16 L'ESECUZIONE

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Si infilò gli stivali velocemente. La conversazione con Kas l'aveva fatto riflettere a lungo ed Ernik aveva deciso di parlarne con l'unica persona della quale il ragazzo sapeva di potersi fidare.

I suoi passi risuonavano sulle pietre del corridoio semideserto, a quell'ora della sera. Il sole era tramontato da poche ore, ma gran parte della corte si era ritirata, salvo per i pochi domestici ancora in servizio.

Ed eccola lì, la porta che conduceva agli appartamenti di Dazira, quelli in cui ella aveva trascorso la propria infanzia e parte della sua adolescenza. Pustos, il nuovo bibliotecario, si era rifiutato di alloggiare lì a causa del fatto che, proprio fra quelle pareti, era morto Ladon. Così, quelle stanze erano rimaste vuote fino al ritorno della paladina del regno.

Ernik bussò energicamente più e più volte, senza ottenere risposta. Evidentemente, Dazira non era lì.

Poco male, l'avrebbe trovata al poligono d'addestramento, o al vecchio muretto.

Si diresse all'esterno, salutando le guardie di ronda che, fino a qualche anno prima, lo mettevano in soggezione. L'aria fredda dell'oscurità lo accolse schiaffeggiandogli il volto, ma lui non ci fece caso e si diresse verso il cortile in direzione del poligono.

Fu allora che li vide. Erano di spalle, ma Ernik non aveva dubbi.

Therar la stava tenendo per mano e lei stava ridendo fragorosamente, quella risata spontanea che la caratterizzava, mentre spingeva giocosamente il ragazzo. D'un tratto, Therar si bloccò e la attirò a sé, schioccandole un bacio sulle labbra e, in pochi istanti, Ernik si sentì morire dentro.

Una fitta al petto che il ragazzo non avrebbe saputo riconoscere. Qualcosa che mai gli era capitato e, ora, gli sembrava di poter distinguere uno ad uno i brandelli del proprio cuore strapparsi.

Rimase immobile a fissarli per alcuni istanti, poi si voltò e se ne andò. Poco prima che distogliesse lo sguardo, però, i suoi occhi incrociarono quelli di Therar, che si era voltato nella sua direzione, e ad Ernik sembrò di scorgervi un lume di perversa soddisfazione.

Therar non gli era mai piaciuto, certo. Ora, però, Ernik sentiva di odiarlo con ogni pezzo della sua anima.

●●●

Kaspiro appoggiò la fronte alla pietra fredda e dura della parete. Sapeva che, una volta entrato, avrebbe avuto i minuti contati, eppure non si decideva a varcare la soglia.

In qualche modo sapeva che, quel giorno, in quell'addio, avrebbe abbandonato anche una parte di sé; l'avrebbe lasciata marcire con Lei, al patibolo. Perché era questo ciò che la Corte aveva deciso: tutti i testimoni, nonché autori del massacro erano stati condannati a morte.

Inspirò l'aria satura di umidità e impregnata dell'odore stantio della muffa e del muschio che era cresciuto indisturbato fra le rocce nella parete. In quell'ala del castello, non erano soliti circolare spesso i domestici.

Con un atto di coraggio, appoggiò le mani alla parete e si diede una spinta, staccandosi dal muro e raddrizzandosi.

Fece scorrere le mani sulla pettorina al fine di lisciare ciò che, in realtà, non aveva bisogno di sistemazioni e, infine, bussò alla porta.

Una guardia uscì prontamente, squadrandolo dapprima di sottecchi, poi, una volta resasi conto di trovarsi di fronte ad un cavaliere scelto, con studiata riverenza. Non servì convincere il ragazzo in uniforme a lasciarlo solo con la prigioniera, perché, una volta che Kas fu entrato nella stanza, il giovane fece un inchino e lasciò l'ambiente per posizionarsi appena fuori dalla porta in legno massiccio.

«Cosa ci fai qui?» La voce della ragazza era rotta e il tono era sorpreso. Nonostante la frase risultasse accusatoria, Kaspiro conosceva Amila abbastanza bene da sapere che quell'atteggiamento era l'ultimo moto di orgoglio di cui ella poteva disporre.

La guardò: gli occhi erano scavati, i vestiti logori e gli zigomi più pronunciati del solito. Ma era lei. Era Amila. «Ti sembra una domanda da fare?» la rimbeccò, con un sorriso triste.

Lei si morse il labbro inferiore. «Sei l'ultima persona che pensavo di vedere...» sussurrò abbassando lo sguardo.

«Posso andarmene».

«No!» urlò lei, immediatamente, riportando con uno scatto gli occhi su di lui. «Ti prego, resta» lo supplicò mentre i suoi occhi verdi si velavano. «Io... credevo solo che mi odiassi... per quello che ti ho fatto» ammise, in conclusione, la giovane condannata a morte.

Kaspiro si sedette di fronte a lei, nascondendo dallo sguardo della ragazza le sue, di lacrime, che minacciavano di sgorgare da un momento all'altro. «L'ho creduto anch'io, ad un certo punto».

«Mi dispiace».

L'aria si fece satura, ancor più di quanto già non fosse. E nessuno, per un po', parlò.

«Perché l'hai fatto?» sbottò Kas, ad un tratto, interrompendo il lungo silenzio con la voce di un'ottava più alta. «Perché hai ucciso quelle persone?» incalzò.

«Non l'hai saputo...»

«Voglio sentirmelo dire da te».

Amila sospirò profondamente, quasi volesse liberarsi dal peso che il suo cuore stava portando. «Ho avuto paura» disse, mentre un tremolio incontrollato faceva capolino sulle sue labbra. «La verità è che sono una vigliacca. Non volevo incappare nella maledizione di quel dannato stregone e ho perso la testa» asserì sputando le parole come fossero macigni. «Ed ora, eccomi qua!»

Fu allora che Kaspiro cedette. I gomiti posati sul tavolo e le mani sul viso, atte a nascondere alla sua interlocutrice il proprio dolore. «Magari puoi appellarti...»

«Morirò» sentì dire la ragazza, la sua voce spezzata dal pianto. «È giusto che io muoia... e, in ogni caso, non perdoneranno mai chi diserta in quel modo» constatò. Amila aveva ragione, e lo sapevano entrambi.

«Amila...» Di colpo, Kas sollevò di nuovo il capo, senza più paura di dire ciò che aveva sulla punta della lingua.

Ma, la ragazza lo interruppe: «Dì ad Ernik che lo capisco se non è venuto». Ernik. «E che non deve sentirsi in colpa per questo» continuò lei, il tono affettato e dolce. «Digli che gli voglio bene» concluse.

Kaspirò annuì. «Lo farò» promise, alzandosi di nuovo in piedi e facendo per andarsene. Poi, giunto a pochi centimetri dalla porta, si girò, deciso a non perdere l'ultima occasione che aveva. «Ti amo» disse fissandola dritta nei suoi occhi sorpresi. «Addio, Amila».

La porta si richiuse alle sue spalle e Kaspiro si posò di nuovo al muro, nel vano tentativo di calmarsi.

In quel momento, dal corridoio, comparve la figura di Ernik. In cuor suo, il ragazzo sorrise. Aveva fatto la scelta giusta.

Nonostante tutto, Ernik non avrebbe fatto l'errore che aveva commesso con Dazira anni prima. Non avrebbe abbandonato Amila nella sua ultima occasione di starle vicino. E, per quanto, in quel momento, Kaspiro odiasse il suo migliore amico, egli sapeva che, come Ernik non avrebbe mai amato Amila quanto la amava lui, lei non aveva mai amato lui quanto amava Ernik.

Ed ora, il suo tempo era scaduto. Kaspiro non avrebbe più potuto fare nulla affinché la donna per cui provava un sentimento tanto profondo ricambiasse, tornando sui suoi passi. Un dato di fatto che faceva male. Un dolore che Kaspiro non aveva mai provato così violentemente.

Si rese conto che, da quel giorno, avrebbe smesso di aspettarla, benché ci sarebbe voluto molto tempo prima che egli smettesse di amarla. Forse, non gli sarebbe mai passata.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora