Un nuovo giorno era finalmente giunto. Erik arrivò al casolare e trovò Caleb che dormiva profondamente sul divano con a terra una bottiglia di birra e tante cicche di sigarette.
«Cal, Cal svegliati» lo scosse, notando il fazzoletto sul tavolo pieno di sangue «Caleb svegliati».
Sussultò, guardandosi intorno stravolto. «C-che succede?» sbadigliò.
«Dimmelo tu!» gli indicò il fazzoletto «vi siete presi a botte o cosa?».
Si sedette. «Ah quello...» si stiracchiò «quel coglione ha combinato un casino. La micetta lo ha colpito, tentando la fuga».
Spalancò gli occhi. «Cosa cazzo ha fatto?» alzò la voce, rabbioso «quella stronzetta sta provando a fotterci. Sapevo che non era una buona idea lasciarlo solo con lei» calciò una sedia, muovendosi nervosamente per la stanza «praticamente adesso conosce dove la teniamo prigioniera».
«Prenditela con quel buono a nulla» sbadigliò ancora «però è stato bello vederlo sofferente» sogghignò.
«Non è il momento di scherzare» sbuffò «questa storia sta diventando pericolosa. Porca puttana, Caleb! Mi auguro tu l'abbia spaventata a dovere. Se la lasciassimo andare, dopo il riscatto, ci manderebbe dritti in galera».
«Non lo farà. È tutto risolto» sbuffò «hai fatto colazione? Vuoi uova strapazzate e bacon?».
Annuì, sospirando rumorosamente. «Se continua a bere, gli spacco quella faccia di merda che si ritrova» lo guardò dubbioso «con cosa l'avrebbe colpito esattamente? In quella stanza non c'è nulla che possa essere usata come arma».
«Non lo so! Non ho chiesto in realtà. Potremmo andare a chiederlo direttamente a lei».
«Sarà meglio! Non sappiamo se ce l'ha con sé e se la userà nuovamente» fece spallucce «meglio levarle ogni possibilità di riprovarci».
Ultimò la preparazione della colazione e, dopo averla gustata, i due andarono a far visita a Chloe.
«Sveglia!» esclamò Caleb a gran voce.
«Sono sveglia!» brontolò, lanciandogli un'occhiataccia.
«Un uccellino mi ha informato di quanto sei stata monella ieri» proferì Erik, facendola sussultare.
«Non provare a toccarmi» gli puntò il dito contro, mettendosi in piedi.
«Nervosetta questa mattina» Caleb incrociò le braccia «sai, il mio amico si è posto una domanda curiosa e intelligente».
«Sarebbe?» li fissò in cagnesco, facendo alcuni passi indietro.
«Mi stavo giusto chiedendo... Con cosa hai colpito il nostro amico ieri?» si passò una mano sul mento, in attesa.
Lei si rilassò appena, continuando a restare sulla difensiva. «C-con il manico di una scopa» rispose, notando gli occhi di Erik cambiare espressione.
«Il manico di una scopa?» chiese confuso Caleb «e dove lo avresti trovato?».
«In bagno!» rispose immediatamente «dovreste prestare più attenzione. Se non volete che vi sfugga, non dovreste lasciare a mia disposizione oggetti contundenti!».
«Porca troia...» sussurrò Erik, abbassando lo sguardo imbarazzato.
Caleb spostò lo sguardo su di lui. «Dalla tua esclamazione, dovrei dedurre che c'entri qualcosa?».
«Non davanti a lei» disse tra i denti, mentre Chloe li osservava divertita.
«Ops, vi siete fatti fregare da una ragazzina» si pavoneggiò.
«Tu sta zitta!» sbuffò «porca miseria! Lo sai che va in bagno...ve la lascio un giorno e tu dimentichi la mazza in bagno e quell'altro si ubriaca da far schifo» continuò a urlare «non siete capaci nemmeno di ottenere un cervello in due».
«Scusa tanto se nelle ultime 24h ho trascorso il mio tempo ad eliminare le prove del suo passaggio qui» indicò Chloe, alzando a sua volta la voce «l'avrò dimenticata quando ho usato la candeggina sul pavimento. Dovresti prendertela con quel buono a nulla del cazzo».
«E poi avete il coraggio di lamentarvi se sono io a dettare ordini»Caleb si avvicinò a Chloe «e tu levati quel sorrisino del cazzo dalla faccia» disse afferrandola per il collo «d'ora in poi andrai in bagno solo se ci sono io. Altrimenti fattela nelle mutande».
Gli afferrò il polso a sua volta per farsi lasciare, sentendo il respiro corto. «L-lasciami... N-non respiro» lo guardò sofferente.
Mollò la presa, facendola barcollare. «Non farla tanto tragica».
Tossì, portandosi una mano alla gola. «Sapete solo fare questo. Mettere le mani addosso ad una donna, definendovi uomini. Voi siete solo dei codardi, delle bestie» ribatté lei, pungente.
«Falla tacere o le mollo un ceffone» esclamò Erik, uscendo dalla stanza furioso.
«Ah sì?» le andò vicinissimo «forse dovrei dargli ascolto?».
«Fallo!» lo provocò, alzandosi sulle punte «ma fallo levandoti questa maschera. Fammi vedere se il coraggio di alzare le mani su una ragazzina ti resta» susseguì velenosa.
Sussultò. «Questa richiesta da parte tua è a dir poco ridicola! Cosa vorresti ottenere guardandoci in faccia? Sai che questo tuo desiderio non è altro che la firma della tua condanna?».
«Allora dimmi dove devo firmare!» replicò acida, fissandolo «se ti guardassi in faccia, ti darei finalmente credito. Se vuoi incutermi paura, almeno fallo con la tua faccia, codardo!».
La fissò attentamente e poco dopo si allontanò, dirigendosi alla porta.
«Lo sapevo!» incrociò le braccia «non ne hai affatto di coraggio! Se hai paura di levarla, perché poi sai che dovresti solo uccidermi, allora eccomi. Sono pronta a questa evenienza. Per lo meno, saprò di aver guardato in faccia il mostro che mi ha rovinato la vita».
«Dovresti badare bene a ciò che dici!» chiuse la porta e si avvicinò nuovamente a lei.
La osservò ancora, senza dire nulla. Occhi negli occhi. Prese un bel respiro e improvvisamente si sfilò il passamontagna, mostrandosi a quella ragazzina tanto piccola, ma tanto coraggiosa.
Chloe smise di respirare in quel preciso istante. Lo osservò incantata e, finalmente, poté conoscere l'uomo che aveva sempre provato ad immaginare.
Un bellissimo e giovane ragazzo, si mostrò a lei. I suoi capelli biondi, con riflessi baciati dal sole, contornavano il suo viso privo di barba e risaltavano magicamente i suoi meravigliosi occhi verdi. Restò senza fiato davanti alla sua bellezza e le risultò impossibile associare quel viso angelico all'uomo che aveva imparato a conoscere in quei giorni. Non riuscì a parlare né a muoversi e continuò a seguire quei lineamenti, sentendosi smarrita.
«Cosa c'è? Hai perso la lingua adesso?».
Deglutì a vuoto, scuotendo la testa. «I-io... Non sei come ti ho sempre immaginato» rispose con un filo di voce, sentendo il cuore esploderle in petto.
«E dimmi un po'...come mi immaginavi?» le toccò i capelli.
Arrossì improvvisamente, poggiandosi al comodino alle sue spalle. «T-tu... Tu sembravi vecchio e con un viso da serial killer».
Scoppiò inevitabilmente a ridere. «Un viso da serial killer» scosse la testa, rassegnato.
Fece spallucce. «S-sì, un viso cattivo, brutto, rugoso» disse di getto «n-no che tu sia bello...cioè, piacente» mentí, in preda all'imbarazzo.
«Hai fatto così tanta polemica, pur di vedermi in faccia e adesso? Non vuoi guardarmi? Hai paura che ti faccia a pezzetti?».
A quella affermazione, si drizzò sulla schiena e lo fissò nuovamente truce. «Adesso che ci penso, il tuo essere rispecchia perfettamente il tuo viso» si allontanò da lui «sono sorpresa dal tuo coraggio! Affila i coltelli, mi raccomando».
«Come vuoi tu» coprì nuovamente il volto «ah...giusto per evitare altre domande. Mi chiamo Caleb» uscì dalla stanza e, chiusa la porta, si lasciò scivolare sul pavimento.
«Caleb...» ripeté lei, portandosi l'indice sulle labbra «Caleb» sussurrò ancora, poggiando entrambe la mani su quella porta. Sospirò e una strana sensazione di vuoto la travolse. Per un attimo sentì di aver perdutamente amato quel viso. Non le importava cosa ciò avrebbe comportato. Finalmente era riuscita a conoscere il suo volto.
«Da ora, se per te va bene, faremo i turni noi due» disse Erik dalla cucina, non appena sentì chiudere quella porta.
«Mh?» alzò lo sguardo «sì, per me va bene. Quello stupido è fin troppo inaffidabile!».
«Che ci fai seduto per terra?» gli chiese, comparendo sulla soglia «la ragazzina ti ha stremato per caso?» susseguì ironico.
«Sì, può darsi! Ho solo bisogno di un po' di calma» si massaggiò le tempie.
Lo guardò interdetto e poi annuì. «Se per te non è un problema, resto io il giorno e tu la notte. Mia madre ha bisogno di me la sera, Cal. Almeno per qualche giorno. So che è pesante restare qui nelle ore notturne, ma ormai non possiamo più far affidamento su quel coglione. Lui potrà restare con me di giorno».
«Sì, va benissimo» si alzò «tanto non ho nessuno che mi aspetta a casa! Poi vedremo cosa fare con quello stupido!» afferrò le sue cose «però è stata brava la micetta. Ha fatto ciò che desidero fare io da tempo».
Rise. «Ha coraggio la gattina, bisogna ammetterlo. Se non fosse tanto stronza e ribelle, potrebbe anche piacermi» fece spallucce.
«Sei povero, amico! Non ti guarderebbe mai» gli diede una pacca sulla spalla «io vado! La micetta mi ha fatto sudare parecchio questa notte. Ho bisogno di una doccia».
Il resto della giornata trascorse tranquilla. Erik pranzò in tutta calma e Chloe si sforzò di comportarsi bene, chiedendosi quando avrebbe rivisto Caleb. Joseph, al contrario, non si fece vedere al casolare e passò la sua giornata ad ubriacarsi, con teppisti della zona.
Caleb, che ormai era rientrato a casa, si tolse i vestiti frettolosamente e si gettò in doccia, provando a lavare via anche i pensieri che lo tormentavano. Passò le mani nei suoi biondi capelli e si lasciò scivolare sul piatto doccia restando lì, con l'acqua che scorreva lungo il suo corpo perfetto e scolpito.
Riordinati i pensieri, uscì e decise di ampliare i suoi spazi. Entrò in un ristorante indiano e acquistò del cibo per cena. Tornato al casolare, era pronto per dare il cambio a Erik.
«Non preoccuparti per me! Controllerò che tu non abbia lasciato mazze in bagno» esclamò Caleb sarcastico «va pure, o la mamma si preoccuperà».
Erik chiuse gli occhi a fessura. «Non è necessario ricordarmi quanto io sia stato coglione» sbuffò, afferrando immediatamente il suo giubbotto «finalmente posso respirare la libertà. Ci vediamo domani. Ho informato Joseph del tuo turno e non verrà! Era già fottutamente ubriaco» sospirò salutandolo e uscì dal casolare pochi minuti dopo.
«Meglio così...» disse tra sé, uscendo i contenitori dal sacchetto «la ragazzina ha ragione. Sembrano buoni».
Prese il passamontagna, ma si bloccò poco dopo sorridendo e andò da Chloe.
«È pronta la cena!» esclamò avvicinandosi a lei.
Sussultò. «C-ciao...» guardò alle spalle di Caleb «non hai paura che possa vederti il tuo amico?».
«No! Ci sono solo io questa sera» gli porse il contenitore «riso con pollo al curry».
Lo guardò e trattenne un sorriso. «Cibo indiano eh?!» lo prese in giro, iniziando a gustarne il sapore «è ottimo! Hai saputo scegliere anche il locale giusto» si complimentò.
«Beh seguo i profumi» si sedette, incrociando le gambe «vediamo un po' che sapore ha questa strana poltiglia» assaggiò un bocconcino di pollo, facendo un verso di apprezzamento.
Lo osservò attentamente e un sorriso dolce inevitabilmente apparve sul suo volto. «Mi piacciono i tuoi capelli» proferì, senza rendersene conto. Si portò una mano sulla bocca e deglutì a vuoto, accorgendosi della gaffe.
Sogghignò, senza rispondere. «Ho visto gente che mangiava questa roba con le mani!».
Gli tolse la forchetta di mano e la posò nel contenitore vuoto. «Fallo! È così che andrebbe mangiato» prese con le dita una piccola porzione e se la portò alla bocca, sorridendo.
«Una snob come te non dovrebbe usare le mani» corrugò la fronte, osservandola con attenzione.
Si riempì la bocca con il cibo e si leccò le dita, ignorando la sua affermazione. «Un sempliciotto come te, non dovrebbe usare le posate. Vi ho sempre immaginati rozzi a tavola».
Scoppiò a ridere. «Mi stai confondendo con quell'ubriacone che purtroppo ho coinvolto» iniziò a mangiare con le mani.
«Stai allargando i tuoi orizzonti» lo guardò con dolcezza, osservando il suo viso dai tratti delicati «non uscirò viva da qui, vero?» chiese dopo diversi minuti di silenzio, divenendo seria.
«Mi hai visto in faccia. Non posso rischiare» fece spallucce.
Sentì una stretta al cuore, smettendo di mangiare. «Ed è per questo che mi hai detto anche il tuo nome, vero? Eri troppo sicuro che non sarei più andata troppo lontana!» cambiò espressione, sentendo la rabbia aumentare.
«Già...».
«Già...» ripeté acida «sono scappata una volta, potrei ripetere l'esperienza» iniziò a provocarlo, mettendo il suo contenitore sulle gambe di lui «non serve sfamarmi. Ormai già sai cosa farne di me!».
«Provaci e passerai i tuoi ultimi giorni con collare e guinzaglio» si levò il contenitore dalle gambe, continuando ad assaporare quel cibo nuovo per lui.
Spalancò gli occhi, sconvolta. «Davvero?!» alzò un sopracciglio «fammi vedere di cosa sei capace, spaccone! Dimostrami che sai usare il tuo adorato coltellino».
Si ripulì le mani e raccolse il tutto, gettandolo in un sacchetto.
«Riesci ad essere irritante con poco» cambiò atteggiamento «te la tapperei quella bocca».
«Wow, che uomo!» avvicinò il viso al suo «quando deciderai che dovrò morire, assicurati di essere tu a fare il lavoro sporco!» lo indicò, premendo l'indice sul suo petto «voglio che, guardandomi, tu riesca comunque a togliermi la vita» si avvicinò ancora, con aria di sfida «ed io, di conseguenza, voglio guardare i tuoi occhi. Voglio poter restare nella tua testa e voglio poter entrare nei tuoi sogni, facendoli diventare incubi. Finché avrai respiro, voglio essere il tuo tormento» abbassò lo sguardo sulle sue labbra, senza allontanarsi.
Restò immobile per un po' e poi le afferrò i capelli, strattonandola. «Ti stai prendendo troppe libertà, micetta. Cerca di parlare un po' meno, perché da quella bocca escono parole che non puoi rimangiare».
Fece una smorfia di dolore, costretta a piegare la testa. «In un contesto come questo, mi piace prendermele» ribatté velenosa «adori farmi male, vero?! È la cosa che ti riesce meglio» lo fissò con disprezzo.
«Che cazzo vuoi? Stai cercando di farmi perdere la pazienza? Saresti davvero disposta a provocare la bestia che è in me?» rafforzò la presa «cosa c'è in quella tua testa vuota?».
«Non aspetto altro!» replicò ancora, senza lasciarsi intimorire «fai bene ad ammazzarmi, sai?! Perché, se così non fosse, andrei volentieri a parlare con la polizia... Caleb!» pronunciò il suo nome, accarezzandolo con le labbra.
Un ghigno apparve sul suo viso. «E invece tu non faresti mai il mio nome».
«Ah no?! E cosa te lo fa pensare?» gli afferrò il polso, per fargli mollare la presa.
«Tu! La tua falsa aggressività» allentò la presa «e il fatto che la tua bocca parla, i tuoi occhi no».
Si sentì colpita da quelle parole e lo fissò stranita. «Allora prova a lasciarmi andare...Vediamo se davvero i miei occhi dicono altro!» rispose pungente, schiaffeggiando la sua mano «lasciami! Odio le tue mani su di me».
La lasciò, indietreggiando. «Non crederti furba. Non lo sei».
«Non ho mai detto di esserlo!» lo fissò pensierosa «mi chiedo cosa ti dia veramente fastidio di me. Il fatto che ti tenga testa, o che non stia zitta come avevi sicuramente immaginato?» sorrise beffarda «scommetto che voi tre, prima di rapirmi, avete dato per scontato che non avrei aperto bocca, limitandomi a piangere e ad aver paura. Peccato io mi sia rivelata l'opposto» fece spallucce «avresti dovuto pedinarmi meglio, Caleb senza cognome».
Scaraventò a terra il sacchetto e le si fiondò addosso, afferrandola per le braccia. «Io non dovrei nemmeno essere qui, dovresti marcire in questa stanza. E invece tu mi stai creando solo dei gran casini! E la tua linguaccia non fa altro che peggiorarli» ringhiò «smettila di sfidarmi, smettila di tormentarmi».
«Ti tormenterò anche quando non sarò più nei tuoi giorni!» rispose, senza staccare gli occhi dai suoi «io ci sarò sempre. Se mi lasci andare, sarò io a rovinare la tua vita» respirò contro quelle labbra, avvertendo una nuova e strana sensazione.
Chiuse per un attimo gli occhi e quando li riaprì, il suo sguardo diventò glaciale. «Tu per me sei solo denaro» uscì alla svelta da quella stanza e, pochi secondi dopo, Chloe udì il rumore di una sedia scaraventata.
Sussultò, smettendo di respirare. Restò davanti a quella porta e sentì il cuore battere forte, come fosse in procinto di scoppiare. Pronunciò il suo nome un paio di volte e, quando non ricevette risposta, si accasciò al suolo, portandosi le ginocchia al petto e scoppiando in lacrime. Qualcosa in lei stava cambiando. Odiava quello che sentiva dentro e provò a scacciarlo, senza alcun risultato. Caleb, così diverso da lei, sembrava il suo incastro perfetto. Loro tanto opposti quanto attratti. Il bene e il male, il buio e la luce, l'amore e l'odio.
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35 DAYS OF YOU
ChickLitSacramento. California. Samuel Morgan, un ricco uomo spietato, decide improvvisamente di chiudere la sua azienda metalmeccanica vendendola per una cospicua somma e licenziando senza spiegazioni gli ottanta operai. Tre di loro, Caleb Erik e Joseph, o...