12 TUFFO NEL PASSATO

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Rebjo e Therar erano spariti da un po', molto probabilmente.

Quando Dazira si svegliò, accanto a lei, vide solamente la figura di Ernik, completamente immersa nel sonno.

Dalla finestra, la luce del sole filtrava attraverso i balconi chiusi della bettola nella quale si erano trasferiti, appena fuori città. A giudicare dall'intensità dei raggi, doveva essere mattina inoltrata. Avevano dormito diverse ore senza rendersene conto.

Dalla branda di Ernik giunse un grugnito, seguito da un borbottio indefinito che la fece ridere. Senza pensarci due volte, la ragazza afferrò uno stivale da terra e lo lanciò sul malcapitato che, ancora addormentato, si svegliò spaventato sollevandosi immediatamente e picchiando la testa sulla trave appena sopra di lui. Il colpo fu così forte che il tonfo risuonò nell'ambiente ed il cavaliere fu costretto a riappoggiare la testa sul cuscino, imprecando come non mai.

Dazira rideva a crepapelle tenendosi la pancia, mentre Ernik insultava lei e tutta la volta celeste senza avere il coraggio di alzarsi.

Quando, finalmente, il ragazzo riuscì a sollevarsi senza inveire contro nessuno, si sedette sul bordo del letto. «Questa me la paghi» scandì con un ghigno di sfida che Dazira non gli vedeva in volto da anni.

Ernik prese la rincorsa e, afferratala per la vita, si scaraventò su di lei, facendola cadere a terra e bloccandola sotto al peso del proprio corpo.

La ragazza, con un colpo di reni, riuscì a svincolarsi ed iniziò una lotta a terra tra schiamazzi e risate, tanto che i due non sentirono arrivare Therar, fino a quando non se lo trovarono davanti, l'aria severa. «Vi state divertendo?» li ammonì aggrottando le sopracciglia.

Dazira si alzò in piedi all'istante, passandosi una mano fra i capelli mossi e scompigliati. «Therar, noi...»

«Vi ricordo che siete qui per cercare informazioni, non per dormire tutta la mattinata e comportarvi come mocciosi!»

Il resto della giornata trascorse lentamente fra ricerche e interrogatori a coloro che erano guariti e alle loro famiglie.

In conclusione, così come nei giorni successivi, non scoprirono niente di concreto, salva una certa coerenza collettiva nel diffondere le informazioni. Tutti, infatti, davano pressoché le stesse risposte: nessuno sapeva come raggiungere i Rituali, erano loro stessi a trovare chi interessava loro e, di tanto in tanto, giungevano voci che essi reclutassero nuovi membri del tempio... ma, fino a prova contraria, queste non erano altro che dicerie poiché nessuno aveva denunziato la scomparsa di amici o familiari.

Non esisteva alcun passaggio segreto che portava al tempio. Nessuno li aveva mai visti in faccia, né sapeva dire se essi utilizzassero la botanica per le cure, ma tutti gli interrogati adoperavano la stessa parola: magia.

La dinamica era sempre la stessa: chi veniva accettato dai Rituali usciva dal tempio con le proprie gambe pochi minuti prima del tramonto, in perfetta salute. Come se nulla fosse successo.

Dicevano di essere stati portati al cospetto di un uomo (non era chiaro se fosse sempre lo stesso per tutti poiché, come tutti i Rituali, non era mai stato visto in faccia) in grado di guarirli, dopo averli fatti stendere su una brandina rivestita da un tessuto verde di un certo pregio, grazie ai poteri di qualche spirito innominato.

I Rituali non chiedevano nulla in cambio, almeno così avevano sostenuto i guariti, ma era chiaro che essi avessero ottenuto qualcosa dagli abitanti di ben più prezioso e pericoloso: gratitudine e fedeltà.

In linea generale, però, erano poche le persone disposte a raccontare e, con molta probabilità, sarebbe stato più facile estrapolare qualche informazione una volta giunti a palazzo, parlando in modo più approfondito con coloro della corte che erano reduci dell'esperienza.

Dazira e Rebjo avevano, poi, percorso tutto il perimetro della piccola altura sulla quale si trovava la cava, alla ricerca del passaggio segreto ipotizzato da Ernik. Se quel nascondiglio esisteva davvero, però, doveva essere stato occultato in maniera esemplare poiché non vi erano impronte o tracce del passaggio dell'uomo nella vegetazione.

Nel complesso, quei giorni a Piccolo Fiume furono un enorme, colossale, buco nell'acqua.

Quella città pareva cosparsa da una cupola di ignoranza e menefreghismo che aveva reso pressoché inutili le loro ricerche. Nessuno a Piccolo Fiume vedeva, sentiva o aveva capacità di parola al punto tale da poter risultare utile. Tanto era il timore e la devozione verso i Rituali che gli abitanti sembravano non essere nemmeno più fedeli alla Corona, se ciò voleva dire tradire coloro che li avevano guariti dal morbo mortale.

Questo sarebbe stato di certo un problema e il futuro re, Arthis, doveva esserne messo al corrente il prima possibile.

LA QUINTA LAMA (III) - I supplizi del potereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora