Capitolo 25.

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Era passata una settimana da quella notte di capodanno, e con tuo sommo rammarico Zulema non ti aveva più rivolto la parola: ma che torto potevi darle?

Nessuno.

Avevi provato ad intavolare una discussione, il giorno dopo, anzi la mattina stessa, intorno a mezzogiorno, quando la donna araba era rientrata a casa dopo aver passato la notte fuori, chissà dove, chissà con chi.
Ma non avresti di certo chiesto, non avresti fatto la gelosa dopo il dolore che le avevi provocato, e che nonostante cercasse di dissimulare, sapevi stesse provando.

Tralasciando il fatto che non avevi dormito per niente, alla fine, dopo il suo ennesimo silenzio in quello che sembrava un tuo monologo, avevi deciso di lasciarla andare.

Flashback
La mora era tornata a casa mezza ubriaca, pizzava di alcol e barcollava leggermente.
Aveva aperto la porta della roulotte con aggressività, svegliando Macarena che stava dormendo beata e facendoti sussultare nel letto, incantata e con gli occhi socchiusi a guardare l'uscio in attesa del ritorno del tuo scorpione.

Non avevi chiuso occhio, quella notte, sentendo le coperte estremamente fredde e il materasso incredibilmente grande e vuoto senza la presenza e il corpo caldo di Zulema affianco a te che ti stringeva la vita.
Avevi pianto nel silenzio di quelle quattro mura, coperta dal leggero russare della biondina che era crollata un'ora dopo l'abbandono dell'araba.

Nella quiete apparente del vostro riposare, completamente soggiogate dagli effetti finali dell'ecstasy, avevi deciso che avresti parlato con la tua donna il prima possibile, che avresti tentato quanto meno di spiegarle cosa fosse successo e che Macarena aveva ragione, che tu vedevi lei, che tu pensavi di fare l'amore con lei.

Appena sentita la sua presenza, infatti, ti eri alzata, lanciando un'occhiata eloquente alla bionda che alzando le mani, uscì dalla roulotte, forse per fumarsi una sigaretta e lasciarvi da sole.
Avevate parlato di quello che era successo, e aveva ammesso i suoi sbagli e le sue colpe, promettendoti di non provarci più e di permetterti di vivere la tua vita, dichiarando quello che era successo una tonterìa.

Ti eri avvicinata a Zulema cauta, chiamandola ripetutamente ma lei non ti aveva mai risposto.
Anzi, si era seduta e poi sdraiata a letto, dandoti le spalle.

<< perché non mi parli? Lo so che ho combinato una stronzata epocale, ti ho fatto del male. Ma parlami, Zulema! Incazzati, insultami, feriscimi, picchiami se questo ti può far sentire meglio, ma fai qualcosa, cazzo! >> avevi supplicato, cominciando a piangere senza volerlo e maledicendoti per questo, volendo con tutta te stessa smettere di mostrarti debole ai suoi occhi.

Il silenzio cadde sovrano, non stava dormendo, ne eri certa ma non cercava neanche di zittirti e questo ti faceva male, ti uccideva, perché voleva significare che non eri più importante, che eri solo una presenza superflua, da ignorare, da non ascoltare.

Se ti avesse detto di tacere, se ti avesse messo le mani addosso, avrebbe voluto dire che eri ancora nei suoi pensieri, presente, indelebile.

Lasciasti cadere indietro il capo, rivolendo la tua Zulema indietro, rivolendo quel rapporto che con fatica si era creato: decidesti di provocarla, tutto purché rivolgesse ancora una volta i suoi occhi verdi verso di te.
Avresti probabilmente logorato quel sentimento ancora di più, ma poco ti importava arrivata a quel punto, le avresti provate tutte.

<< noi non stiamo insieme, non sono una tua prerogativa, una bambola da possedere.  A Natale mi hai detto di non essere gelosa, che avrei potuto scopare con chiunque, che non te ne sarebbe imporporato. >> sussurrasti in preda allo sconforto, lasciando libere ancora una volta le lacrime, senza neanche asciugarti le guance.

Domani tornerà SerenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora