45. Parole che colpiscono al cuore.

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Jamie:

Sono trascorsi due giorni dall'incidente e, a parte il fatto di avere un cerotto ancora sulla fronte, sto benissimo. L'unica cosa che mi pesa è essere senza macchina. Sto pensando di andare a comprarla domani mattina o almeno, dare un'occhiata. Anche se trovarla al primo colpo, sarebbe perfetto.

Mentre sono sdraiato sul divano a pancia in sù con la mano sotto la testa che funge da cuscino e le gambe accavallate tra loro, penso questo.
Uno sbadiglio però, mi fa spostare l'attenzione su Jillian.
È coricata sul divano accanto al mio che guarda un film in tv. È girata di lato e ha entrambe le mani sotto le sue guance con le gambe piegate su se stesse. I suoi occhi sono semichiusi e sta facendo fatica a rimanere sveglia.

Sono a casa sua da due ore; adesso è già mezzanotte. Abbiamo cenato con un piatto di pasta al tonno, dopodiché ci siamo sdraiati sul divano a guardare un film.
Non capitava da parecchio tempo, ma questo mi ricorda che il suo secondo divano fa davvero comodo. Abbiamo passato moltissime serate proprio come oggi, entrambi coricati, ognuno a rilassarsi per conto suo, a pochissima distanza l'uno dall'altra.

Jillian sposta i suoi occhi su di me e i nostri sguardi si incrociano tra loro. Mi sorride in modo dolce e poi si gira a pancia in giù, appoggiando il mento sopra il dorso della sua mano.

«Sono un po' stanca», mormora con voce assonnata. «Ti va di...» fa una piccola pausa e arrossisce. «Di dormire qui da me?»

«Va bene», sorrido anche io. «Ma domani mattina devo andare da un rivenditore per comprare un'auto. Voglio alzarmi presto».

Lei alza il viso di scatto e spalanca gli occhi. «No!» Urla. Io la guardo confuso e lei scuote la testa. «Cioè voglio dire: non devi andarci».

«Perché?»

Sospira e si solleva mettendosi seduta. «Perché voglio regalartela io e ho pensato di andarci proprio domani», ammette, imbarazzata. «Mi sarei fatta aiutare da qualcuno. Doveva essere una sorpresa, ma ormai è rovinata», dice aprendo entrambe le braccia, un po' dispiaciuta.

Alzo un sopracciglio, sorpreso. Non mi aspettavo niente del genere. «Grazie, ma no. Voglio comprarla io».
Non si tratta di un semplice regalo, stiamo parlando di un'auto e lei lo dice come se niente fosse.

«Lo so. Hai ragione», ammette arrossendo in viso. «Sono una stupida, fare la sorpresa sarebbe stata una pessima idea. Sei tu che devi decidere il modello, non io, né nessun altro. Scusami. Dimmi tu quale vuoi. Anzi, sarebbe più semplice», sorride e porta le mani in grembo aspettando una mia risposta.

Ovviamente non abbiamo gli stessi pensieri per la testa. Lei è convinta che io stia dicendo di no, semplicemente per il modello, io per una cosa totalmente opposta.

«No. Non voglio che tu mi regali niente del genere. La compro io», ribadisco.

«Ma perché?» Avvicina le sopracciglia tra loro e nel farlo sulla sua fronte si forma una piccola ruga.

Cambio posizione e mi siedo anche io. Purtroppo, il relax di poco fa, ora è sparito. «Perché non ne ho bisogno». Mi appoggio allo schienale del divano e incrocio le braccia al petto.

«Sì che ne hai bisogno», mormora, allibita, in tono ovvio. «Mi hai appena detto che domani andrai a comprarla. Invece te la voglio regalare io», alza un po' il tono di voce e capisco che è infastidita.

«Non ho bisogno che sia tu a comprarla. Stai parlando di una macchina, non di un gelato», le faccio notare. «Quindi no. Punto».

È meglio mettere fine a questa discussione perché so che se continuassimo, porterebbe a un litigio vero e proprio. Quando si parla di soldi, finisce sempre male tra noi e, il fatto che anche io stia cominciando a innervosirmi, non è un buon segno.

Io, tu e uno stage. (Primo libro)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora