14 SENTIMENTI

125 9 3
                                    

Ernik le scivolò accanto, schivando il colpo repentino della ragazza. I movimenti di Dazira erano rapidi, fluidi, e parevano non avere nulla a che fare con i pugni che la giovane guerriera sferrava al sacco di juta quando ancora era rinchiusa nelle segrete del palazzo.

Lei stessa era, di fatto, un'altra persona. Era una donna, e Therar non poteva più negarlo.

Una bellissima donna dallo sguardo vispo, il corpo tornito e un entusiasmo ch'egli non aveva mai compreso appieno, ma che – forse – non era così necessario comprendere.

Le figure dei due ragazzi in sfida si muovevano a decine di metri da lui che, con le braccia conserte, teneva lo sguardo fisso sulla sua allieva.

I capelli castani e mossi erano stati lasciati liberi ed oscillavano ad ogni movimento di Dazira, vestita con una semplice casacca grigio scuro e un paio di calzoni neri; i piedi si muovevano scalzi sull'erba, così come quelli dell'amico. Ernik.

Therar aveva bene impresso nella mente il bacio che i due si erano dati nella foresta.

Beh, forse, tutto sommato, era ora. Dazira era corsa dietro a quel ragazzino per anni... ed ora, finalmente, lui si era accorto di lei.

Ma a chi la dai a bere! A Therar, quel bacio, aveva dato dannatamente fastidio. E non sopportava l'idea che lo irritasse tanto. Non era accettabile, da parte sua, un sentimento come la gelosia.

In quel momento, dalle sue spalle, comparve l'elegante figura di Gineris, che prese posto accanto a lui, lo sguardo rivolto nella medesima direzione. «Sei un idiota, Therar» dichiarò sistemandosi dietro le orecchie i ciuffi biondi che erano sfuggiti alla crocchia. Il suo tono era divertito, fatto che lo innervosì ancor di più.

Finse di non capire. «Cosa?»

«Non è stata una grande mossa». La ragazza ridacchiò, scuotendo il capo con beffardo dissenso. «Innamorarsi della ragazza, intendo» affermò in tono sommesso.

Therar la fulminò con lo sguardo. «Smettila di dire fesserie!» sbottò accigliato.

«E tu smettila di negare l'evidenza. Sai benissimo che a me non puoi mentire» asserì lei in tono neutro, passandosi lentamente la lingua sulle labbra carnose. «Non me lo sarei mai aspettato da parte tua, comunque» aggiunse poi, facendo un passo indietro.

Quella donna era maledettamente impertinente. Beh, visto che era così che Gineris voleva giocare, Therar l'avrebbe ripagata con la stessa moneta. «Neanche io da parte tua» attaccò. «Forse, sei ancora più stupida di me nel prenderti una cotta per il futuro re di Forterra!»

A quelle parole, l'espressione di lei si rabbuiò e, senza nulla aggiungere, la giovane si voltò e si diresse verso l'entrata secondaria del palazzo.

Gineris lo conosceva meglio di chiunque altro. Era stata proprio la ragazza a trovarlo in quella cella, più di dieci anni addietro.

Therar ricordava ogni istante di quel momento: il disorientamento e l'emozione nel constatare che qualcuno lo stesse cercando, la sensazione di calore che le era cresciuta nel petto nel notare che, per la prima volta, qualcuno lo stava trattando come un essere umano. L'eccitazione e l'attesa di conoscere qualche risposta che nessuno gli aveva dato.

Therar non avrebbe mai saputo niente del suo passato; la sua vita era iniziata il giorno in cui due gendarmi lo avevano catturato e rinchiuso in quella cella. Da allora erano trascorsi tre anni, nel corso dei quali il ragazzo aveva combattuto contro quella forza interiore, quella rabbia che pareva partirgli dallo stomaco e che lo faceva comportare in modo strano, compiere azioni che nessun altro avrebbe saputo fare.

A dire il vero, grazie a queste sue capacità, il ragazzo sarebbe potuto uscire molto prima dalla sua prigione, ma, in qualche modo, quel luogo stantio, quella solitudine, erano diventati una confortevole dimora ricca di sicurezze. Therar non sapeva chi fosse, né da dove venisse. Il mondo, fuori da quelle pareti, non gli apparteneva. Di fatto, quell'unica volta in cui il ragazzo era uscito dalle inferriate del suo oscuro rifugio e si era diretto al mercato di Loas, camminando fra la gente aveva provato un reale senso di vuoto. Una solitudine che non avrebbe provato mai più nella sua vita, nemmeno nella sua minuscola, umida cella.

Camminare fra quelle persone, dalle caratteristiche più disparate, ma accomunate tutte da una gelida indifferenza, aveva fatto comprendere all'allora dodicenne Therar la profonda insignificanza della sua esistenza, al punto tale da rendere il ragazzo incaricato di portargli i viveri oltre le inferriate della prigione un gradito ospite ed un buon samaritano.

Da allora, Therar aveva cercato in tutti i modi la propria identità, tanto che aveva combattuto contro quell'anima nera che abitava il suo corpo al fine di mantenere lo stesso aspetto, cosicché, quando, un giorno, avrebbe avuto il coraggio di uscire da suo antro, avrebbe potuto essere qualcuno, e non un'ombra invisibile che si aggirava per i regni. Avrebbe potuto essere come gli altri.

E ci era riuscito. Ci era riuscito al punto tale che il proprio corpo aveva iniziato a farsi più adulto. Ad "invecchiare".

Quando aveva visto Gineris in quella cella, per la prima volta, i due ragazzi avevano più o meno la stessa età.

Therar era seduto a terra e stava ammirando la luce argentea della luna oltre le grate più alte, quando, proprio dietro di sé, aveva percepito la presenza di qualcuno. Spaventato, si era voltato a guardare e i suoi occhi neri avevano incontrato il volto di porcellana di una ragazzina dai tratti dolci e i capelli chiarissimi che le incorniciavano le gote e le scendevano fin sotto ad un accenno di seno.

Il ragazzo non aveva mai visto nulla di simile ed era rimasto incantato a guardare quella figura longilinea con ammirazione e curiosità. La ragazzina indossava un paio di calzoni che aveva inserito negli stivali ed una pettorina nera di cuoio, qualcosa che Therar non aveva mai visto in una donna. Non che avesse visto molte donne, nella sua esistenza.

Poi, un rumore li aveva destati e la ragazza era scomparsa, lasciandolo solo a riflettere con il cuore in gola ed un sorriso ebete stampato sul volto.

Gineris ricomparve la notte successiva e, da allora, iniziò quella che Therar avrebbe considerato l'unica amicizia della sua vita per molto, molto tempo.

Lei l'aveva trascinato fuori da quel buco, gli aveva fatto conoscere Medicus, dandogli così una casa e, in qualche modo, una famiglia. Con loro aveva imparato a sfruttare – e non solamente a soffocare – la parte più oscura di sé, dando un senso a quell'esistenza che, fino ad allora, pareva non averne.

Era stato così che Therar aveva scoperto di essere bravo a completare gli incarichi che Medicus gli affibbiava, tanto che Gineris, in accordo con gli altri della setta, l'aveva soprannominato Vulpes Noctis, ovvero, "volpe della notte".

Ora, però, guardando Dazira, Therar non riusciva a non chiedersi se stesse facendo la cosa giusta, se Medicus avesse ragione.

Era uno scemo. Non era lì per porsi quesiti. Era lì per portare a termine una missione.

Eppure, il ragazzo si domandava altresì se quell'anima, inspiegabilmente carica di ogni colore e sfumatura dai toni più vivaci, avrebbe mai potuto incontrare la sua senza che la profonda oscurità del cuore di lui assorbisse la luce di lei al punto tale da spegnerla. E, se ciò fosse stato così, si chiedeva se Dazira avrebbe mai potuto preferire il sentimento di lui a quello di Ernik, che non avrebbe mai potuto accollarle tutto il marcio che Therar si portava appresso.

E quest'ultima, fra tutte le altre domande, era in assoluto la più stupida e la più pericolosa.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora