14. I silenzi, a volte, parlano.

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Leonardo

Espiro il fumo della mia Lucky Strike e continuo ad ascoltare Andrea parlare con i nostri amici dei suoi presunti amplessi con Alice. E' la terza sigaretta di fila che fumo. E' un mio amico Andrea e non posso intervenire e fargli fare la figura del coglione davanti a tutti gli altri nostri compagni, però anche Alice è una mia amica e non mi va che lui vada a dire in giro queste stronzate, perché so che lo sono. Lei mi ha apertamente detto di essere vergine e se solo anche gli altri la conoscessero come sto imparando a fare io, capirebbero subito che Andrea è un bugiardo.

- L'ho fatta venire tante di quelle volte, che credo che per un po' non riuscirà a camminare. - Continua a vaneggiarsi.

- Hai rotto il cazzo, non sai parlare d'altro? -

Lo sapevo. Sapevo dentro di me che alla fine non sarei riuscito a trattenermi. Andrea si è spinto troppo oltre, adesso basta.

- Come scusa? -

Il mio amico si avvicina alla mia faccia con un'espressione che non mi piace affatto. Nelle ultime due settimane ho fatto a botte due volte: con mio padre - anche se in quel caso sono stato solo io a colpire - e con Mattia Rinaldi. Mi faceva ancora male la faccia per il pugno che mi aveva tirato quel coglione, non potevo rischiare di portare a casa un'altra rissa.

- Ti ho detto che sai parlare solo di questo. Sei noioso. -

La mia bocca a quanto pare ha deciso di non ascoltare il mio cervello, come al solito.
I nostri amici ci guardano preoccupati e allora decidono di intervenire cambiando discorso ma io e Andrea continuiamo a guardarci male per tutta la serata.
Almeno ha chiuso quella fogna che ha al posto della bocca, mi ritrovo a pensare.

Il telefono squilla, è Alice. Resto in attimo immobile a fissare il suo nome sul display, sono veramente confuso.
Lo sembra anche Andrea.
Mi allontano dagli altri per rispondere.

- Heidi? -
- Dove sei? - domanda, confondendomi ancora di più. Ha il fiatone e sembra nervosa.

- In villetta con gli altri, perché? -

Dall'altro capo del telefono si sentono solo le ruote delle macchine che sfregano sull'asfalto.

- Alice, dove sei? Cosa succede? -

La sento tirare su con il naso, sta piangendo.

- Sono alla scuola elementare. -
- Aspettami, sto arrivando. -

Chiudo la telefonata e mi dirigo subito verso la macchina. Andrea mi viene dietro.

- Perché ti ha chiamato Alice? Stai andando da lei? - domanda con aria infastidita.

- Non so perché mi ha chiamato e sì, sto andando da lei a vedere cosa c'è che non va. - Lo informo sperando che sparisca.

- Vengo con te allora. -
- No. - Lo blocco.
- Perché? -

- Se ti avesse voluto con lei in questo momento, avrebbe chiamato te. Perché non continui a raccontare agli altri tutti i modi in cui scopate? Oppure hai finito le idee? -

- Cosa vuoi dire? -

- Voglio dire che entrambi sappiamo che è più vergine della Madonna e inventi stronzate dalla mattina alla sera. Ed ora, se mi vuoi scusare, ho altro da fare. - dico salendo in macchina e lasciandolo allibito.

Quando arrivo di fronte alla scuola elementare, l'unica che c'è nella nostra piccola cittadina, non vedo Alice da nessuna parte. Provo a chiamarla e la suoneria del suo cellulare mi fa capire dove si trova. È seduta su una panchina al lato della scuola, sembra fissare il vuoto oppure in realtà sta fissando i ricordi che le suscita questo posto, perché non credo sia venuta qui per caso.

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