21 TRADIMENTO

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Nero. Non vedeva altro che nero. Poi, all'improvviso, un lume in lontananza. Una fiaccola che pareva avvicinarsi sempre di più.

Si sollevò e il suo sguardo cadde sullo scempio ai suoi piedi. Il sangue, cremisi e denso, scivolava a rivoli sulle pietre del corridoio, espandendo la chiazza sulla quale riposava il corpo esanime di Lord Tisdale.

Dazira capì che, di tutti gli omicidi compiuti quella settimana, quello era, certamente, il più grave. Un lord. Il futuro marito della principessa Pheanielle, oltretutto.

Iniziò a correre. Voleva raggiungere le sue stanze al più presto. In lontananza, sentì i rumori e la ragazza s'infilò in un corridoio. Fu allora che si ritrovò in trappola.

Dalla parte opposta, qualcuno si stava avvicinando. Se fosse tornata indietro sarebbe finita in braccio alle guardie, se avesse proseguito avrebbe incontrato qualcuno che l'avrebbe vista in volto.

Senza pensarci ulteriormente, si posizionò in una cavità della roccia che copriva la parete, nella speranza di non essere notata.

Passi, sempre più vicini. La luce della torcia illuminò il corridoio e Dazira si strinse ancor di più spingendosi con tutto il peso del suo corpo verso l'incavo.

Un uomo vestito di nero comparve davanti a lei e, per un attimo, la ragazza pensò che sarebbe filato tutto liscio. Poi l'uomo si girò e la guardò negli occhi. Un ragazzo con una lunga cicatrice che gli solcava lo zigomo e parte del sopracciglio.

Poi, senza dire una parola, l'oscura figura proseguì per il corridoio, come se non l'avesse notata.

In quel momento, Dazira si svegliò.

Ogni pezzo del suo corpo era indolenzito e il lento ondeggiare le provocava nausea. Era sulla groppa di un cavallo. Di fianco a lei, Rebjo.

Con uno sforzo tentò di sollevarsi e i suoi occhi incrociarono quelli di Therar che, a piedi, teneva il cavallo per le redini.

L'aveva sognato, quel traditore. Aveva sognato il loro primo incontro.

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Dazira non parlava da ore. Di tanto in tanto, lo osservava di sottecchi, con lo sguardo omicida.

Therar la capiva. Il suo era stato un tradimento bello e buono, ma lui non avrebbe mai potuto sottrarsi ad esso e, un giorno, la ragazza avrebbe compreso le sue motivazioni.

Ora lo odiava, Therar ne era certo, e non avrebbe potuto fargliene una colpa. Lui aveva combinato un gran casino, più di quanto gli era stato chiesto di fare, ed ora si trovava fra due fuochi. Se avesse implorato il perdono della ragazza, quel bastardo di Caeli l'avrebbe usata contro di lui e, di certo, non poteva evitare di portare a termine la missione alla quale lavorava da anni e che stava aspettando da tutta la vita. Dazira avrebbe capito tutto a tempo debito.

Con un movimento preciso, Therar affondò il falcino, liberandosi degli intricati rovi che si contrapponevano al suo cammino, ultimi avanzi della foresta, prima di giungere alla radura.

Therar si massaggiò la spalla. Trainava il cavallo, ormai, da diverse ore e, per quanto la sua muscolatura fosse allenata, guidare il ronzino in mezzo alla foresta con due persone legate sopra non era certo una passeggiata di salute.

«Suvvia, mocciosa!» l'ammonì Caeli con la sua fastidiosa voce gracida. «Smettila di agitarti. Non le riconosci quelle catene?»

L'uomo se ne stava in piedi ad osservarla severamente, mentre la giovane tentava di liberarsi invano dalla stessa magia che aveva placato il suo potere nella foresta, quando, sul campo di battaglia, Dazira non era stata più in grado di controllare il suo demone.

Ignorando apertamente la furia della ragazza, Therar legò il cavallo all'albero più vicino ed iniziò a scaricare le sacche, prima di cercare la legna per accendere un piccolo fuoco. Si sarebbero accampati lì, quella notte.

Prima che Therar potesse addentrarsi nuovamente nella foresta per recuperare i ramoscelli più secchi, Caeli si avvicinò a lui. «Se non la calmi tu, la calmo io, Vulpes Noctis» sbraitò, facendosi udire appositamente anche dai due prigionieri. Vulpes Noctis. Therar si voltò verso Dazira che, con gli occhi sbarrati e il volto carico di odio, lo stava fissando da sopra il cavallo. «E non sarò così carino...» aggiunse Caeli.

Therar annuì, ostentando indifferenza. Sapeva benissimo di cosa era capace il suo compagno di viaggio e, l'ultima cosa che desiderava era far provare a Dazira la cattiveria di quell'uomo, tanto minuto, quanto potente. Tra i due non era mai corso buon sangue, ma, per rispetto verso Medicus, Therar lo aveva sempre sopportato, ben consapevole che Musul (questo era il vero nome di Caeli), alla prima occasione buona, lo avrebbe pugnalato alle spalle. Se Therar non fosse stato immortale, il ragazzo – con tutta probabilità – lo avrebbe già spedito un paio di metri sottoterra diversi anni prima.

Il maestro si avvicinò di nuovo al cavallo, afferrando Dazira per la vita e trascinandola giù senza troppa grazia, ma facendo attenzione a non farle troppo male.

«Non. Mi. Toccare» scandì lei, ringhiando contro Therar. I due occhi azzurri erano le fiamme dell'inferno. «Non mi devi toccare!» ripeté con un urlo, mentre il ragazzo l'accompagnava a terra, addossandole la schiena ad un vecchio rovere.

Rebjo, osservando la scena dalla groppa del cavallo, iniziò a divincolarsi. «L'hai sentita? Lasciala stare!» gridò rabbiosamente.

Musul, osservando la scena a qualche metro di distanza, cominciò a sghignazzare, per poi bloccarsi di colpo. «Senti, tu, razza di energumeno senza cervello!» esclamò portandosi le mani ai fianchi esili, sfiorandosi i lunghi capelli biondo cenere che lo facevano apparire ancora più minuto, nonostante i suoi trent'anni suonati. «Sai perché sei qui? Tu sei la sua cena. La sua bella bistecca al sangue... e le bistecche non parlano!» disse, gustando ogni dettaglio dell'orrore dipinto sul volto del giovane arciere. «Quindi, se non vuoi finire al mattatoio in anticipo, ti conviene tacere» concluse con un ghigno, voltando le spalle a tutti e tre e dirigendosi nella foresta, lasciando Therar da solo con i prigionieri.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora