10 MISTERI A PICCOLO FIUME

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Avevano provato a forzare l'entrata, ma la roccia era troppo spessa. Avrebbero dovuto romperla.

Poi era successo qualcosa che aveva avuto dell'incredibile: decine e decine di persone si erano posizionate davanti all'uscio del tempio, fra i soldati e l'entrata nella cava, protestando contro i cavalieri con disperazione.

Gli uomini del re, tuttavia, non si erano dati per vinti e, anche a costo di doversi battere contro i cittadini, si erano fatti largo tra le file di civili a suon di percosse ed avevano continuato imperterriti nel tentativo di sfondare il solido portone rudimentale.

Prima o poi, i Rituali sarebbero dovuti uscire. A meno che, cosa alquanto probabile, le vie di fuga non fossero più di una. Altrimenti, non si sarebbe spiegato come avrebbero fatto a resistere un mese senza uscire dal nascondiglio per procurarsi i viveri, tempo addietro.

Poi, con un ultimo rantolio, il re spirò e venne deposta ogni arma, lasciando posto alla mera speranza di rivedere vivi tutti coloro che erano entrati nel tempio dei Rituali.

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Il passaggio nella cava, da quel giorno, non si aprì più, per molti anni a venire.

Con il trascorrere delle ore, le persone parevano innervosirsi sempre di più. E qualcuno dei cittadini di Piccolo Fiume aveva iniziato ad insultare i soldati che, con la loro arroganza, avevano tentato di demolire la pietra che chiudeva il passaggio.

Il sole era tramontato quasi del tutto, regalando gli ultimi istanti di una luce calda che pareva dipingere le pietre della cava di tonalità più scure. I tetti delle case, in lontananza, lì, ove il sole ancora li illuminava, avevano assunto una tinta aranciata e gli alberi lungo il pendio della collina avevano esteso la loro ombra nera verso est.

A quell'ora, a detta dei più, il rito doveva essersi concluso già da diverso tempo.

«Non li rivedremo mai!» aveva sostenuto qualcuno, mentre i familiari dei malati iniziavano a piangere i propri cari, ormai dispersi nella parete di roccia colorata.

Fu proprio quando ogni speranza di rivederli pareva essersi persa che, dalla fitta boscaglia ad est della cava spuntarono delle persone. Ernik, prima ancora di rivedere Amila, seppe che erano loro.

C'era un altro passaggio, esattamente come pensava.

Poi la vide: il volto era stanco, ma il suo pallore aveva lasciato posto a due guance rosee incorniciate dai capelli lunghissimi che scendevano in una treccia castana fin sotto il seno. Le corse incontro e l'abbracciò. Non era mai stato così felice di rivederla. Qualunque cosa avessero fatto, Amila stava bene ed Ernik sarebbe stato loro sempre grato per questo.

«Sono ore che camminiamo!» esclamò la ragazza tutto d'un fiato, una volta scioltasi dall'abbraccio. «Non ricordo nemmeno più da dove siamo partiti!» Poi, presa da un nuovo slancio, la ragazza gli gettò ancora le braccia al collo, con un sorriso di gioia e sollievo dipinto sul volto.

Ernik si guardò intorno. Così come Amila, tutti i malati stavano riabbracciando coloro che, per ore, avevano atteso il loro ritorno, pregando ogni divinità di poter rivedere chi era entrato nel tempio.

Fu dopo qualche minuto che Ernik, voltandosi verso Therar, notò che stava parlando con Dazira con un'espressione seria in viso. Lei aveva risposto qualcosa, probabilmente non del tutto convinta, a giudicare dalla smorfia che aveva fatto. Infine, la ragazza aveva annuito.

E, nonostante il momento tanto atteso, Ernik non riuscì a smettere di chiedersi cosa cavolo di fossero detti.

Il ragazzo ebbe l'occasione di parlare con Dazira solamente verso l'ora di cena quando, sedutosi accanto a lei nella locanda affollata, posò il suo piatto vicino al suo con finta indifferenza, ignorando apertamente gli occhi di Amila che, da un altro tavolo, sentiva puntati su di sé.

Ernik stava per aprire bocca, quando la ragazza lo precedette, posando la forchetta e rivolgendosi a tutti e tre i suoi commensali: «È stato deciso che il gruppo partirà domattina presto, perciò tutti i malati dovranno essere interrogati stasera stessa!» esordì in tono neutro, prima di riprendere in mano la forchetta e addentare un pezzo di carne.

Rebjo, seduto di fronte a lei, aggrottò la fronte che si intravvedeva appena sotto ai capelli biondo scuro. «È chiaro che la spedizione debba ripartire il prima possibile... dopotutto non possiamo permetterci di attendere oltre, considerato che le salme inizieranno a decomporsi e non so nemmeno se a corte siano a conoscenza della triste scomparsa del nostro sovrano...» dichiarò. «Mi sto solo domandando perché non farlo una volta giunti a corte, o durante il viaggio! Dopotutto, sono stati giorni difficili e pesanti e, con tutta probabilità, avranno bisogno di riposare».

Ernik annuì. Rebjo aveva ragione. In fin dei conti, la missione era stata portata a termine, anche se non propriamente con i risultati sperati.

In quel momento, dalle spalle di Rebjo, giunse Therar, i capelli scuri insolitamente legati dietro al capo che mettevano in evidenza la lunga cicatrice che gli solcava il volto. «Alcuni di noi rimarranno qui. Ecco perché. Quindi, più informazioni sapremo in partenza, più sarà facile scoprirne delle altre» disse l'uomo. Più Ernik lo guardava, più lo trovava inquietante e meno capiva il punto di vista di Dazira. Il ragazzo non riusciva nemmeno ad apprezzarne l'età: talvolta pareva avere poco più di vent'anni, talvolta trenta. Non che il fatto fosse, per lui, rilevante. Ma l'alone di mistero che circondava quell'individuo sempre vestito di scuro non l'aveva mai fatto sentire a suo agio in sua presenza.

«"Alcuni di noi"... sarebbero?» interrogò Ernik, cercando di concentrarsi più sulle parole dell'uomo che sul suo aspetto e sui suoi modi di atteggiarsi, che sempre gli avevano dato sui nervi.

«Al momento, io e Dazira» rispose Therar alzando le spalle. «La missione incaricata dal principe si esaurisce riportando a casa i malati. Non è mia competenza impartire ordini di questo tipo poiché, al di fuori di questa missione, la gente in armatura non è certo da me che prende ordini...»

Ernik annuì, facendo ondeggiare la folta chioma che gli ricadeva davanti agli occhi. «Quindi, stai cercando volontari» constatò iniziando a considerare l'idea di rimanere.

«Cercare non è esattamente il termine più appropriato. Se qualcuno vorrà unirsi a noi, sarà bene accetto. Il principe comprenderà».

Rebjo, a quelle parole, sorrise entusiasta. «Consideratemi dei vostri, allora!» esclamò prima di addentare anch'egli la sua cena.

Ad Ernik non servì pensarci per sapere cosa avrebbe fatto. In fin dei conti, aveva già deciso. «Anche io rimarrò con voi».

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora