41. Noi.

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Jamie:

Se c'è una persona che mi ha sempre fatto innervosire, quello è Luca. Fa sempre di testa sua e non ascolta mai nessuno, però appena ha bisogno di aiuto, ovviamente chi chiama? Me. Sempre solo me.
Non ho mai capito perché, dato che non faccio altro che cazzeggiarlo continuamente.

Siamo amici e gli ho salvato il culo milioni di volte a causa della sua impulsività, ma adesso sta cominciando a stancarmi. Il motivo principale per il quale sono così nervoso è che mi ha chiamato nel momento più sbagliato della giornata.

Il fatto è che non ero solo, con me c'era Jillian e questo ha reso tutto più complicato. La mia fortuna è che lei non capisce neanche una parola di italiano perciò non sa cosa ci siamo detti, ma spero che non capiti nuovamente, perché in quel caso, se dovesse farmi domande, dovrei inventarmi qualcosa al volo.

Quando sono andato via da Roma, ho detto a Luca e ad Antonio di sentirci solo ed esclusivamente per messaggio ed evitare ad ogni costo la chiamata, in modo da non dover mai dare spiegazioni a Jillian.
Il patto era sentirci per telefono solo in caso di assoluta emergenza, perciò quando ho visto che mi stava chiamando, non ho potuto fare a meno di rispondere.

*****
Mi chino per terra e recupero il cellulare dalla tasca dei miei jeans. Cerco di fare in fretta, in modo da tornare subito da lei e quindi guardo velocemente lo schermo prima di rispondere.
Quando vedo che si tratta di Luca, impreco mentalmente.
Stamattina gli ho inviato il mio nuovo numero e ora me ne sto già pentendo, ma una cosa è certa: se mi sta chiamando vuol dire che è successo qualcosa di grave.

«Pronto?» Uso un tono di voce tranquillo, cercando di far finta di niente, ma in realtà non so che diavolo pensare e il fatto che ci sia Jillian ad ascoltarmi, non mi aiuta affatto.

«Jamie, sono andato a cercarli e quei bastardi mi hanno sparato al piede», biascica, la sua voce è affaticata. «Non posso camminare, non riesco ad alzarmi in piedi. Sto sanguinando. Vieni a prendermi subito, ti prego», mi supplica con una voce che farebbe pena a chiunque. Ovviamente non a me.

Mi alzo in piedi di scatto e stringo la mia mano in un pugno. Una sola frase è bastata per farmi venire la voglia di sbattergli la testa al muro in modo da farlo ragionare, almeno una volta.

«Porca puttana», sbotto, alzando il tono di voce. «No che non posso venire! Sono in America, coglione». Parlo subito in italiano e alzo gli occhi al cielo.
È così rimbambito dal dolore che è convinto che io sia ancora lì.

«Dimmi dove ti trovi. Dico ad Antonio di venire a prenderti. Cazzo, se fossi lì ti prenderei a pugni!» Urlo, infuriato. Vorrei almeno provare a stare calmo sapendo che Jillian mi sta ascoltando, ma non ci riesco. È più forte di me.

«So che mi hai detto di non farlo, ma... Senti, non importa, io non mi arrenderò mai», respira forte e poi lo sento fare un lamento di dolore. Forse ha mosso il piede per sbaglio e se è così, ben gli sta!
«Sono in piazza di Spagna, sulla gradinata», mi spiega con fatica.

All'improvviso mi accorgo che Jillian chiude l'acqua, molto probabilmente per sentire meglio ciò che sto dicendo.
Mi giro di scatto verso di lei e non riesco a fare a meno di sbuffare.
Sono uscito dalla doccia in modo da mettermi un preservativo e tornare subito lì e invece una volta finito, mi sono ritrovato a parlare al telefono.
Anche Ector mi sta supplicando di muovermi.

«Jamie, parla, dannazione. Ti ricordo che sto sanguinando e potrei perdere il piede!» Borbotta.
«E ho anche la batteria scarica, merda», si lamenta come un bambino. «Devo andare via di qui al più presto».

Io, tu e uno stage. (Primo libro)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora