Capitolo 31.

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<< PUTO ELFO DEL INFIERNO! >>

Il tuo grido, forte e coinciso, si espanse come un'onda d'urto attraverso silenzio del deserto di Almeria.

In quel momento, l'unica cosa che ti riusciva bene era imprecare, imprecare malamente contro Zulema.
Mugugnasti dolorante e completamente sfinita, sentendo i tuoi piedi implorarti pietà.
Volevi, necessitavi, di trovare qualsiasi cosa per sederti almeno cinque minuti, che fosse un sasso o un tronco secco di un vecchio albero.

Stavi camminando da almeno mezz'ora, sul ciglio di quella strada sterrata completamente avvolta dal nulla, se non da sabbia e detriti, che ti facevano starnutire più del dovuto.

Lanciasti uno sguardo alle scarpe con tacco alto che tanto ti eri rifiutata di mettere, che stavi tenendo nella mano destra, e poi sui tuoi piedi nudi, che percorrevano l'asfalto caldo dal sole cocente.

L'hotel Oasis, dove vi sareste dovute incontrare nuovamente dopo la rapina, sembrava così maledettamente lontano e un fottuto miraggio.

Grugnisti un poco, prendendo con la mano libera un lembo del vestito che indossavi dalla cerimonia cercando di non inciampare: puta Zulema e puto anche quel proiettile che ti aveva forato un pneumatico dell'auto che eri riuscita miracolosamente a recuperare per scappare, sola, da quella che all'improvviso si era trasformata in una carneficina.

Tutto nel giro di qualche minuto.

Eri riuscita ad allontanarti il più possibile, con gli spari dei narcotrafficanti alle spalle ed eri finita sulla strada che vi avrebbe portate al vostro momentaneo rifugio, fino al giorno dopo.
Fino all'arrivo dell'elicottero che vi avrebbe momentaneamente trasferite in Marocco, giusto per darvi il tempo di organizzarvi al meglio.
Peccato che la ruota avesse deciso di sgonfiarsi definitivamente verso metà strada, lasciandoti completamente a piedi.

Oltre ad essere stanca e volenterosa di una doccia, eri anche dannatamente preoccupata.
Non sapevi chi fosse sopravvissuto e, egoisticamente, il tuo pensiero finì solo su Zulema.
Speravi solamente che la tua regina araba fosse viva.

<< fanculo. >> imprecasti, sentendoti estremamente in colpa per aver pensato solo a te stessa, senza accertarti che la mora fosse effettivamente in salvo.

Avevi provato a chiamarla più volte ma in nessuna di queste occasioni ti aveva mai riposto.
Come le altre ragazze della banda del resto: per questo motivo l'unica soluzione disponibile era recarsi presso l'hotel, sperando solo nel meglio.

Per lei.
Per Zulema.
Glielo avevi promesso, glielo avevi giurato.
Prima che cominciasse tutto quanto.

"Qualsiasi cosa succeda, tu prendi la prima auto disponibile e vattene. Fidati di me, vai verso l'hotel e non guardarti indietro. Promettimelo."

Ti aveva detto appena uscite dalla macchina che vi aveva portato alla cerimonia, prima di separarvi ognuna per i propri compiti.

Prima di baciarti sulle labbra un'ultima volta.

E lo avevi fatto, le avevi creduto.

Ti venne quasi da piangere, mentre percorrevi come un'automa la strada malandata, con passo lento, quasi stentato.
Il vestito ti dava fastidio, ti stava intralciando e unito al tuo nervosismo visibile ad occhio nudo, ti portò a fermarti un attimo.

Calde lacrime ti rigarono le guance sporche di terra e sangue, e ti portasti le mani agli occhi, cominciando a singhiozzare rumorosamente.

Perché era andata così?

Stava filando tutto per il verso giusto, esattamente come programmato, anche con quel piccolo intoppo della cassaforte.
Ma era tutto così fottutamente perfetto che alla fine, ci stavi credendo anche tu, ti stavi già immaginando libera da quella vita del cazzo che non volevi.

Domani tornerà SerenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora