Capitolo 7

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I pochi ricordi che avevo della mia vita precedente assunsero confusi un posto nella mia mente, continuando a vagare liberi come atomi solitari che cercano in ogni modo di ripararsi dal mondo esterno. Era bello riuscire a rivivere di tanto in tanto uno squarcio di vita, un piccolo episodio che poteva farmi tornare il sorriso o permettere alle lacrime di invadere le mie guance, ormai talmente abituate a sentire la salata sensazione di umidità che le portava a non sentirsi sole. 
Le memorie più belle, più confortevoli, erano quelle in compagnia di quell'uomo che il mio inconscio sapeva essere mio padre, ma del quale, nonostante tutti i miei sforzi, non ero in grado di riconoscere il volto; vagavamo in un camper di seconda mano, tenuto piuttosto bene per gli anni che si portava sulle spalle, ed inventavamo battute stupide mentre il paesaggio intorno a noi sembrava muoversi alla velocità di una preda con il cuore che batteva all'impazzata, talmente impetuoso da sembrare voler uscire dal petto. Le canzoni che passavano alla radio erano sempre così orecchiabili che restavamo ore in silenzio per non poterci perdere nemmeno una nota, sperando poi di poter sentire ancora una volta la stessa melodia per poterla accompagnare con il suono delle nostre voci.
Ora quella gioia, quella serenità portata dal viaggio, dal movimento della natura, dai suoni circostanti, sembrava essere svanita nel nulla come se non fosse mai esistita, quasi a voler imitare uno di quei sogni talmente realistici da sembrare quasi un miraggio; un miraggio dal quale, però, non sarei stata in grado di sfuggire. Nonostante il sedile dell'auto nera e perfettamente lucidata fosse confortevole, non riuscii a trovare un singolo aspetto di quella mattinata che mi avrebbe portata a rasserenare l'animo, continuando a lanciare lo sguardo contro il finestrino nella speranza di poter attraversare il vetro e sparire nel nulla. Non proferii parola nell'arco dei pochi minuti che passammo all'interno del veicolo e Selene non sembrò preoccuparsene, andando ad alimentare quel silenzio per nulla confortevole che si permetteva di colpire in pieno le nostre figure con una prepotenza tale da fare quasi male. Non riuscivo a capacitarmi del suo comportamento poco amichevole di pochi minuti prima e non osavo chiedere per paura di ricevere in tutta risposta un grido sgarbato o, peggio, un'alzata di mano. Non sapevo bene perché, ma nel profondo percepivo come una sensazione, una tenue voglia di non voler deludere le sue aspettative, di risultare all'altezza del suo rango, in modo da poter continuare quell'assaggio di vita che mi era stato offerto dallo zio. Forse in quel momento la mia mente aveva raggiunto un collegamento diretto con le mie paure oppure, nell'inconscio, stavo semplicemente cercando di abituarmi alla situazione. Sorrisi alla fievole ironia che percepii e, in un movimento timido, mi girai per poter osservare i suoi lineamenti, così duri e severi, a tratti nervosi. Teneva le mani strette sul volante come a non volerlo lasciare scappare via, mentre le gambe si muovevano abilmente insieme ai pedali. Di tanto in tanto i denti superiori raggiungevano il piercing posto nel lato del labbro inferiore, giocherellandoci in maniera distratta, quasi sovrappensiero, e gli occhi severi sembravano finti, statici, come a voler imitare quelli persi nel vuoto di una statua.
Sorrise dopo qualche minuto, inarcando uno dei due angoli della bocca e, raggiunto un semaforo che aveva cambiato colore in un rosso acceso già da un po', colse l'occasione per girarsi nella mia direzione, fissandomi con quel suo sguardo talmente penetrante da risultare quasi terrificante.

"Non ti hanno mai detto che è maleducazione fissare le persone?"

Spalancai di poco gli occhi, assumendo probabilmente un'espressione sorpresa, ed abbassai il capo mortificata senza mai rispondere alla sua domanda. La sentii sghignazzare per poi portare nuovamente la sua attenzione alla strada, ripartendo in tutta cautela dopo avere permesso ad un paio di pedoni di attraversare la strada davanti a lei. La sua guida era impeccabile, questo non si poteva negare, e un senso di calma mi pervase al centro della gola, scendendo fino al petto, portandomi a paragonare il suo stile con quello di Xavier che, al solo ricordo, mi forzò a percepire un brivido di terrore lungo la schiena. Cercando di allontanare il più possibile quell'orribile sensazione, mi girai nuovamente verso il mondo situato all'esterno del veicolo e mi concessi del tempo per fantasticare; pensai che sarebbe stato davvero bello poter diventare uno di quegli uccelli che si librano in volo con un semplice colpo d'ali, così liberi, così maestosi.
Il mio sogno ad occhi aperti, però, terminò nell'esatto istante in cui il mio corpo percepì l'ultimo movimento dell'auto, portandomi a comprendere di aver raggiunto la destinazione segreta che per tutto il tempo avevo desiderato conoscere. Selene non mi aveva dato alcun indizio, né mi aveva detto cosa indossare, quindi decisi di optare per qualcosa di funzionale ma al contempo carino, pensando che sarebbe stata la scelta migliore; scendendo dall'auto, però, mi resi conto che forse avevo sottovalutato lo standard di bellezza alla quale era abituata la mia promessa, osservando come sorrise nel vedere in lontananza una ragazza, probabilmente di poco più grande di me, che, poggiata di spalle contro il muro, i capelli scuri e lunghi sciolti che ricadevano sulle spalle, le sorrideva di rimando e, con un lento gesto della mano ed un cenno del capo, la salutò, invogliandola a raggiungerla. La ragazza che prima occupava il posto al mio fianco fu lesta ad accettare quell'invito, senza preoccuparsi di controllare se fossi ancora accanto a lei, andando ad avvicinarsi con poca accortezza alla persona che aveva attirato la sua attenzione per poi iniziare una rapida conversazione ed attraversare in tutta calma la porta d'ingresso del locale fuori dal quale ci eravamo fermate. Divorata dalla curiosità, alzai il capo per poter leggere l'insegna di quel piccolo posto, perdendo quasi un battito nel comprendere di trovarmi fuori dalle mura di uno stripclub, realizzando solo in quel momento che, senza alcun dubbio, quella ragazza che prima aveva attirato l'attenzione di Selene non poteva essere altro che una delle spogliarelliste che vi lavoravano.
Presi un respiro profondo e mi feci coraggio ad entrare cauta nella struttura, osservandomi intorno per cercare di trovare l'unico punto d'appoggio che avevo in quel momento e notando come, nonostante il locale non fosse aperto al pubblico, vi era molto via vai e la maggior parte dei dipendenti si premuravano di trasportare degli scatoloni apparentemente pesanti, blaterando un qualcosa di simile ad un lamento, mentre le ragazze presenti, compresa quella precedentemente appostata fuori, si radunarono in un cerchio al centro del quale ero sicura vi fosse Selene.
Una delle abili danzatrici si girò incuriosita nella mia direzione, probabilmente sentendosi in parte osservata, e mi rivolse un sorriso di circostanza, allontanandosi dal gruppetto e raggiungendo il bancone del bar nel quale avevo deciso di sostare, lontana il più possibile da tutti, e attraverso cui sarei stata in grado di osservare l'intera zona; il piccolo posto, infatti, dotato di poco più di un paio di sgabelli, risiedeva al centro del locale, aggirato meticolosamente dalle numerose postazioni che, in genere, venivano occupate dagli occhi avidi dei clienti e, in fondo alla sala, il palco sul quale si esibivano le forme femminili.

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