La sua stanza, in realtà, era una prigione. Un buco di cella che somigliava fin troppo a quella in cui era vissuta per un anno, alla corte di re Gohr. Tuttavia, Dazira dubitava che sarebbe rimasta ancora a lungo imprigionata dietro a quelle sbarre di ferro. Viva o morta, presto sarebbe uscita di lì.
Erano passate diverse ore, oramai, da quando era stata legata alle catene in grado di annullare i poteri del demone.
A giudicare dal decremento del via vai dei membri della setta lungo il corridoio posto di fronte alle sue sbarre, doveva essere sera inoltrata. Notte, forse. Difficile a dirsi, considerato il buio costante in quei cunicoli nascosti al resto del Mondo.
Per tutta la giornata, uomini e donne di ogni genere si erano affacciati alla cella per guardare con i propri occhi l'ultimo demone che avrebbe chiuso il cerchio, così Dazira aveva dato le spalle al corridoio, nella speranza che gli assassini della setta trovassero di meglio da fare rispetto a far visita al nuovo fenomeno da baraccone.
Da diversi minuti a quella parte, però, la situazione pareva essersi stazionata e la tranquillità aveva invaso l'ambiente, facendole tirare un sospiro di sollievo.
Il silenzio era calato all'improvviso, ma Dazira sapeva che non sarebbe riuscita a dormire neanche quella notte, benché percepisse la stanchezza come un macigno.
D'un tratto, di fronte a lei, comparve una figura. Lì, ove, fino ad un secondo prima, pareva non esserci nessuno.
Therar era seduto a terra con la schiena accostata al muro, le braccia appoggiate al ginocchio piegato, mentre l'altra gamba stava distesa sulla gelida pietra della prigione.
La stava guardando, chissà da quanto tempo. I suoi occhi neri, profondi come pozzi, scrutavano la ragazza alla ricerca dei suoi. Ma la prigioniera, dopo un primo momento, si costrinse a fissare a terra, serrando la mascella.
«Dazira» mormorò lui, passandosi una mano fra i lisci capelli scuri.
Nessuna risposta. Solo una espressione contrita e severa. «Dazira, ti prego... guardami!» insistette il maestro.
La ragazza deglutì e, finalmente, si voltò, posando su di lui un'occhiata glaciale, senza, però, dire nulla.
Therar sospirò. «Io...» Il ragazzo si morse il labbro inferiore, guardandosi intorno, come se non fosse stato più in grado di reggere i suoi occhi, come se fosse stato alla ricerca delle parole da utilizzare. Di certo, altre bugie. «Lo so che sei arrabbiata...»
«Che ti importa?» Il suo tono era duro come non lo era mai stato. Lei stessa non credeva di essere in grado di poter esprimere un tale flusso di rabbia.
«Mi importa. Parlami» sussurrò, ancora, lui. «Mi dispiace davvero, per Ladon» aggiunse poi, avvicinandosi un poco.
A quelle parole, l'ira che albergava nel suo corpo da qualche giorno a quella parte, prese il sopravvento. «Non dire il suo nome. Non lo meriti» affermò, sputando quelle parole con un tale disprezzo da far sgranare gli occhi persino all'impassibile Therar.
Ancora una volta, il ragazzo sospirò. «Va bene. Mi dispiace, per quello che vale. Se tornassi indietro, sapendo quanto dolore ti ha provocato, non lo farei! Ma ho bisogno che tu mi parli, ora!»
Dazira scosse il capo, ben consapevole che, se non avesse avuto quelle catene, la belva che era in lei l'avrebbe ammazzato. «Non ho niente da dirti».
«Sì, invece» insistette lui, alzando di poco la voce. «Puoi dirmi che sono un idiota, un traditore...» Dazira si voltò a guardarlo nuovamente: teneva la testa fra le mani e il suo tono era affettato. Di certo, un bravissimo attore. «Tu non... non sei così. Tu ti arrabbi, rompi le cose... come quella volta all'accampamento» aggiunse.
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LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potere
Fantasy[COMPLETO] La guerra è finita e i regni sono, oramai, in pace. Ma qualcos'altro minaccia la corona di re Gohr... qualcosa di molto più infido e pericoloso; un nemico invisibile pronto a tutto per ottenere ciò che vuole. Terzo ed ultimo capitolo del...