasso lo sguardo, è come se sentissi il cuore di Ryan spezzarsi in mille pezzi,
"Da quanto tempo sono usciti?" Domando cercando una pista,
"più o meno venti minuti fa" troppo tardi, adesso potrebbero essere ovunque.
Ryan si mette a correre verso l'ufficio di Daniel, io lo seguo senza sapere le sue intenzioni.
Entra quasi rompendo la porta, afferra Daniel per il bavero della giacca e lo mette con le spalle al muro, poi lo aggredisce:"È colpa tua! Io che pensavo di potermi fidare! Dov' è? Dimmelo o potrei persino ucciderti!" Le sue parole sono dettate dalla rabbia ma fanno sempre un certo effetto, Daniel non riesce a capire:"M-ma di cosa stai parlando? Io sono rimasto chiuso qui dentro da quando ve ne siete andati, cosa è successo?" Riesco a far mollare la presa a Ryan.
Mentre Daniel riprende aria, gli raccontiamo tutto, da bravo investigatore gli viene la brillante idea di un collegamento tra il poliziotto e l' "Anonimo" che mi aveva scritto.
Gli porgo il mio cellulare e decide di provare a localizzare il telefono mittente dei messaggi. Anche se richiede molto tempo non abbiamo scelta...

Incidente a Cape MayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora