Capitolo 1

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Stavo per morire? Probabilmente di lì a poco avrei esalato il mio ultimo respiro. Mai avrei immaginato di raggiungere in questo modo la fine e, soprattutto, non mi sarei mai aspettata di arrivarvi così presto. La paura che mi attanagliava lasciò presto spazio alla rabbia, una rabbia profonda che trovava la sua origine al centro del petto e bruciava fin quasi a fare male. Mi era stato tolto tutto e, a quanto pare, sembrava andare bene così. Non sapevo cosa avevo fatto per meritare tutto ciò; perché forse lo meritavo. Ci dev'essere per forza un motivo, una sorta di karma che cerca di punirmi per un qualcosa di sbagliato che ho fatto o, semplicemente, perché era scritto nel grande libro della mia vita, il destino. Forse non riuscirò mai a trovare una risposta a questi miei dilemmi e probabilmente è meglio così.

Quando la porta si aprì davanti a me, mi trovai a chiudere gli occhi d'istinto, indietreggiando lentamente nella speranza di potermi salvare dal mio fato mortale, cercando di sfuggire alla presa di quella mano che stava iniziando a risultare fin troppo famigliare a contatto con la mia pelle. L'uomo che vidi per primo dal mio confuso risveglio borbottò un qualcosa che non mi fu possibile comprendere, lasciandomi confusa mentre la mia mente cercava di formulare una frase che risultasse anche solo vagamente simile ai suoni uditi dalle mie orecchie. Per l'ennesima volta, mi strinse con forza il polso, trascinandomi all'interno di quella stanza così misteriosa quanto terrificante, spingendomi con disinvoltura contro le mattonelle fredde che andavano a formare il pavimento  sul quale le mie membra avrebbero riposato probabilmente in eterno. Alzai il capo poco dopo; l'uomo se n'era andato, la porta era stata chiusa nuovamente, davanti a me vi era un gruppo di ragazze che mi osservavano incuriosite. Ci scambiammo un numero limitato di sguardi, poi ognuna di loro tornò a conversare tranquillamente come se nulla fosse. Mi chiesi all'istante come potessero sembrare così tranquille nonostante il pericolo in cui eravamo immerse. Forse la loro anima aveva raggiunto uno stato di pace interiore tale da renderle impassibili nei confronti di quello che succedeva nelle loro vicinanze o forse, e questo era più probabile, avevano smesso di sperare.

Mi alzai da terra un po' incerta e mi sedetti vicino ad una porzione di muro per nulla considerata dalle altre, rannicchiandomi su me stessa e portando le ginocchia al petto, poggiandovi poi la testa dopo averle contornate con le braccia. Non mi resi nemmeno conto di aver iniziato a piangere; lacrime amare che non avrebbero compensato il dolore della mia anima. I singhiozzi divennero sempre più insistenti e non mi importava di catturare nuovamente l'attenzione delle presenti; dovevo sfogarmi, avevo bisogno di tirare tutto fuori e cercare almeno in parte di liberare il mio petto da quel macigno talmente pesante da riuscire a comprimere alla perfezione ogni mio organo. Avrei tanto voluto urlare, provare a scappare, ma ancora una volta non feci nulla, permettendo alla mia mente di riuscire quasi a svuotarsi mentre le mie lacrime disidratavano il mio corpo. Spalancai gli occhi quando sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla ed istintivamente mi alzai in tutta fretta, allontanandomi dalla fonte di tale preoccupazione. Il petto si alzava convulsamente, ma nonostante il suo abile lavoro il respiro mancava terribilmente. Quando fui in grado di focalizzare una ragazza inginocchiata dove prima ero seduta io, sorridere tranquilla alla mia reazione, il petto sembrò non dolere come pochi istanti prima e il cuore rallentò i suoi battiti. La ragazza inginocchiata davanti a me aveva un'aria talmente dolce da riuscire a tranquillizzarmi in pochi istanti. Non seppi dire a cosa era dovuta questa sensazione di sicurezza; forse al suo viso delicato e leggermente paffuto o magari perché anche lei, come me, stava vivendo quell'orrendo incubo. 

Indossava una semplice tuta da ginnastica e in volto non aveva neanche un filo di trucco. i suoi capelli, lievemente scompigliati, sembravano così morbidi che quasi mi venne voglia di toccarli, chiari come la luce del sole e lunghi abbastanza da raggiungere i fianchi. Si alzò da terra mantenendo quel sorriso così sincero e, passo dopo passo, si avvicinò con cautela a me, tendendo una mano come a volermi salvare da quella silenziosa tortura che era il mio pianto. Non seppi dire perché, ma non esitai un istante nel prenderle il palmo ed accettare quello che per me rappresentò un silenzioso saluto. Ci lasciammo scivolare nuovamente verso il freddo pavimento, spalle contro il muro, e per la prima volta mi concentrai ad osservare veramente la stanza nella quale ero stata catapultata con tale foga. Era più luminosa della precedente e possedeva diversi materassi, una lampada e un paio di giochi da tavolo di vecchia data. Non riuscivo a capire il perché di tutta quella calma all'interno di questa stanza, così mi girai verso la ragazza al mio fianco, coordinandomi alla perfezione con la sua voce delicata che decise di librarsi nel piccolo ambiente in quell'esatto istante.

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