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|Fabián|

Sono a casa mia, a Los Palacios y Villafranca un paesino a sud di Siviglia. Sono finalmente con mia madre che amo da impazzire, mia sorella e mio fratello. Passerò le vacanze di Pasqua qui e anche il mio compleanno che è il quattro di aprile. Sono contento di essere qui, ogni anno ci vengo per stare un po' tranquillo e spegnere i riflettori. La stagione calcistica sta andando abbastanza bene anche se come squadra siamo fuori già da tutto. Personalmente sto crescendo e ne sono felice, il Napoli si sta dimostrando la scelta giusta. Quando sono a casa non sono quello di Napoli, qui mi calmo. Tornare qui mi rende il ragazzino di una volta, quello troppo alto per fare l'ala di centrocampo, quello troppo magro, quello che parla poco, quello chiuso, quello che ha ucciso la fidanzata nemmeno maggiorenne. Ecco un altro motivo per cui sono qui, Sara. Ogni anno, quasi sempre al mio compleanno vengo qui e vado in ospedale da lei. Quest'anno non è come gli altri, io non sono come gli altri anni. Mi sento in ansia a vederla, mi sento colpevole, mi sento sporco. Come se avessi fatto qualcosa che se lei sapesse mi odierebbe. So che non può saperlo, so che ormai non ha facoltà di percezione, ma quando sono con lei mi sento come se leggesse il mio cuore. E se fino all'ultima volta che l'ho vista il mio cuore era solo e completamente suo, ora non lo è più. Martina ormai fa parte di me, e anche se lo nego e se la allontano, a Sara non lo posso nascondere. Lei è sempre stata la mia confidente, la mia migliore amica, la mia ancora nei momenti più bui. Le ho sempre detto tutto, è sempre stata dal mio lato. Fu la prima a cui dissi dell'offerta del Napoli, corsi da lei in ospedale un pomeriggio di metà giugno e piansi con le sue mani tra le mie mentre le dicevo che presto me ne sarei andato dalla Spagna per coronare il mio sogno. Sogno che ho raggiunto grazie a lei. Era l'unica che credeva in me, da quando ero un ragazzino problematico troppo basso e mingherlino fino a quando ero cresciuto trenta centimetri durante un estate ed ero diventato troppo alto. Ero sempre troppo: prima troppo basso, poi troppo alto, sempre troppo magro. Lei invece in me ha sempre visto del potenziale, mi ha sempre spinto a non arrendermi, mi ha sempre incoraggiato a non mollare. Era sempre sul campo con me, con la pioggia o con il vento. Sempre lì con un sorriso per me.
Quando ebbe l'incidente pensai di smettere col calcio, ero depresso, triste, mi sentivo colpevole. Perché lei e non io? Continuavo a ripetermi senza avere risposta. Poi capii che il calcio era l'unica cosa che amavo dopo di lei e mi convinsi a continuare. Quando me ne andai da Los Palacios y Villafranca per andare al Betis per me fu un trauma. Passai dal vederla ogni giorno al vederla ogni settima, poi ogni mese e ora a non vederla per un anno intero e all'inizio fu difficile per me. Ora è passato quasi un anno e sto cercando di superarlo. A Napoli ho cercato di farmela passare andando con chiunque, cosa che in Spagna non facevo. Mi sono abituato alla mia vita da playboy ma ora rivederla dopo tutto questo tempo mi fa stare in ansia.

La mattina che devo andare in ospedale mi sveglio presto e faccio tutto con calma. Mia sorella si offre di accompagnarmi ma le dico di no, ci sono sempre andato da solo e anche stavolta sarà così. Prendo l'auto e vado, parcheggio e salgo al suo piano. Le ho preso un mazzo di margherite, i suoi fiori preferiti. Quando entro nel corridoio che mi porta alla sua stanza mi manca l'aria, mi sento il sudore scorrermi sulla fronte e ho la vista annebbiata. Quando la vedo poi, piango. Non faccio altro che piangere e chiederle scusa, scusa per tutto ciò che le ho causato, scusa per come mi sto comportando, scusa per non aver mantenuto la promessa di portarla con me ovunque. Le chiedo scusa per Martina, deve scusarmi se ho guardato un'altra con gli stessi occhi con cui guardavo lei. Le chiedo scusa e la stringo a me per quanto mi è consentito, le dico che mi manca, che la mia vita senza di lei è più vuota. Poi le racconto di Napoli, della città che mi piace tanto, dei miei compagni di squadra, di Martina. Giro e rigiro torno sempre a Martina, ma stavolta parlo di lei col sorriso. Le racconto dei nostri primi sguardi dal balcone, dei suoi modi di fare che mi fanno impazzire, del suo odore che mi manda fuori di testa. Le racconto delle stronzate che ho fatto con lei, delle cattiverie che le ho fatto, del codardo che sono stato scappando via quando la storia stava diventando seria. Le racconto tutto e so che mi sta ascoltando, lo sento. Quando dopo un'ora e mezza vado via mi sento più libero come se mi fossi tolto un macigno dalle spalle.
Torno a casa più rilassato e calmo e trascorro il resto delle vacanze con la mia famiglia.
Poche ore prima che vado all'aeroporto per tornare a Napoli, il mio avvocato italiano mi manda un messaggio che non so come interpretare e che mi fa preoccupare non poco.
'Quando torni a Napoli? Devo parlarti, qua sta succedendo un casino. Fammi sapere.'

Nati dalla tempesta | Fabián RuizDove le storie prendono vita. Scoprilo ora