cap. 29 - Il giovane principe

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L'Elfo non mantenne la parola.

Non appena Goneril si fu allontanata di una decina di metri, la creatura lanciò l'allarme, suonando il piccolo corno che portava appeso in vita.

"Vigliacco." mormorò lei fra sè. Poi iniziò a correre, cercando di non ferirsi mentre passava vicino ai rami secchi degli arbusti gelati dall'inverno. Doveva assolutamente raggiungere il fiume Celduin, doveva uscire da quella foresta, doveva rivedere il sole, la cui luce filtrava impertinente fra le foglie.

Ma il suono che provenne dalla boscaglia non era affatto rassicurante. Qualcuno si era lanciato al suo inseguimento, e non era un Elfo solitario e ferito...erano molti. Molti di più, tutt'intorno a lei.

Quel soldato aveva richiamato a sè tutta la coorte e aveva suonato tre volte il suo strumento: un segnale che probabilmente significava l'intrusione di uno straniero nel loro territorio. E ora potevano esserci sei, dieci, venti Elfi sulle sue tracce.

Goneril corse a perdifiato tra i massi, sul muschio scivoloso, evitando i tronchi d'albero con la stessa agilità di uno scoiattolo. E va bene, pensò. Volete catturare l'umana? Provateci. Correte, correte...vi scoppierà il cuore prima o poi.

L'oscurità del bosco non le permetteva di distinguere il sentiero sotto i suoi piedi, e per un attimo temette di aver imboccato la via sbagliata, mentre dietro di lei le grida dei soldati di Boscoverde in avvicinamento si facevano più decise.

"Raggiungetela! Non permettetele di scappare!" gridò una voce, in elfico. Erano vicini ora, troppo vicini.

Goneril vide da lontano il tronco di un albero divelto dal terreno. Era vuoto: i tarli e la muffa avevano consumato la polpa. Ebbe l'improvvisa pensata di nascondersi dentro di esso e aspettare che quel gruppo di Elfi soldato passasse oltre, senza vederla. Fece per dirigersi verso quel gigantesco cadavere di legno, quando tre frecce sibilarono accanto alle sue orecchie e si conficcarono nel terreno.

"Ferma dove sei. O la prossima ti finisce nella schiena". Comandò una voce.

Goneril si immobilizzò. L'avevano raggiunta, come del resto si era aspettata. Seminare gli Elfi nella corsa era probabile quanto vedere la neve in Agosto.

Sospirò, mentre il cuore le martellava nel petto per lo sforzo di correre.

"A terra quella spada. Non scherzare con me." ripetè la voce. Goneril si girò.

Vide davanti a lei un arciere dall'espressione severa e autoritaria. Era alto e ben piazzato, lunghi capelli neri, come i suoi occhi, gli incorniciavano un viso dai lineamenti duri. Non fosse stato per le orecchie a punta, l'avrebbe quasi preso per un Uomo. Impugnava un arco dorato e aveva già la prossima freccia nell'altra mano. Quella destinata a lei.

Doveva essere il capitano di quella compagnia. Attorno a lui, si radunarono gli altri soldati, tutti armati di arco e dardi già puntati sull'intrusa.

"Tu sei il grande comandante Feren, immagino." disse Goneril, scuotendo il capo. Per un brevissimo istante, si era concessa il lusso di sperare di farcela. Ma adesso sarebbero stati acidissimi cavoli per lei.

L'Elfo sorrise. "Conosci il nostro popolo, vedo. Ma ti sbagli: il nostro Comandante non viene mai a pattugliare il bosco. Il mio nome è Varian."

Goneril si asciugò il naso, che stava cominciando a colare dal freddo. "Vorrei poter dire che è un onore conoscerti, ma non lo è per niente." disse. "E se pensi che io abbia intenzione di farmi legare e trascinare in una cella da voi, sei anche più stupido di quello che sembri."

Senza dire una parola, Varian si avvicinò a lei e le assestò un pugno nello stomaco. Goneril si piegò in due per l'atroce dolore, e cadde sulle ginocchia.

La donna dell'EstDove le storie prendono vita. Scoprilo ora