Epilogo

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Trascorsero diversi anni dalla sentenza e molte cose cambiarono durante quel lungo periodo. Trascorsi più di un anno tra controlli medici e sedute di terapia. Il mio corpo risultava estremamente provato e debole a tal punto da non poter sostenere la gravidanza che non sapevo nemmeno di stare portando avanti; ebbi un aborto spontaneo il giorno in cui svenni subito dopo aver visto Selene essere trascinata via. Venire a conoscenza di quella mancata gravidanza mi fece provare sensazioni contrastanti; da un lato ero sollevata, ma dall'altro mi rattristava il pensiero che non avrei avuto suo figlio.
Con il tempo, riacquistai finalmente la memoria, potendo ricordare nuovamente la mia vita precedente, e mi concentrai nel ristabilire i rapporti con i miei genitori, i quali si dimostrarono estremamente disponibili e pazienti. Mi trasferii in Spagna qualche anno dopo, nella seconda città più importante del paese, Barcellona, e trovai lavoro come cameriera in un piccolo ristorante ben quotato; la paga era buona e mi permetteva di provvedere a me e alla mia famiglia.
Mio marito Juan era quasi sempre fuori per lavoro e toccava a me occuparci di nostra figlia Carol. Io e Juan ci conoscemmo tre mesi dopo il mio arrivo nel paese; fu subito chimica tra noi, ma inizialmente decisi di andarci cauta; non avevo alcuna intenzione di buttarmi a capofitto in una relazione e non gli confessai mai quella parte di passato che mi aveva segnata brutalmente.
Ci sposammo quasi due anni dopo; sapevamo già che la nostra famiglia si sarebbe allargata e lui insistì molto per unirci in matrimonio prima della nascita di Carol.
Sotto consiglio della mia famiglia, cambiai nome ed acquisii il cognome di mio marito per evitare di poter essere trovata dal signor Trevor o da qualche suo scagnozzo. Osservai la nuova carta d'identità con su scritto "Agatha Hernández" con occhi vitrei, persa tra i pensieri, rendendomi conto solo all'ultimo del telefono che stava continuando a squillare assiduamente. Mi ripresi in fretta dal mio stato di trance e risposi alla chiamata.

"Pronto."

"Hola, mi amor. ¿Como estás?"

"Todo bien, cariño."

"Me alegra saber eso. Mi amor, el proyecto es más complexo de lo que pensaba."

"Quando tornerai a casa?"

"Tardaré dos días, mi amor. Te pido disculpas."

"Tranquillo, cariño. Ti aspettiamo qui."

Chiusi la chiamata e sospirai pesantemente, chiudendo gli occhi e permettendo al capo di reclinarsi fino a toccare il retro del divano. Carol, che avrebbe compiuto quattro anni in due giorni, stava giocando tranquilla con delle bambole sul pavimento quando il campanello suonò un paio di volte. Aprii di colpo gli occhi e mi misi sull'attenti. Mi diressi verso la porta d'ingresso con passo cauto, rilassandomi solo dopo aver visto che si trattava del postino. Presi le buste e lo ringraziai del servizio. Iniziai a sbuffare nel vedere il numero spropositato di bollette, venendo poi colpita da una lettera in particolare; era indirizzata a me o, per meglio dire, alla vecchia me e non vi era traccia del mittente. Lo trovai abbastanza strano, ma dopo qualche minuto a fissarne la busta, la curiosità di sapere del suo contenuto mi pervase e, senza pensare ulteriormente, aprii la carta leggera, estraendone la lettera.
Al suo interno vi era solo una breve scritta, un appuntamento, "12 aprile, 10:30, Sagrada Familia"; l'appuntamento era segnato per il giorno seguente. Osservai quella lettera per un tempo a me sconosciuto e, solo per un istante ebbi una pazza speranza, sensazione che venne subito soffocata. Accartocciai la carta e la buttai nel cestino dei rifiuti con l'intenzione di dimenticare ciò che avevo letto, tornando poi ad osservare mia figlia giocare.
Pochi mesi dopo ricevetti un'altra lettera simile e poi un'altra e un'altra ancora. Alla sesta lettera decisi di ascoltare quella tenue vocina nella mia testa, mi vestii, portai Carol dalla madre di Juan e mi diressi davanti al monumento più conosciuto della Spagna, aspettando e guardandomi intorno con fare quasi sospetto. Attesi lì davanti per almeno mezz'ora, ma non si presentò nessuno, così tornai a casa in parte delusa, ma anche in un certo senso rassicurata.
La mattina seguente portai Carol al parco per farla giocare un po' con gli altri bambini; era una bimba abbastanza timida e sia io che suo padre cercavamo di spronarla in ogni modo a fare amicizia. Ero seduta su di una panchina poco distante, osservando mia figlia trovare il coraggio di chiedere ad un bambino di giocare con lei, e sorrisi nel vederli divertirsi insieme.
D'un tratto, quel senso di gioia lasciò il posto ad una strana sensazione che prese a pervadermi prepotente; sembrava ansia o angoscia o, peggio, un brutto miscuglio di entrambe. Iniziai a sentirmi osservata e presi rapidamente a guardarmi intorno, ma non notai nulla di strano. Pochi minuti dopo, l'altra metà della panchina venne occupata pacamente e quella mia strana sensazione sembrò aumentare di colpo.

"È tua?"

Mi voltai verso quella voce che, nonostante tutto il tempo trascorso, avrei riconosciuto tra mille. La sagoma al mio fianco era ben coperta; portava un parka completamente abbottonato, una sciarpa ed un cappello che impediva quasi completamente la visione del volto, eppure fui in grado di scorgere quei lineamenti duri che mi ero abituata a non rivedere mai più. Annuii nonostante il suo sguardo non fosse concentrato su di me e rimasi ancora ad osservarla.

"Ti somiglia molto."

Sussurrò, continuando ad osservare fisso davanti a sé con fare impassibile. Quando poi si girò finalmente verso di me, i miei occhi si riempirono all'istante di lacrime e venni pervasa dall'impulso di abbracciarla, ma stranamente trovai la forza di trattenermi. Il suo sguardo spento mi fissava rassegnato; nessuna emozione traspariva dal suo volto se non tristezza. Le portai una mano sulla guancia; volevo assaporare ancora una volta la sua pelle perfetta.

"Quando sei uscita?"

"Quasi un anno fa. Ho passato l'ultimo periodo a cercarti. Finalmente ti ho trovata."

Accennò ad un sorriso che, però, scomparve in un battito di ciglia. La vidi poi girarsi nuovamente verso mia figlia, sospirando pesantemente. Forse avrei dovuto dirle della mancata gravidanza, ma, in fondo, si trattava del passato e non avevo alcuna intenzione di far riaffiorare quei ricordi così dolorosi.

"Come si chiama?"

"Carol."

"È un bel nome."

La vidi abbassare il capo intristita, giocando sporadicamente con le proprie mani, mentre le labbra di poco socchiuse lasciavano fuoriuscire il fumo caldo del suo fiato.

"Speravo saresti venuta a trovarmi. Ti avevo fatto aggiungere nella lista dei visitatori."

"Non...potevo."

Annuì, tornando poi ad osservarmi con un'espressione che non le avevo mai visto addosso: un misto di imbarazzo e tristezza.
Carol si avvicinò sorridente, porgendomi una piccola paletta che le aveva prestato il bambino, spiegandomi che avrebbero fatto dei castelli di sabbia. Poi si girò verso Selene, inclinò il capo e parlò nuovamente.

"Ciao. Sei amica di mamma?"

La ragazza al mio fianco annuì piano, ma non proferì parola. Mia figlia sorrise, le porse un piccolo fiore che fino a quel momento aveva tenuto nascosto dietro la schiena e tornò a giocare.

"Presumo sia arrivata troppo tardi."

"Selene...sono andata avanti. Mi sono fatta una nuova vita."

"Mi stai dicendo che non provi più niente?"

Non risposi alla sua domanda, non potevo mentirle.

"Shamira, io ti amo, non ho mai smesso di farlo."

Distolsi lo sguardo, sentendo i suoi occhi bruciare su di me. Quando però la sentii sospirare affranta, capii che si era arresa.

"Mi dispiace."

La vidi alzarsi piano, salutarmi con un cenno del capo ed iniziare ad allontanarsi; le mani in tasca, il passo lento. Mi fermai ad osservare nuovamente mia figlia, ferma in mezzo alla sabbia a contare le pietre che aveva raccolto, e intanto cresceva in me una sensazione strana. Mi girai nuovamente verso Selene, ora più lontana, ed un fremito mi pervase il corpo. Mi alzai in tutta fretta dalla panchina e presi a correre verso la sua direzione. Quando si accorse della mia presenza, si girò di colpo ed io mi fiondai su di lei. Le mie labbra si scontrarono avide contro le sue ed in un attimo tutto sembrò scomparire e fu come se tutti quegli anni distanti non ci fossero mai stati. Mi resi conto solo in quel momento che per la prima volta dopo tanto tempo, mi sentii di nuovo viva.

SaraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora