26 LE CINQUE LAME

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Venne portata nella stanza con davvero poco riguardo alla cortesia. Dopotutto, però, non era certo una visita di piacere, la sua. Con tutta probabilità, quella, era la sua ultima ora di vita.

Quando entrò, spinta da un confratello magro e allampanato, ancora ammanettata, si ritrovò a ruzzolare sopra ad uno spesso tappeto intarsiato con dei fili dorati. Sollevò il capo. Nella sala, ampia e accogliente – per quanto potesse esserlo un antro sotterraneo – Medicus, Gineris e Caeli se ne stavano in piedi di fronte a lei. Nell'ambiente non parevano esserci altre persone.

Non fece nemmeno in tempo a rialzarsi, che percepì una forza strattonarla e spingerla sopra ad un tavolo, anche se nessuno la stava toccando. Caeli.

Senza rendersene nemmeno conto, si ritrovò supina legata al tavolo. In quel momento, voltandosi, si accorse che, sul tavolo accanto al suo, era stato legato Therar. A quanto pareva, persino lui era stato tradito. Alla fine dei conti, se lo meritava. Eccola lì, la sua cara "famiglia".

«Miei amati confratelli, ospiti del demone di Dorothar, finalmente siamo giunti alla fine. Finalmente, stasera, sarà l'ultima delle cinquemila lune piene. Finalmente, questa notte, sarete liberi da ogni supplizio che affligge la vostra carne e la vostra anima!» introdusse Medicus, con fare esageratamente solenne. «Tra pochi minuti, uno alla volta verrete trafitti dall'unico pugnale che, fino a questa sera, era stato in grado di uccidervi. Ora sarà la fonte della vostra scarcerazione! Cadrete in un sonno profondo e vi risveglierete liberi, come tante volte avete sognato da quando la maledizione ha preso possesso delle vostre vite. Infine, affinché i poteri di Dorothar non vengano sprecati nella loro pura ed unica forma, io stesso infilzerò le mie carni con le vostre lame, riunendo il demone». Con un gesto della mano, indicò dei pugnali allineati sopra a quella che doveva essere la sua scrivania, e, con l'altra mano, ne indicò un altro, posto all'interno di una teca.

Dazira non poteva crederci che lo stessero davvero ascoltando. Che quelle abili menti, allenate a cogliere i dettagli in ogni situazione, dessero credito ad un tale ciarlatano.

«Voi siete pazzi!» urlò la ragazza, facendo oscillare le catene che ancora le legavano le mani. «Credete davvero che accentrare il potere nelle sue mani vi libererà dal demone?» accusò, portando lo sguardo sui presenti.

Medicus sorrise compiaciuto. «Carissima, giovane ragazza! Il tuo spirito è ancora forte, ma, se il demone avesse abitato dentro di te per tanti anni come lo abbiamo ospitato noi, non parleresti così» le rispose, in tono accondiscendente.

«Cosa ci farai, sentiamo, con tutti i poteri del demone? Con il mio potere?»

A quelle parole, l'uomo rise sguaiatamente. «Temi che potrei usare impropriamente il potere della morte e della distruzione?» chiese, senza darle, però, il tempo di rispondere: «Tesoro caro, con i miei centotrent'anni so perfettamente come dovrò agire per ristabilire l'ordine e ritengo di essere perfettamente in grado di gestire ciò che una ragazzina di diciotto...»

«Diciannove.»

L'uomo alzò le braccia al cielo, con un canzonatorio gesto di resa, mentre si voltava ad osservare i membri della setta presenti nella stanza, che scoppiarono in una risata. «Diciannove!» ripeté con scherno. «Forse, cara fanciulla, pecchi di manie di grandezza!» la rimproverò con una smorfia.

Dazira ignorò la presa in giro. Non era il suo orgoglio ad essere minacciato, ma la sua vita, e quella di molte persone, probabilmente. «Ah! Io sarei quella con le manie di grandezza?»

«Se il senso di colpa ti avesse consumato non vedresti l'ora di rinunciare a ciò che il demone ti permette quotidianamente di fare! Eppure, a quanto pare, l'arroganza e l'arrivismo che ti caratterizzano hanno corrotto la tua anima più del demone stesso!» esclamò Medicus, scuotendo il capo con un'espressione di sfida.

Dazira lo fissò con rabbia. «Non sai di cosa parli!» O, forse, sapeva fin troppo bene di cosa stesse parlando ed utilizzava la propria astuzia per rigirare la frittata.

L'uomo finse di non sentirla, riportando la propria voce ad un tono piatto. «Però, devo ammettere che la tua impertinenza e il tuo coraggio sarebbero ben gradite fra le fila dei confratelli... anche se, di certo, dovresti provare la tua lealtà ed obbedienza alla setta. E non lo ritengo, alla luce dei fatti, un requisito così semplice» osservò strizzandole l'occhio.

«Dovrai passare sul mio cadavere!»

«Credimi, non ci vorrà molto!» la minacciò con una smorfia. «Peccato».

Medicus sollevò il mendo in un gesto eloquente in direzione di Musul e Gineris che, afferrate le lame poste ai piedi dei due tavoli, si posizionarono, rispettivamente, di fianco a Therar e a Dazira.

L'aria era satura di tensione. Dazira guardò la ragazza che, sopra di lei, aveva sollevato l'arma e, in un secondo, seppe che quello sarebbe stato il suo ultimo, ingiusto, istante di vita.

A nulla era servito il dolore, la sofferenza o la sua guerra interiore contro il Nero. Sarebbe tutto finito in un solo, silenzioso momento. Nessuna gloria, nessuna persona a piangere la sua morte. Forse, era meglio così. Forse era giusto. La lama affondò, dritta in mezzo al petto e il freddo metallo le penetrò la carne. L'ultima cosa che vide furono quei capelli biondi, sciolti, che oscillavano mentre la sua assassina si voltava, come se nulla avesse fatto.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora