Ho sempre pensato che il buio fosse quella cosa che ti aiuta a riflettere, ti calma la mente e ti culla nella notte mentre ogni tuo pensiero si sfuma lentamente per lasciare spazio ad un sonno sereno. Ho sempre pensato questo del buio, ma forse mi sbagliavo. Forse non conoscevo a fondo la crudeltà della natura umana e, pensandoci adesso, non avrei dovuto lasciare a quell'oscurità di cullare i miei sogni. Ho capito a mie spese che essa può assumere diverse facce; può esserti amica e sussurrarti un "va tutto bene" all'orecchio, può fregarsene di te e lasciarti in balia di te stesso, oppure, e questo è peggiore di ogni altra cosa, può avvicinarsi a te con volto amico per poi ucciderti nel sonno. Sembrerà strano, lo so, ma quello di cui voglio parlare non è l'oscurità, ma di quanto la natura umana possa essere misteriosa agli occhi di chi guarda. Perché in fin dei conti l'oscurità, che sia nella tua camera o nel retro di un furgoncino con un cappuccio in testa e gli arti legati, è solo oscurità alla quale proiettiamo le nostre paure.
Non ricordo molto della vita precedente; forse non ricordo proprio niente. I miei occhi si aprirono sotto quella tela, nel buio del furgone, con in sottofondo delle voci dall'accento straniero, probabilmente russo o una cosa simile. Non potevo muovermi, non sapevo con chi fossi o dove mi stessero portando. Avrei tanto voluto piangere, gridare al mondo la mia presenza, pregare che qualcuno mi trovasse, ma non lo feci; restai lì, in silenzio, ad ascoltare il rumore della strada finché i miei occhi non si chiusero di nuovo.
Quando ripresi conoscenza notai quasi immediatamente di trovarmi in un nuovo ambiente, un posto mai visto prima; una casa, probabilmente abbandonata considerato lo stato in cui versava. Le finestre erano rotte e le tende che le coprivano sgualcite fin sopra il legno che le sosteneva; i muri, i quali catturarono subito la mia attenzione, presentavano dei graffiti per nulla rincuoranti e in alcuni punti la carta da parati cadeva come coriandoli. La stanza in sé era particolarmente vuota; al suo interno vi erano solo un materasso malmesso ed un tavolo da giardino con una sedia.
Provai ad alzarmi da terra, ma le mie gambe sembravano non voler collaborare, impossessatesi di un dolore che non sapevo di contenere, mentre i polsi erano stretti da un paio di manette che, senza dubbio, avrebbero lasciato il segno. Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi nella speranza di mantenere la poca calma che avevo acquisito; non potevo piangere, non in quel momento. Portai il capo all'indietro e mi persi ad osservare distrattamente il soffitto ricoperto di muffa, cercando di ricordare anche un singolo particolare che mi avrebbe permesso di capire cosa mi stava succedendo, ma la testa doleva e i sensi sembravano volermi abbandonare per l'ennesima volta.
Spostai pigramente la mia attenzione alla porta chiusa a chiave non appena percepii dei passi pesanti che si stavano avvicinando e in un istante il mio corpo iniziò a tremare, insicuro su cosa si celasse dietro quelle mura. Trattenni il respiro e indietreggiai di poco quando un uomo alto e robusto e dalla folta barba entrò nella stanza. Il suo volto era pieno di tatuaggi ed i suoi muscoli fuoriuscivano dalle maniche strappate della giacca, così come gli addominali sembravano voler esplodere da sotto la maglietta grigia. Si massaggiò la barba un paio di volte mentre il suo sguardo vispo e minaccioso si posò su di me, e sorrise; sorrise in una maniera talmente inquietante che portò il mio cuore ad uscire quasi dal petto.
"Ciao, ragazzina."
Parlò con il suo accento marcato. Strizzai gli occhi e spostai il capo nella direzione opposta alla sua, sentendo la sua mano stringersi intorno alla mia spalla, costringendomi ad alzarmi e a seguirlo fuori dalla stanza.
Mentre camminavamo lungo i corridoi di quell'edificio abbandonato iniziai a pensare a come fossi potuta finire in questa situazione, cercando di far riaffiorare ricordi che, ormai, sembravano persi nell'oblio della mente.
Alzai lo sguardo per osservare l'uomo davanti a me, fermandomi poi per qualche istante nella speranza di poter alleviare il dolore alle gambe. Quando si accorse che non lo stavo più seguendo, si girò bruscamente e mi prese con forza dal braccio, trascinandomi lungo il pavimento malandato della struttura.
"Non ho tempo da perdere."
Grugnì infastidito, calpestando con forza il suolo sul quale stava camminando mentre il mio braccio iniziava a dolere per quanto forte fosse la presa sulla mia pelle. Cercai di evitare di emettere qualsiasi tipo di rumore ed abbassai il capo, concentrandomi ad osservare le mie scarpe ormai tutte rovinate.
Non sapevo che ore fossero, eppure dando uno sguardo veloce ad una finestra in parte oscurata, mi sembrava fosse ancora giorno, o forse il sole stava tramontando; difficile da dire con certezza a causa della poca limpidezza dei vetri.
Ci fermammo d'improvviso davanti ad una porta perfettamente chiusa e per poco non mi trovai a sbattere contro la schiena dell'uomo che mi aveva condotta lì. Indietreggiai in maniera quasi automatica, mentre le mie spalle presero a tremare, preda dell'insicurezza dovuta a ciò che mi sarebbe potuto capitare di lì a poco. L'uomo ben impostato girò di poco il capo nella mia direzione e ghignò, allungando una delle sue enormi mani verso di me per invitarmi a seguirlo all'interno della stanza. Chiusi gli occhi e li riaprii solamente quando sentii una seconda voce unirsi all'uomo, ed il mio sguardo si diresse automaticamente verso una poltrona rossa in pelle, occupata da quello che aveva tutta l'aria di sembrare un ragazzino, probabilmente della mia età o poco più grande. Portava un completo nero completamente di pelle, un po' bizzarro a vedersi, e la sua cicatrice sull'occhio sinistro era talmente profonda da sembrare ancora fresca, mentre le sue ciocche nere si facevano spazio nell'ambiente come serpenti in cerca delle loro prede. Se ne stava seduto, con le gambe accavallate e un'espressione soddisfatta in volto, mentre rigirava tra le mani un coltello tascabile. Solo allora mi resi conto dello smalto nero presente sulle sue unghie; perfettamente distribuito, confermava quel suo stile eccentrico che aveva da subito catturato la mia attenzione.
L'uomo dalla forte muscolatura mi disse di inginocchiarmi, ma rimasi immobile a spostare lo sguardo tra i due, tanto da farlo innervosire al punto da spingermi con rabbia contro il suolo, trovandomi una guancia calda di bruciore. Non mi mossi, cercando di capire cosa fosse appena accaduto, e quando rialzai lo sguardo verso quella poltrona, vidi il ragazzo sorridere soddisfatto, mentre l'uomo poco distante da me non sembrava essere troppo felice della sua presenza.
"Xavier, dov'è il capo?"
Xavier, questo sembrava essere il nome di quel ragazzo così particolare, si alzò con lentezza dalla poltrona e posò il piccolo coltello sul bracciolo della poltrona, avvicinandosi con calma a noi, facendo ben attenzione a mantenere il capo ben alto, mentre il suo ghigno giocoso non sembrava voler abbandonare il suo volto.
Vidi le sue scarpe fermarsi a pochi centimetri di distanza da me e lo vidi abbassarsi alla mia altezza, prendendomi dal mento per far sì che lo osservassi dritto in quelli occhi profondi e talmente scuri da incutere terrore al peggior assassino.
Osservò con cura ogni mio particolare, schioccando un paio di volte la lingua sul palato, per poi ridacchiare e puntare nuovamente i suoi occhi sui miei.
"Come ti chiami?"
Deglutii a fatica, la voce sembrava venir meno. Balbettai un paio di volte prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto che, però, non corrispondeva alla risposta che entrambi si aspettavano. Non ricordavo il mio nome, non ricordavo da dove venivo, non ricordavo niente. Strinsi con forza le nocche per trovare il coraggio necessario per far uscire quella tenue voce che, sono sicura, un tempo ruggiva forte, e mi strinsi nelle spalle mentre abbassavo lo sguardo al pavimento.
"D-Dove sono?"
Il ragazzo ridacchiò divertito e si alzò sistemandosi il completo, abbassando poi il capo per osservarmi con disprezzo, prima che potessi sentire la forza del suo stivale sul mio fianco. Mi piegai in due dal dolore, ma lo stesso non emisi alcun suono, continuando a strizzare con foga gli occhi nella speranza di trovare un minimo di conforto.
Quando finalmente fui in grado di osservare di nuovo quell'essere, lo notai sorridente, felice del suo elaborato, mentre si sistemava quei pochi ciuffi ribelli che fuoriuscivano dalla capigliatura perfetta. Si portò le mani in tasca e si incamminò nuovamente verso la poltrona, riprendendo ancora una volta la parola.
"Sono io che faccio le domande qui. E se non sai rispondermi nemmeno ad una domanda del genere..."
Si bloccò per qualche istante, il tempo di sedersi nuovamente e fare cenno all'omone di portarmi sulla spalla.
"Sei del tutto inutile."
Concluse con tono fermo e voce profonda. Con un cenno della mano, l'altro uomo annuì e si incamminò con me sulla spalla verso un'altra stanza che avrebbe potuto segnare la fine della mia esistenza.
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Sara
Roman d'amourLa vita di una ragazza viene stravolta quando, dopo aver perso la memoria, si troverà costretta in casa di sconosciuti; la sua libertà comprata. Trattata come un oggetto di poco valore, riuscirà a conquistare nuovamente il libero arbitrio o resterà...