Capitolo 39

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"Cosa diavolo significa?"

Ci eravamo allontanati da quella casa malmessa già da un po' e, dopo esserci inoltrati nel paesino poco distante, avevamo raggiunto un piccolo motel situato in periferia; era sprovvisto di ogni comfort, gran parte delle luci non funzionavano e non vi era acqua calda, ma fu l'unica sistemazione che fummo in grado di trovare, portandoci a comprendere che quel posto non era molto frequentato da turisti.
Il motel, nonostante sembrasse piccolo dall'esterno, era composto su due piani, ognuno dei quali contenente dieci camere di modeste dimensioni; il corridoio che collegava le varie stanze era stretto e lungo, illuminato solo da qualche lucetta sparsa lungo tutta la lunghezza, e presentava un bagno comune alla fine, contrassegnato da una piccola targhetta con su scritto 'WC'.
Nella hall vidi una ragazzina ridacchiare divertita insieme a quello che aveva tutta l'aria d'essere il suo fidanzatino; presero la chiave e salirono in tutta fretta verso la loro camera senza mai separarsi l'uno dall'altro. Ne compresi che, quasi sicuramente, quel posto veniva sfruttato dai giovani per ritagliarsi dei momenti intimi lontani dalla pressione dei genitori e da sguardi indiscreti.
Selene camminava nervosamente avanti e indietro, costeggiando il letto matrimoniale, girandosi di tanto in tanto per cercare il mio sguardo. Si portò una mano tra i capelli per poi lasciarsi cadere sul materasso, sospirando pesantemente, mentre Apollo, seduto sul letto singolo poco distante, non smise nemmeno per un istante di osservarla preoccupato. Il mio sguardo si alternò tra i due, aspettando impazientemente che qualcuno prendesse la parola per allontanare quel silenzio straziante che aveva avvolto la stanza. Come se mi avesse letto nel pensiero, Apollo si schiarì la gola, si lisciò la maglia con i palmi e prese la parola.

"Cosa facciamo adesso? Torniamo a ca-"

"No!"

Selene lo interruppe prontamente; non aveva intenzione di sentire quella proposta, non voleva nemmeno prendere in considerazione quella possibilità. Rimase sdraiata vicino a me, portandosi le mani a coprire il volto per poi stropicciare aggressivamente gli occhi. In quel momento, il suo cellulare prese a squillare incessantemente; lo estrasse dalla tasca dei jeans e rifiutò la chiamata borbottando qualcosa di inconprensibile.

"Chi era?"

"Trevor."

Il cellulare prese a squillare nuovamente, segnando sul display lo stesso nome di poco prima. La ragazza tatuata si sedette, prese il telefono e finalmente rispose alla chiamata, attivando il vivavoce.

"Non ti permettere mai più di rifiutarmi la chiamata."

"Ciao anche a te."

"Dove diavolo sei? Immagina la mia sorpresa quando Dana mi ha riferito che non eri in città."

Selene mi osservò per qualche secondo, probabilmente prendendosi del tempo per pensare a cosa rispondere alla domanda dello zio, poi si alzò, prese il cellulare svogliatamente e si diresse verso la piccola finestrella situata nel fondo della camera.

"Sto sbrigando una faccenda."

"Mi auguro per te che la ragazza sia insieme a te. Non dimenticarti il tuo compito. Dammi un erede, o non sei capace di fare nemmeno questo?"

La ragazza in piedi davanti alla finestra strinse con forza il pugno libero, fin quasi a lasciare i segni delle unghie sul palmo, mentre la mascella prese a serrarsi al punto da permettere di vederne ogni lineamento. Si girò di scatto, osservandomi con quel suo sguardo freddo che ero solita incrociare tra le stanze della villa, portando lo speaker del cellulare più vicino alle labbra per poi sussurrare un "Non preoccuparti" che mi fece gelare il sangue nelle vene. Il mio respiro si fermò per un istante e mi girai verso Apollo che, come se non avesse sentito niente, rimase seduto sul materasso singolo, impegnando il suo tempo a lucidare un coltellino tascabile che, fin'ora, aveva tenuto nascosto.
Selene terminò la chiamata, lanciò il telefono sul letto e permise alla sua schiena di scontrarsi contro il muro freddo della camera. Aprì la finestra ed accese una sigaretta che non perse tempo ad aspirare per poi far cenno al ragazzo di prestarle attenzione. Lui, osservandola con sguardo incuriosito, si diresse nella sua direzione, ricevendo quel fogliettino che ci aveva consegnato quella strana signora.

"Vai a chiamare questo Diego, vedi che ti dice."

Apollo annuì e si diresse a grandi passi verso la porta.

"Apollo."

Lo chiamò nuovamente lei, facendo in modo che il ragazzo si fermasse proprio sulla soglia della stanza. Lo vidi girarsi nuovamente verso l'interno di quelle quattro mura, attendendo paziente che la ragazza tatuata prendesse nuovamente la parola.

"Non tornare in camera."

Nel sentire quelle parole, il mio cuore perse un battito. Conoscevo bene le sue intenzioni e le conosceva pure Apollo, il quale semplicemente annuì per poi sparire oltre la porta che venne bloccata da Selene non appena fummo sole. Come d'istinto, mi arricciolai sul materasso nella speranza di poter scomparire completamente mentre il respiro si fece più rapido ed incostante. La ragazza con ancora la sigaretta tra le labbra si sdraiò al mio fianco e sospirò come annoiata. Quando girò il capo verso di me, sorrise ed allungò un braccio come a volermi invitare ad avvicinarmi a lei.

"Vieni qui, non voglio farti niente."

Nel vedere il suo sguardo sereno, mi convinsi di non avere nulla di cui temere e, con molta calma e prudenza, feci come da lei richiesto, trovandomi stretta tra il suo braccio ed il suo corpo incredibilmente caldo.
Quando la sigaretta fu ormai consumata, afferrò ciò che ne restava e lo pressò contro la superficie del piccolo comodino in legno, lasciandovi una macchia indelebile. Si girò di fianco nella mia direzione, in modo da poter avere i volti vicini, e, questa volta, mi osservò con serietà.

"Dana ti ha dato le pillole, non è vero?"

A quella affermazione mi sentii come una bambina colta sul fatto mentre cercava di rubare dei biscotti dal ripiano più alto della cucina. Arrossii quasi di colpo per l'imbarazzo, trovandomi ad annuire lentamente mentre il mio sguardo non tentò di collegarsi al suo, rimanendo basso verso la sua spalla.
Selene ridacchiò, portando una mano ad accerezzarmi la spalla, giocando poi con una ciocca dei miei capelli. prima di nasconderla dietro l'orecchio.

"Lo sapevo."

"Se lo sapevi, perché non hai detto nulla?"

"È conveniente per entrambe."

Non dissi nulla a quella risposta; di fatto le sue parole non erano contestabili, così rimasi in silenzio, godendomi quel suo tocco calmo e disinvolto. Poi, un pensiero si fece strada nella mia mente, facendosi sempre più insistente, a tal punto da impedirmi di proseguire quel rilassato silenzio. Alzai di poco il capo; il mio palmo poggiato sul suo petto mentre il suo sguardo continuava indisturbato a vagare sulla mia pelle.

"Dato che hai tirato in ballo Dana...devo chiederti una cosa."

"Di che si tratta?"

"Sua figlia."

Non dissi altro. Qualcosa in me si bloccò all'istante dopo aver pronunciato quelle due parole; forse la paura di una sua possibile reazione negativa oppure il terrore di una conferma. La ragazza al mio fianco chiuse gli occhi ed annuì, come ad aver capito dove volessi andare a parare. Si portò una mano fra i capelli per domare quelle poche ciocche ribelli, girandosi poi ancora una volta verso la mia direzione, avvicinandosi maggiormente a me.

"La storia che ti ha raccontato...è vera."

Il mio cuore perse un battito. Nel profondo sapevo che la risposta non sarebbe stata diversa, ma speravo con tutta me stessa di non dover sentire quella conferma. Cercai di alzarmi, ma Selene fu lesta nel bloccare ogni mio movimento, continuando a mantenere i suoi occhi fissi sui miei, mentre cercava di calmare il mio impetuoso stato d'animo.

"Lo stai facendo anche con me? Stai giocando anche adesso?"

"No, io ti amo."

Quelle parole furono accompagnate da un bacio casto, un breve attimo di estasi, come una droga che ti entra in circolo di prepotenza, come il tepore di una mattina di primavera.
Quando ci separammo, un battito costante contro la porta catturò la nostra attenzione. La ragazza tatuata si alzò in tutta fretta e sbloccò la lastra in legno, permettendo così ad un Apollo visibilmente affannato di entrare nella stanza con in volto un'espressione tutt'altro che decifrabile.

"So dove dobbiamo andare!"

SaraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora