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Il lavoro in discoteca, invece, tira fuori il mio lato peggiore, se così lo vogliamo chiamare. Quando sono su quel palco non vedo nulla, non capisco nulla. Penso solo a ballare, a divertirmi e a fare bene  il mio lavoro. La paga è buona e le mance ancora di più. Ci sono persone, per lo più uomini grandi e distinti, che per un mio ballo in privato di un quarto d'ora pagano anche duecento euro che divido a metà con il proprietario del locale. Me ne bastano due o tre a settimana per assicurarmi uno stipendio di tutto rispetto. E quando parlo di balli in privato, intendo proprio balli in privato, niente di più. Nessuna toccatina, nessuno spogliarello. Se solo si azzardano ad allungare le mani li buttano fuori e rischiano anche una denuncia per molestie sessuali.
Io amo ballare, e la prima cosa che ho messo in chiaro è stata questa, che sono qui per ballare e non per prostituirmi. Fortunatamente hanno accettato e lavoro qui da poco più di un anno. Ci sono alcune mie colleghe che invece fanno anche altro e guadagnano molto più di me ma onestamente preferisco non scendere a compromessi perché non fa per me. Il sesso mi piace ma non lo faccio a pagamento. Anche se, come diceva anche Gaia ultimamente, non frequento un ragazzo da parecchi mesi e il sesso mi manca. Ho avuto qualche rapporto occasionale ma non li preferisco, mi annoiano e comunque risalgono a più di cinque mesi fa.
"Quest'estate perché non ce ne andiamo a Marrakesh?" Le domande che mi fa alle quattro di mattina dopo una serata di lavoro sono sempre fuori luogo. "Ti sembra il momento, Gà? Ho sonno e poi siamo ad ottobre, manca quasi un anno alle vacanze" rispondo quasi acidamente. "Lo so infatti pensavo di andarci verso marzo se tutto va bene, che dici?" fa ancora domande ma stavolta ho gli occhi talmente pesanti che si chiudono da soli e non le rispondo, almeno fino alla mattina successiva.
"Ieri poi non mi hai risposto. Il Marocco ti piace?" Mi mette la tazzina di caffè sul comodino e si siede sulla sedia della mia piccola scrivania. "Sì va bene, però devo vedere bene i giorni che devo dirlo a Salvo e al locale" dico ancora con la voce impastata di sonno. "Sì tranquilla, poi scegliamo insieme i giorni" si alza soddisfatta della nostra chiacchierata e mi sorride. Se ne va e mi lascia poltrire ancora qualche minuto tra le coperte. Bevo il caffè che mi aiuta a svegliarmi e mi alzo. Apro le tende e le persiane: fuori piove, il cielo è grigio e minaccia tempesta. Istintivamente alzo lo sguardo al settimo piano, l'ultimo del palazzo ottocentesco ristrutturato da pochi anni in cui vive Fabian. Ed eccolo: immancabili boxer, cuffie nelle orecchie e risata stampata in faccia. Nonostante fuori non ci siano nemmeno dieci gradi lui è seminudo in giro per casa, suppongo grazie ai riscaldamenti accesi. Ad un certo punto intravedo un'altra persona e il cuore inizia ad andarmi più veloce senza motivo. Ma poi quando vedo un ragazzo biondo più basso di lui mi calmo e riprendo a respirare normalmente. Fabian posa il cellulare e si infila un t-shirt, parlando con questo ragazzo.
"Marti, la colazione è pronta, vieni?" La voce di Gaia mi fa spaventare e salto letteralmente dal pavimento chiudendo di scatto le persiane. Non voglio che Gaia pensi che sia una maniaca anche perché non lo sono, la mia è solo curiosità.
"Che stai guardando là fuori?" Mi domanda camminando verso di me a piedi scalzi "Nulla, guardavo la pioggia. Mi rilassa" le vado in contro per distoglierla dall'idea di guardare anche lei fuori e ci riesco. "Ha iniziato stanotte e non ha più smesso, ci ha rotto le palle, altro che rilassante" sbuffa seguendomi in cucina. Ho la mattina libera, in libreria ho il turno pomeridiano e poi stasera mangerò di nuovo la pizza visto che non lavoro mentre Gaia sì.
In libreria fu una serata tranquilla, quasi non entrò nessuno e passai le ore a sentire i racconti di Salvo sulla Napoli antica e sulla sua gioventù. Salvo è un uomo sulla settantina con la passione per la lettura e la storia, sa raccontarti per filo e per segno la storia della nostra città e lo fa in un modo che ti trasporta. Per me è come un nonno a cui però posso raccontare di tutto, ha la mente molto aperta per l'età che ha. Infatti sa del mio secondo lavoro e non mi ha mai giudicata, anzi, dice che devo camminare sempre a testa alta perché il mio è un lavoro onesto. Sono fortunata ad averlo incontrato, è un po' il mio mentore e la mia guida.
Quando esco dalla libreria non piove più e ne approfitto per tornarmene a casa senza il caos che crea la pioggia. Ordino di nuovo la pizza e poi mi metto comoda sul divano. L'idea di affacciarmi per vedere se lui c'è mi fa scalpitare, scendo e salgo più volte dal divano, indecisa come sempre. Poi decido di andare. Apro le persiane e butto l'occhio al settimo piano: le imposte sono spalancate così come gli infissi ma  le luci sono spente e non c'è traccia dello spagnolo. Delusa me ne torno al divano e ricomincio a guardare il film. Ad un tratto della serata, sento una musica forte provenire da fuori e vado a vedere di che si tratta. E' Fabian, o almeno, la musica proviene da casa sua. E' una musica latina, e non è solo, vedo altre persone e sembra che stiano ballando balli di coppia. Resto a guardare e ad ascoltare un po' di tempo fino a che non vedo Fabian affacciarsi ed è giusto un attimo - una frazione di secondo - che gli impedisce di vedermi. In quella frazione di secondo mi nascondo dietro la persiana e mi appiattisco come se potesse vedermi anche all'interno di casa mia. Il cuore mi va a vento, sento il terrore di essere scoperta scorrermi nelle vene e tremo. Tremo ma mi sento viva, mi sento bene, mi sento impavida. Nella mia mente si fa strada un'idea, strana, forse contorta ma si fa sempre più largo: voglio che Fabian mi veda, voglio che mi veda e voglio che mi guardi come io sto guardando lui. Devo fare in modo che accada.

Nati dalla tempesta | Fabián RuizDove le storie prendono vita. Scoprilo ora