Capitolo 14.

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La mattinata passò relativamente e stranamente presto, ti eri fatta una doccia calda per poi rifugiarti nella parte di letto di Zulema, sonnecchiando un paio d'ore.
Il pranzo fu silenzioso, quasi asfissiante, in compagnia della tua pasta riscaldata sul fornello della sera prima, e un pezzetto di pane per raccattare su il sugo avanzato.

E poi?

Ah, poi niente di eclatante, eri ancora seduta sul divanetto di pallet all'esterno della carovana, con le gambe incrociate, rigorosamente senza scarpe, e il posacenere pieno.

Il tuo cellulare stava riproducendo l'ennesima canzone dell'artista della giornata, Sia con Big Girls Cry, a volume abbastanza alto: non portavi le cuffiette, ti eri imposta (sotto minaccia della mora) di non ascoltare mai la musica con gli auricolari quando eri sola.
La prudenza non era mai abbastanza.

Intonasti a bassa voce il ritornello in un inglese leggermente stentato, non eri una cima in quella lingua, ma non c'era nessuno nei paraggi a sentirti e quindi a rimproverarti della tua scarsa dimestichezza.
Ridacchiasti, ricordando l'espressione schifata di Zulema (che conosceva benissimo l'idioma, insieme al francese) la prima volta che, in carcere, ti aveva sentita leggere un testo in inglese.

Se ora riuscivi a comprendere qualcosa era anche grazie a lei, che armata di tantissima pazienza si era messa ad insegnarti le basi grammaticali durante le vostre ore d'aria giornaliere.

Avevi provato anche a chiederle di istruirti con l'arabo, ma non c'era stato verso.
Il suo categorico "no", ti risuonava ancora nelle orecchie.

Guardasti l'orologio sullo schermo dello smartphone che segnava quasi le 17:30, decidendo di recuperare quella vaschetta mezza piena di gelato al (gusto preferito) che era rimasta in freezer e che speravi nessuno l'avesse terminata.
Ti alzasti dal divanetto, infilandoti le scarpe senza allacciarle, aprendo la porta della roulotte e sentendo immediatamente il calore di casa riscaldarti le membra leggermente intorpidite.

Con un cucchiaino in mano, tornasti a stravaccarti malamente sul quel sofà sgangherato, aprendo la vaschetta e notando trionfante che nessuno aveva toccato uno dei tuoi dolci preferiti.
Lo adoravi, sopratutto se mangiato d'inverno, come stavi facendo ora.

Ti portasti alla bocca il primo boccone, l'espressione goduriosa del tuo viso parlava per te, mentre lasciavi penzolare la posata tra le labbra, assaporando il gusto deciso del gelato.

Incastrasti gli occhi in un punto imprecisato di fronte a te, mordicchiando l'acciaio per poi affondarlo ancora nella vaschetta e mangiare la successiva cucchiaiata.

Mugugnasti incomprensibilmente con la bocca, senza neanche accorgerti, grattandoti la guancia con la mano libera dalla posata.

Sbuffasti, prendendo il telefono e guardando nuovamente l'ora: non era passata neanche mezz'ora dall'ultima volta che avevi controllato.
Continuasti a fissare lo schermo, che quasi subito divenne nero, tornando in stand-by, con uno strano fastidio al livello dello stomaco.

Cercasti di scacciare ogni strano pensiero, inutile a tuo parere, dalla testa scuotendola fortemente.
Non ti aveva chiamata nessuno.

Non c'era da preoccuparsi, se ci fosse stato qualche problema ti avrebbero contattata molto prima: l'avevano promesso, e questa volta Maca ti aveva rassicurata che avrebbe fatto esattamente come concordato.

<< non c'è nulla di cui preoccuparsi. >> ti sussurrasti da sola, alzandoti e decidendo di preparare in quel momento la cena, con la scusa che il pollo si sarebbe insaporito meglio.

Una volta all'interno della roulotte, posasti il gelato ancora nel refrigeratore, per poi estrarre dal frigorifero del pollo grigliato che giaceva in un piatto, e una busta di insalata già lavata e tagliata.

Domani tornerà SerenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora