La partenza del signor Trevor la mattina successiva non sembrò essere un evento così speciale per il resto dei presenti in quella casa; forse erano abituati ai suoi frequenti via vai o semplicemente non ne avevano alcun interesse a riguardo. Personalmente, non ero dispiaciuta della sua assenza, ma qualcosa mi portò a pensare che forse sarei dovuta esserlo, che mi sarei dovuta dimostrare come lui si aspettava che fossi per potermi meritare un posto sotto questo tetto. Pensandoci attentamente, lui non sarebbe stato molto presente e avrei dovuto dimostrare il mio intento a rimanere in casa a sua nipote; come avrei dovuto accoglierla? Cosa intendeva Trevor con quel suo discorso confuso? Forse era portato a parlare dall'età o magari aveva perso il lume della ragione, fatto sta che non persi troppo tempo a riempire la mia mente con stupide domande alle quali non avrei trovato risposta e, con l'aiuto di Dana, mi presi quella settimana per potermi ambientare in tutta calma.
Iniziai dando un'occhiata alle varie stanze, tranne quella chiusa a chiave al piano terra, posta vicino ad uno degli uffici che Dana mi disse venivano usati per incontri di lavoro a lei sconosciuti, e nella quale vi metteva piede solo in caso di pulizie e in presenza di uno dei due proprietari della villa. Era un mistero il perché fosse vietato entrarvi, un mistero al quale nemmeno la badante riusciva a venirne a capo. Ipotizzai che forse quella stanza veniva usata per scopi non propriamente legali, che magari vi erano altre ragazze nascoste come nella vecchia casa in cui mi ero risvegliata, ma poi ho pensato che se Dana aveva visto l'interno di quelle quattro mura e ne era venuta fuori indenne, forse ero io che stavo correndo con la mente.
Passai molto del mio tempo in giardino ad ammirare le siepi e le varie statue che ne adornavano l'area, aiutata anche dal sole che riscaldava ogni cosa, mischiato ad una dolce brezza che lasciava intuire l'arrivo dell'autunno che avrebbe spazzato via il poco caldo rimasto. Restai come incantata nell'ammirare una statua in particolare; non sembrava di origine antica, ansi, la manifattura ben curata, i colori accesi e brillanti, le pieghe degli abiti perfettamente scolpite e l'uso di capi moderni, mi fece comprendere che probabilmente quella statua era stata commissionata su richiesta e che, senza dubbio, ritraeva uno dei membri della famiglia Davis. Dovevo ammetterlo: se avessi avuto anche solo la metà dei loro soldi, probabilmente anche io avrei comprato un'opera d'arte del genere.
Il sorrisino presente sulle mie labbra si affievolì quando la mia mente tornò indietro nel tempo, a quando avevo circa nove anni. Un uomo non ben definito mi portava sulle spalle e rideva insieme a me mentre vagavamo tra le stanze di un museo. Ci bloccammo davanti a un'antica statua greca e colui che percepivo come mio padre rimase talmente stupito dalla bellezza di quella forma di marmo che si girò verso di me e mi confessò che avrebbe tanto voluto avere uno di quei pezzi in casa, ma che la mamma non gliel'avrebbe permesso. Scossi il capo e distolsi per poco lo sguardo, sentendomi poi chiamare da quella voce che ormai era diventata mia amica. Dana era già pronta per uscire e con quel suo passo spedito mi affiancò, iniziando a blaterare sciocchezze su sciocchezze, porgendomi una mantella, per poi prendermi dal braccio e trascinarmi in macchina insieme a lei; aveva deciso di portarmi a fare un giro in paese e, soprattutto, di comprare qualche bel capo d'abbigliamento.Arrivammo davanti ad un negozio dalle fattezze spropositate, otto piani o giù di lì. L'autista che ci aveva gentilmente accompagnate fece un cenno alla signora e si allontanò con l'auto, lasciandoci da sole. Dana sembrava così eccitata all'idea di aiutarmi a scegliere il guardaroba che quasi faceva fatica a restare con i piedi per terra, mentre io non potei fare a meno di pensare a quanto dovevo essere grata per tutto ciò che mi stava succedendo. Non nego che la mia mente fosse ancora offuscata dall'esperienza precedente e cercava disperatamente di convincersi che anche le altre avessero trovato il posto giusto per loro, pur sapendo che nel profondo non sarei stata in grado di averne la certezza. Forse, la nipote del signor Trevor mi avrebbe aiutato a trovarle e, magari, a dare loro un tetto confortevole come avevano fatto con me. Del resto l'anziano signore parlava così bene di sua nipote che quasi non vedevo l'ora di incontrarla.
"A cosa stai pensando tutta sorridente?"
La voce di Dana mi risvegliò dai miei pensieri e, rapida, mi concentrai sulla sua figura, che teneva con cura un vestitino fin troppo corto. Feci una smorfia di disapprovazione, ma non sembrò rendersene conto e mise il capo d'abbigliamento nella sacca che danno all'ingresso del negozio, insieme al resto dei vestiti che avevamo già osservato.
"E' proprio necessario prendere tutti questi vestiti così corti?"
La badante annuì soddisfatta delle sue scelte e, dopo aver piegato un paio di pantaloni fin troppo attillati e averli riposti nella fatidica sacca, si girò nella mia direzione e puntò i suoi occhi spalancati sui miei lievemente tremanti. Sembrava come posseduta dal demonio e sperai in cuor mio di finire presto quella tortura e poter tornare nella mia stanza per pensare bene a cosa dire alla nipote del signor Trevor.
"Comunque non hai risposto alla mia domanda. A cosa stavi pensando?"
"A quando incontrerò la nipote del signor Trevor. Stavo pensando di chiederle di aiutarmi a salvare le mie due amiche."
Dana si bloccò d'improvviso, come quando si scaricano le batterie di un giocattolo. Poggiò la maglia scollata insieme alle altre e, senza dire una parola, si diresse ai camerini, mantenendo aperta la tenda per permettermi di entrare nello spazio ridotto. Non feci domande e mi chiusi dentro per iniziare a provare i vari abiti. Notai come, fra le scelte della donna, non vi era nulla di comodo, ma privilegiavano il lusso e l'eleganza, anche quando si trattava di vestiti da poter indossare in casa.
Forse impiegai troppo tempo a provare perché la voce irritata dell'autista si fece sentire a tutto volume, iniziando ad imprecare vicino ai camerini. Nel sentirlo urlare in quel modo, mi lasciai scivolare al pavimento e mi chiusi a riccio, iniziando a singhiozzare nell'esatto istante in cui i ricordi della sera prima del mio risveglio mi colpirono in pieno petto con la forza di un camion. Ero chiusa in uno di quei bagni pubblici e piangevo disperata. Il cellulare non sembrava voler collaborare e tutto quello a cui riuscivo a pensare era la mia famiglia e il terrore di non poterla più rivedere. La porta si aprì e il buio si impossessò del mio essere, permettendomi di ottenere conoscenza solo dopo essere stata caricata in quel dannato furgone.
Il respiro sembrava mancare e le guance erano ormai segnate dal troppo pianto. Dana entrò preoccupata dopo essere riuscita a calmare l'uomo e si inginocchiò davanti a me, portandomi una mano sulla spalla e massaggiando delicatamente l'area nella speranza di potermi essere di conforto. Tirai su col naso ed alzai il capo, osservandola con terrore in volto, mentre le ginocchia non sembravano volersi allontanare dal mio petto. Avevo avuto il peggiore dei ricordi.Impiegai molto a riprendermi e quando uscii dal camerino, tutti gli sguardi sembravano essere diretti verso di me, portandomi ad abbassare il capo in imbarazzo, sperando con tutta me stessa di poter sparire all'istante o diventare invisibile agli occhi degli altri. Dana mi chiese più volte cosa fosse successo all'interno di quel piccolo spazio, ma io non ne volli sapere di darle spiegazioni; non che fossi arrabbiata con lei, semplicemente era una cosa troppo personale da riuscire ad esternare e, in ogni caso, sarebbe stato difficile trovare le parole che più si adattavano alla terribile sensazione.
Rimasi in silenzio mentre ci incamminavamo verso l'auto, già accesa e pronta a partire, e cercai con tutta me stessa di non pensare alla negatività che mi aveva abbracciato per le spalle, sussurrandomi all'orecchio che non mi avrebbe mai abbandonata. Non tornammo a casa; dovevamo ancora fare un giro in paese in modo che potessi orientarmi e sentirmi parte di quel posto. Dana ci teneva molto a farmi conoscere le usanze popolari e, più di ogni cosa, voleva presentarmi al suo gruppo di amiche che, come lei, adoravano lavorare a maglia. La più anziana mi osservò con diffidenza, percependo forse un qualcosa di negativo che le avrebbe potuto nuocere alla salute, mentre le altre non persero tempo a circondarmi, fiondandosi su di me per abbracciarmi forte, talmente forte da impedirmi quasi di respirare. Restammo in loro compagnia giusto il tempo di un saluti, ma vedere quel gruppo di anziane signore, così allegre e piene di vita, mi portò a percepire un tenue senso di tranquillità che era stato rapido a crescere nel mio petto e che, grazie ai loro sorrisi, mi fece credere che tutto era possibile, che magari, se avessi giocato bene le mie carte, sarei stata in grado di rivedere le mie due amiche.
Quando salutammo le anziane signore, nel mio cuore si presentò una sensazione malinconica e mi affrettai a chiedere alla badante se le avrei mai riviste, ricevendo in risposta una frase confusa che mi fece comprendere che, in realtà, nemmeno lei lo sapeva con certezza. Camminammo tranquille per le strade calme del paese e, di tanto in tanto, Dana mi indicava eccitata qualche posto da attenzionare, trascinandomi a provare i vari prodotti culinari, i balli tipici, le recite e molto altro.
I giorni trascorsero talmente in fretta che non mi resi conto che la settimana sarebbe presto giunta al termine e che, di lì a poco, avrei conosciuto la persona che mi era stata imposta come compagna di vita.
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Sara
RomantikLa vita di una ragazza viene stravolta quando, dopo aver perso la memoria, si troverà costretta in casa di sconosciuti; la sua libertà comprata. Trattata come un oggetto di poco valore, riuscirà a conquistare nuovamente il libero arbitrio o resterà...