Capitolo 2.

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Il suono assordante della sveglia, ti fece svegliare di soprassalto.

Sdraiata a pancia sotto, facesti uscire il braccio destro da sotto il cuscino, per cercare di schiaffeggiare con la mano l'apparecchio dell'inferno posto sul comodino affianco al letto ad una piazza e mezza.
Schiacciasti il pulsantino, facendo cessare il devastante rumore.

Che ore erano?

Guardasti con solo un occhio aperto lo schermo digitale segnare in rosso le 7:00 del mattino.
Mugugnasti qualcosa, per poi metterti seduta con le gambe a penzoloni, quasi a toccare le piastrelle fredde del pavimento.

Nonostante fossi sempre di riposo di lunedì, in quanto il centro estetico dove lavoravi era chiuso, lo odiavi: era sempre stato un giorno orrido, l'inizio della fine, come piaceva dire a te.

Una domanda ti sorse spontanea, perché avevi puntato la sveglia così presto, quando avresti potuto dormire almeno fino a mezzogiorno?

Ti grattasti la fronte con un dito, meditando.

Ah già.

Lo specialista che ti aveva in cura per il problema che stavi affrontando voleva vederti, come primissimo appuntamento della sua giornata lavorativa.

Erano passate quasi tre settimane dall'episodio con Dania, la terapista di gruppo di ascolto, e da quel giorno non avevi più osato mettere piede all'interno di quella maledetta stanza.

Così avevi saltato i tre incontri obbligatori imposti dal tuo psichiatra.

E lui ti aveva chiamata, parecchio esasperato.

Decidesti di metterti in piedi, poggiando le piante dei piedi sul pavimento e rabbrividendo leggermente, ancora con la pelle tiepida dalle coperte del letto appena scostate.

Ti indirizzasti in bagno, per cominciare la tua solita routine.

Ti appuntasti mentalmente di portare a lavare la macchina nel pomeriggio: negli ultimi giorni aveva piovuto parecchio, soprattutto l'altra sera che ti eri ritrovata la sabbia appiccicata ai vetri e un bel LAVAMI inciso con il dito di qualche ragazzino idiota sul parabrezza.

Una volta fatta colazione e esserti lavata i denti, ritornasti in camera per vestirti.
Avevi appuntamento con l'analista intorno alle 9:00, saresti uscita di casa leggermente prima, per evitare di bestemmiare in aramaico antico alla mancanza di parcheggio.

Indossati i tuoi classici mom jeans, con la solita maglia a stampa: la tua solita fantasia.

I capelli sciolti e un filo di mascara sugli occhi, non ti piaceva truccarti e non avresti cominciato di certo per andare dallo psichiatra.

Infilasti le converse e la giacca che erano le 8:30.
Con la sigaretta già in bocca, chiudesti a chiave la porta di casa per scendere, poi, saltellando le scale fino al protone del palazzo.

Accendesti la bionda, camminando spedita verso la macchina parcheggiata qualche metro dal cancellato.
Le strade della città cominciavano ad essere più popolose, oramai la stagione estiva era definitivamente terminata: lo dimostravano i continui clacson rumorosi degli autisti in collera con le macchie davanti.

Sorridesti appena, arrivata finalmente all'auto, la apristi per poi abbassare il finestrino del conducente più che potevi, non avevi ancora smesso di fumare.
Poggiasti la borsa a tracolla sul sedile affianco al tuo e azionasti la vettura.

Lasciasti cadere il mozzicone dal finestrino, dato che avevi la mano sinistra fuori per far cadere la cenere in eccesso sull'asfalto e non dentro la macchina.
Sapevi che non era un comportamento corretto, e che avrebbero potuto toglierti dei punti dalla patente, ma non avevi più il tuo posacenere portatile.
Te l'aveva fregato la tua collega, che di certo non fumava solo sigarette.

Domani tornerà SerenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora