Prologo - parte 2

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Eyder si svegliò con un gran mal di testa. Il pavimento, intorno a lui, era intriso di sangue e, proprio accanto al suo corpo, uno strano scrigno era aperto. Il ragazzino si sollevò appena e si rese conto che, tra le mani, reggeva un pugnale dall'elsa finemente lavorata.

Ma il dettaglio più macabro e inquietante di quell'ambiente sconosciuto era un corpo che, a qualche metro da lui era riverso supino. Una profonda cicatrice fresca gli attraversava il volto e i capelli scuri di quello che doveva essere un ragazzo non più grande di quindici anni erano appiccicati al volto, anch'essi impregnati di sangue.

Sconcertato, Eyder rimase a fissare l'orrido spettacolo chiedendosi che diavolo di posto fosse quello, come fosse arrivato lì e chi cavolo fosse il ragazzo che, inerte, giaceva vicino a lui.

Ma più se lo domandava, più la sua mente si faceva annebbiata. Fino a che non iniziò a pensare di trovarsi all'interno di un sogno.

Cos'era successo? Dov'era? Dove stava andando?... Ma, soprattutto: da dove veniva?

Eyder non capiva. Ogni minuto che passava, aveva l'impressione che un pezzo di sé si stesse staccando dalla sua anima. Ben presto, finì per dimenticarsi anche il suo nome.

Sormontato dalla propria angoscia, raggiunse l'uscio di quella lurida baracca di legno e, senza voltarsi indietro, si precipitò al di fuori, andando in contro ad una piccola radura circondata da fitte trecce di rovi.

Inconsapevole lui stesso di cosa stesse facendo, iniziò a correre intorno all'abitazione: una vecchia catapecchia in legno che stava in piedi per miracolo. Ma la rapida perlustrazione lo rese ancora più deluso e disorientato. Tutto intorno, infatti, il bosco era fitto.

C'erano solo lui, quella radura, quella baracca e il corpo esanime di un ragazzo.

In quel momento si rese conto che sotto i polpastrelli percepiva ancora l'elsa del pugnale. Non lo guardò nemmeno e lo infilò nello stivale, stando attento a non tagliarsi. Fece un paio di metri, poi si fermò, sconcertato: come gli era venuto naturale quel gesto. Com'era possibile? Era normale mettere una lama nello stivale o era qualcosa che faceva lui di solito? Lui... Chi era lui?

La frustrazione era tale che Eyder era certo che sarebbe presto esploso in un esaurimento nervoso.

Il ragazzino portò gli occhi al cielo. A giudicare dalla luce, doveva essere tardo pomeriggio e, presto, sarebbe calata la sera. Non poteva addentrarsi nella foresta... non a quell'ora. Avrebbe dovuto rintanarsi nella baracca. Nella baracca con il morto.

Al solo pensiero, un brivido gli percorse la schiena e le lacrime iniziarono ad affiorare. Cosa cavolo stava succedendo? Perché non riusciva a svegliarsi da quell'incubo?

Con rabbia, Eyder ricacciò indietro i goccioloni. Doveva fare qualcosa. Doveva accendere un fuoco, trovare cibo e acqua... doveva sopravvivere.

Cercando di non pensare, il ragazzino iniziò a cercare intorno a sé quanti più rami secchi era in grado di sollevare. Stava raccogliendo un grosso tronco tarlato, quando si accorse che, in lontananza, ai confini con il bosco, vi erano delle rovine in pietra. E, in un secondo, fu certo di cosa fosse. Dopotutto, chiunque avesse vissuto in quella casa, doveva aver soddisfatto le prime necessità in qualche modo.

Esausto, s'incamminò nella direzione delle pietre. Eyder sperava solo che del pozzo non fossero rimaste solo macerie. Quando riuscì a raggiungerlo, ormai ansimante, esultò silenziosamente nello scoprire che nel fondo vi era ancora acqua.

Accanto al vecchio pozzo, un secchio arrugginito era attaccato ad una corda. Eyder sospirò di sollievo e, afferratolo, lo lanciò all'interno del cerchio formato dalle pietre, tenendo la corda maciullata dalla parte opposta.

Con un rinzaffo il secchio toccò l'acqua e, il solo rumore, creò nella bocca del ragazzino una maggiore salivazione. Solo in quel momento si rese conto di quanto avesse sete.

A fatica, Eyder sollevò il secchio pieno d'acqua e, afferratolo con le mani, lo appoggiò a terra prima di tuffare la testa al suo interno per bere, incurante di qualunque cosa avrebbe potuto pensare un'altra persona nel vederlo abbeverarsi come un animale. In fin dei conti, lì non c'era nessuno.

Fu quando sollevò il capo che notò qualcosa di strano. Proprio all'interno del secchio. Lì, dove avrebbe dovuto esserci il suo riflesso, non c'era. C'era solo quello dei suoi indumenti. Spaventato, si osservò le mani e, solo in quel momento, si rese conto che stavano sparendo. Stava diventando trasparente.

In preda alla disperazione, urlò a pieni polmoni, schiaffeggiandosi il volto per riuscire a svegliarsi. Ma quel sogno non voleva svanire. Le lacrime, invece, ora scendevano più copiose che mai.

●●●

Una fredda goccia di pioggia gli bagnò la guancia, svegliandolo di soprassalto. Aveva dormito all'aperto, accanto ad un pozzo. Eyder ricordava benissimo il suo maledetto incubo e il cuore batteva ancora forte per le forti emozioni provate.

Quando, però, si rese conto che quell'agonia non era ancora finita, il ragazzino capì che non era un sogno. Che lui era davvero invisibile. Che c'era davvero un ragazzo morto dentro quella catapecchia.

Eyder non sapeva dove fosse, né chi fosse. Sapeva solo che doveva andarsene. Il più presto possibile.

Non tornò all'interno di quella dannata casa. S'infilò nel bosco e non si guardò più indietro, per tanto, tanto tempo.

●●●

Erano ormai diversi giorni che si trovava per le strade di una città che la gente chiamava Oderia. Aveva dormito in un fienile, ma quella stessa notte era stato scoperto ed aveva dovuto andarsene.

La gente, ora, poteva vederlo. Per qualche strana ragione, Eyder aveva scoperto di essere in grado di mutare il proprio aspetto e, non sapendo in cosa trasformarsi per non restare invisibile, aveva preso le sembianze di quel ragazzo morto. Dopotutto, il suo volto non l'avrebbe mai dimenticato.

Accadde in piena notte. Girava per i cunicoli della città, quando un uomo in divisa iniziò ad urlare nella sua direzione.

Eyder iniziò a correre senza nemmeno sapere il perché. Ma la fuga non durò più di qualche secondo perché, una pattuglia di guardie riuscì a raggiungerlo e a fermarlo.

«Ragazzo!» tuonò una di esse. «C'è il divieto di aggirarsi di notte, in questa città...» poi si fermò. «Qual è il tuo nome?» domando con espressione severa, mentre la fronte gli si aggrottava mettendo in evidenza le rughe. Ad occhio e croce, doveva avere una quarantina d'anni.

Eyder sussultò tremante. Come si chiamava? Eyder non lo sapeva. Non sapeva nulla.

«Ti ho fatto una domanda, ragazzo!»

Una guardia, dietro di lui, si fece avanti. «Lo so io, signore» dichiarò con sicurezza. «Therar di Oderia. Ha diversi precedenti...»

La sentinella si accarezzò il mento, mordendosi il labbro. «Dunque, un recidivo!»

I minuti che seguirono lasciarono il ragazzino basito, in balìa delle guardie e di accuse a lui sconosciute. In balìa della sorte.

Lo rinchiusero in un sotterraneo senza nemmeno spiegargli il perché. Nessuno gli diede il beneficio di sapere che avrebbe trascorso in quel buco di cella i successivi tre anni della sua vita.

Ben presto si trovò da solo. E, da quel momento, lo fu per sempre.

Iniziò a piangere. Pianse per tutta la notte, finché finì le lacrime. Poi non pianse mai più.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora