8 L'AGONIA

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La fitta boscaglia si apriva rigogliosa intorno alla battuta strada sterrata. Il sole filtrava tra le frasche dell'alta vegetazione ed il canto degli uccelli prossimi alla migrazione si mescolava al ritmico rumore degli zoccoli dei cavalli.

Nonostante la spedizione, alla fine, non contasse più di cinquanta persone, il tragitto proseguiva a rilento, soprattutto a causa della presenza della carrozza reale e di un ulteriore carro nel quale venivano trasportate le persone le cui forze erano già state prosciugate dalla malattia.

Era trascorso già un giorno da quando erano partiti e, all'interno del carro, si erano già aggiunti tre cortigiani fra quelli che erano partiti. Tutti presentavano gli stessi sintomi: prima le macchie, poi la stanchezza e la febbre.

Dazira si voltò verso Amila che, poche posizioni dietro di lei, aveva l'aria di essere sfinita mentre dondolava al ritmo del suo cavallo. Avrebbe dovuto riposarsi un po', meditò la ragazza, spostando lo sguardo di nuovo avanti a sé.

Ernik, che procedeva al trotto di fianco a lei, avvicinò ancor di più il suo cavallo a quello di Dazira, che si spostò lateralmente, uscendo di poco dalla fila ordinata che precedeva la carrozza.

La ragazza lo fulminò con un'occhiata e, in tutta risposta, il cavaliere sorrise, cosa che spinse Dazira a ricambiare con la stessa moneta. Ernik scoppiò a ridere e diede inizio ad un gioco che parve divertire i due, un po' meno i cavalli.

«Vogliamo finirla, lì dietro?» urlò Therar, all'ennesimo spintone, mentre rimproverava Dazira con l'espressione glaciale che la giovane ben conosceva.

Ernik si avvicinò ancora, questa volta, senza urtare il suo cavallo. «Dazira» disse piano, «hai notato come il tuo amico inquietante parli spesso con la principessa Pheanielle, a palazzo?»

«Cosa stai insinuando?»

Ernik alzò le spalle, mentre i capelli color biondo scuro un po' troppo lunghi gli ondeggiavano sulle spalle. Sul suo volto, un sorrisino malizioso. «Tu che dici?»

Dazira rise e scosse il capo, alzando gli occhi al cielo. «Sei assurdo».

«Sarà...» asserì dubbioso. Poi sembrò pensarci per un momento. «Che motivo avrebbero, comunque, di parlarsi?» domandò guardandola di nuovo.

Che motivo avrebbero? Dazira non si era mai posta il quesito. La prima volta che li aveva visti interloquire, la situazione era già di per sé fuori dall'ordinario. «A dire il vero, probabilmente, il motivo ce lo hai davanti» spiegò dopo un poco. «La principessa è sempre stata molto presente durante il mio addestramento».

«Ah. Perché?»

Già. Perché? Perché mai quella donna avrebbe dovuto? La ragazza non l'aveva mai capito davvero, ma era felice che la principessa lo avesse fatto. Era stata, in un periodo buio, il conforto che Ernik non era stato. Che nessun altro era stato. «A dire il vero, non lo so. Non so cosa l'abbia spinta a prendersi così a cuore la mia situazione!» ammise mordendosi il labbro inferiore.

Ernik rise di nuovo, mentre le fossette ai lati della bocca accentuavano i lineamenti marcati. «Mmm-mm. E cosa ti dice che tu non fossi la copertura della tresca?»

Dazira sorrise, ma quell'insinuazione ottenne l'effetto di un pugno allo stomaco.

Un senso di fastidio persistente la pervase da capo a piedi, con annessa la voglia di chiudere quell'assurda conversazione. «Dubito sia così» disse. «In ogni caso non sarebbero affari nostri» aggiunse, poi, sollevando le sopracciglia con uno sguardo eloquente. «Therar e la principessa possono fare quello che vogliono!»

Ernik, però, sembrava deciso a non rinunciare alle proprie supposizioni. «Signor simpatia forse sì, ma la principessa...» commentò acidamente, alimentando in Dazira quella nauseante sensazione che la rese più seccata di prima. Chi era lui per dire qualunque cosa su Therar senza conoscerlo, per contestare il fatto che la principessa Pheanie nutrisse una simpatia verso di lei e per supporre che tra il suo maestro e Pheanielle ci fosse qualcosa? Dazira non sapeva quale delle tre cose le desse più fastidio, sapeva solo che non avrebbe dovuto dar peso alle parole di Ernik. Ma non ci riusciva.

«Non è così antipatico, se lo conosci bene» dichiarò solamente.

Per qualche istante, Ernik rimase in silenzio, e Dazira iniziò a sperare che non sarebbe più tornato sull'argomento. Ma non fu così: «E tu... lo conosci bene?»

Lo conosceva bene? Dazira non lo sapeva con certezza. Therar era una persona talmente ermetica che la ragazza dubitava che chiunque potesse dire di conoscerlo davvero. Ma lei sapeva qualcosa di lui, qualcosa che, forse, nessun altro sapeva. «Abbastanza» affermò.

Il ragazzo tornò nuovamente al suo silenzio, con un'espressione sul volto che Dazira non seppe decifrare. Sembrava seccato. In parte, la ragazza ne fu soddisfatta.

In quel momento, dalla carrozza fece capolino Silterio, con l'ordine, da parte del re, di fermarsi. Per l'ennesima volta. Di quel passo, pensò Dazira, non sarebbero mai arrivati.

●●●

Da quando erano partiti, Ernik e Dazira non avevano fatto altro che parlare. Parlare. Parlare.

Ma non era quello ciò che la stava uccidendo.

Amila l'aveva sempre saputo, persino quando il ragazzo aveva negato, quando lei glielo aveva chiesto tra le tende dell'accampamento al fronte. Quando ancora, fra lei ed Ernik, c'era un rapporto che andava al di là dell'amicizia, al di là dell'allenarsi insieme, di mangiare allo stesso tavolo e ritrovarsi alle stesse riunioni. Quando lui le dava le attenzioni che stava cercando.

C'era qualcosa, però, che la stava ferendo più di tutto il resto: il modo in cui lui stava guardando Dazira.

Amila non era mai stata una stupida. Ernik non l'aveva mai guardata come ora stava osservando la ragazza. Con quegli occhi carichi di una fiamma che Amila avrebbe sempre voluto avere per sé, ma che non era mai stata sua.

Il ragazzo pareva pendere dalle sue labbra, più del solito.

In cuor suo, Amila lo aveva sempre saputo. In quel momento, però, capì: Ernik non sarebbe più stato suo. Forse, non lo era mai stato.

Un'altra fitta alla testa la fece piegare in avanti, sul cavallo. Quel continuo ondeggiare le dava l'impressione di avere cento spilli conficcati nel cranio. Stava peggiorando, lo sentiva. Le macchie sulla sua pelle sembravano aver preso fuoco ed il bruciore persistente le bloccava il respiro.

Forse, in fin dei conti, stava delirando.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora