9 IL RITO

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«Domani mattina!» ripeté il locandiere, per l'ennesima volta. A giudicare dalla sua espressione, doveva essere a disagio. In fin dei conti, non poteva fare nulla di più per il proprio sovrano.

Nessuno poteva. O, meglio, nessuno con un volto o un nome in grado di renderlo riconoscibile.

In quel posto, nessuno sembrava sapere nulla di più e nulla di meno rispetto a ciò che Kas aveva già riferito. Non per indifferenza e disinteresse, ma era palese che gli stessi abitanti si stessero affidando ad una qualche credenza di natura pagana dopo gli ultimi avvenimenti, e questa devozione nei confronti di coloro che i cittadini avevano definito i Rituali pareva aver depauperato della curiosità persino le comari più convinte che spesso passavano i pomeriggi a chiacchierare dietro ai loro balconi aperti, o sedute alla piazza principale, ad ovest della quale scorreva il fiume.

La città si era aperta alla scorta del re in tutto il suo splendore. Arthis aveva definito Piccolo Fiume uno dei gioielli del regno, ed Ernik non aveva potuto che confermare mentalmente quanto gli era stato riferito.

Circondata dalle colline rivestite dai vigneti pronti per la vendemmia ed attraversata dal placido corso d'acqua, la cittadina era un suggestivo tripudio di colori, dalla vegetazione alle caratteristiche case costruite con le pietre colorate raccolte nelle cave ad est.

La locanda era situata al centro della città ed era gestita da un uomo alto e panciuto, con un paio di folti baffi rossi che parevano voler compensare la completa calvizie. I suoi occhi erano piccoli, stretti e scuri e fissavano con rammarico il cavaliere insistente che, di fronte ad Ernik, stava cercando in tutti i modi di ottenere al più presto un rimedio alla situazione sanitaria oggetto della spedizione.

Ma l'uomo – come tutti, in città – non aveva potuto fare altro che suggerire al numeroso gruppo un po' di riposo, nell'attesa del giorno a venire.

Così, nonostante le proteste, gli uomini non avevano potuto fare altro che arrendersi all'inevitabile, accogliendo di buon grado le proposte culinarie della moglie del locandiere, prima di coricarsi.

L'edificio era grande e ben tenuto, nonostante apparisse datato e le numerose stanze erano piuttosto pulite.

Ernik lasciò cadere la propria sacca accanto al letto e si affacciò alla finestra. Il sole, oramai, era tramontato e la città era calata nell'ombra, ad eccezione di qualche fiaccola che qualche lampionaio doveva aver acceso per illuminare le vie.

Il ragazzo sarebbe uscito dalla stanza di lì a qualche minuto. Avrebbe raggiunto Amila per controllare il suo stato di salute. Forse, si chiese Ernik, era l'unica cosa giusta da fare... ma, allora, perché si sentiva così nervoso? Voleva bene ad Amila... ed era preoccupato per lei... ma, in parte, si sentiva a disagio al solo pensiero di rimanere da solo con lei.

Più di tutto, temeva che lei potesse dichiararsi. Ernik si sorprese del suo stesso pensiero, ma sì... il ragazzo temeva di sentirsi dire ciò che, in cuor suo, già sapeva.

Forse per via di Kaspiro: gli aveva già messo a sufficienza i bastoni fra le ruote ed Ernik sapeva che, per quanto affetto provasse nei confronti di Amila, non avrebbe mai provato per lei quello che provava Kas.

Ma chi sto prendendo in giro?! No, non era per Kaspiro che percepiva tutto quel disagio. La verità era che, nel suo egoismo, Ernik non accettava l'idea di dover sopportare la delusione della ragazza. La sua reticenza non era nient'altro che avara codardia.

Il ragazzo sospirò e staccò le mani dagli infissi sui quali le aveva posate, voltandosi verso la porta. Non sarebbe stato egoista, non quella sera. Poi s'incamminò verso la stanza ove avevano portato Amila.

La ragazza era stesa su un letto, la pelle giallognola e febbricitante, i capelli bagnati e legati in una sorta di lunga treccia malfatta che ricadeva sopra le coperte.

Non appena entrò, gli occhi verdi e lucidi della ragazza incontrarono i suoi ed Ernik si avvicinò, accennando un sorriso. «Stai... bene?» chiese titubante, affiancandosi al letto. Bravo, idiota! Che domanda stupida! Se stesse bene ti strozzerebbe!, meditò il ragazzo fra sé e sé.

Amila, invece, annuì debolmente. «Bene» disse, forzando un sorriso. Poi parve sul punto di dire qualcosa, ma si fermò. Sospirò.

«Resti con me?» domandò, infine, senza guardare Ernik negli occhi.

Il ragazzo inspirò profondamente e si sedette accanto a lei, sul letto. «Certo» le rispose. Poi le accarezzò i capelli fino a quando, su di lei, non ebbero la meglio sonno e stanchezza.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora