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Il principe Arthis sgranò gli occhi e, per un lungo, inquietante momento, si immobilizzò nel più assordante silenzio. Poi respirò a pieni polmoni e si accasciò sulla sedia con un'espressione indecifrabile.

Therar, di fronte a lui, sospettava di sapere cosa ci fosse scritto nella lettera che il principe teneva ancora stretta fra le dita e che, a quanto pareva, aveva letto più volte.

Era giunta qualche minuto prima a corte, portata nientemeno che da un cavaliere scelto di Forterra.

«Signore» mormorò la fidata spia che da anni, ormai, fiancheggiava l'erede al trono del regno. «Vi sentite bene?»

Arthis si passò una mano tra i volti capelli scuri, sollevando gli occhi verdi e posandoli su quelli di Therar con un sorriso soddisfatto dipinto in volto. «Mai stato meglio, Therar» dichiarò con ritrovata energia. «Mai stato meglio» ripeté mentre il suo viso pareva perdere un po' di tutti quegli anni che il ragazzo si era ingiustamente addossato. Perché, benché il principe non avesse ancora superato la soglia dei trent'anni, le responsabilità che da diverso tempo gravavano sulle sue spalle davano alla sua espressione ed al suo atteggiamento quasi dieci anni di più.

Era Arthis, infatti, ad occuparsi della gestione vera e propria del regno: era lui a dirigere le guardie, a sovrintendere l'articolata rete di spionaggio, a comandare l'esercito. Benché non sempre concordasse con le decisioni di suo padre, re Gohr, Arthis si era fatto carico di ogni aspetto burocratico e non che riguardasse l'amministrazione di Forterra; aveva imparato a farsi rispettare - nonostante la giovane età in cui aveva iniziato a rivestire i suoi ruoli - e a delegare il proprio lavoro alle persone competenti che avevano conquistato la sua fiducia.

Il principe scattò in piedi con ancora tra le mani il foglio in cartapecora contenente l'informazione che gli aveva destato così tanto entusiasmo. «Devo parlare immediatamente con il re!» esclamò mentre Therar gli leggeva in volto il susseguirsi di emozioni.

«Posso chiedervi, mio principe...»

«Si sono arresi!» strepitò infine, con una risata liberatoria. «È finita! Si sono arresi! Abbiamo vinto!» Poi, senza attendere oltre, si precipitò fuori dal suo studio dirigendosi verso la sala del trono, ove Gohr stava intrattenendo un colloquio con un vassallo in visita da Sartesia.

Sarebbero stati tutti molto felici di conoscere la notizia. Gohr in particolare, soprattutto dal momento che sarebbe stata una dimostrazione di come le sue idee fossero ben superiori a quelle altrui: era stato lui, infatti, a decidere di far addestrare la ragazza-demone cosicché potesse tornare utile. Ed una cosa era certa: senza di lei, l'esito della guerra sarebbe stato ben diverso.

Arthis, inizialmente, si era opposto, ritenendola un pericolo inutile per il regno, ma, con il tempo, il ragazzo si era dovuto ricredere sulla giovane Dazira e si ritrovava ora, paradossalmente, a ringraziare il fatto che quella maledizione esistesse.

Therar, con la ragazza, aveva fatto davvero un buon lavoro. Il principe sapeva di potersi fidare di lui.

La spia, infatti, aveva addestrato la ragazzina fin da quando ella non aveva che sedici anni e lavorava a palazzo come domestica personale della principessa Pheanielle. Dazira era solita girovagare per il castello fin da quando era piccola - con grande disapprovazione di suo padre Ladon, il bibliotecario - e, una notte, si era addentrata in uno dei passaggi segreti che portava ad un nascondiglio ove era stato dimenticato lo scrigno nel quale era rinchiuso il demone.

Era stato proprio Ladon a suggerire che la ragazzina venisse usata come arma. A ripensarci, Arthis si lasciò sfuggire un sorriso malinconico pensando che il bibliotecario, ancora una volta, aveva visto lungo, benché non fosse più lì per potersene rendere conto. L'uomo, infatti, era stato ucciso - probabilmente da un ladro - nei suoi appartamenti.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora