43. Signora Brown.

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Jamie:

«Voglio andare via. Sto bene. Quante volte lo devo ripetere? Non ho un cazzo, solo un graffietto sulla fronte».
Le indico il punto del quale sto parlando e sospiro esasperato.

«Non è solo un graffietto, signor Brown. Ha perso molto sangue e abbiamo dovuto ricucire la ferita con cinque punti.
Ora stiamo aspettando i risultati della tac. Non la possiamo far andare via, quindi si calmi e non dica parolacce». Dice l'infermiera, lanciandomi un'occhiata di rimprovero.

«Parolacce?» Ripeto, scoppiando a ridere. «Ho detto solo: ca...» Non finisco la parola perché lei mette una mano davanti al mio viso per farmi segno di tacere e spalanca gli occhi. Chiudo la bocca, la guardo confuso e inarco un sopracciglio, pensando abbia qualche rotella fuori posto.

«Può dire anche cavolo o caspiterina», mi fa notare, abbassando la mano e riducendo gli occhi in due piccole fessure. Penso sia infastidita sul serio dal mio modo di parlare.

È una ragazza con i capelli biondi, legati in una coda bassa, i suoi occhi sono castani e grandi e avrà più o meno la mia età, solo che piuttosto che un'infermiera, mi ricorda una suora.
È molto bassa, magra e minuta e da quando sono arrivato, non fa altro che lanciarmi strane occhiate, soprattutto ogni volta che apro bocca.

«Puoi dirmi dove ca...spiterina si trova il mio cellulare?» Chiedo, usando un tono di voce sarcastico.
Vorrei avvisare Jillian, ma qualcuno mi ha preso il telefono e non me l'ha ancora restituito.

«È stato preso da un'altra infermiera. Lo porto subito, ma lei non si muova! Appena avremo i risultati e sapremo che è tutto a posto, potrà andare a casa».
Detto questo, lascia la stanza in tutta fretta, come se non vedesse l'ora di andare via.

Sono in questo ospedale da quasi due ore. Stamattina ho avuto un incidente stradale e purtroppo, la mia macchina è distrutta.
Uno stronzo mi è venuto addosso proprio due minuti prima di arrivare in azienda.

Doveva darmi la precedenza, invece non l'ha fatto e ha sbattuto contro la mia auto colpendo il lato passeggero.
Io mi avevo appena tolto la cintura di sicurezza perché ormai ero quasi arrivato e questo quindi, non mi ha salvato dallo sbattere la testa contro il volante a causa della frenata brusca.

Non so cosa sia successo dopo, né che fine abbia fatto chi ha causato l'incidente, so solo di essere svenuto e mi sono svegliato direttamente in questa stanza d'ospedale con un enorme cerotto bianco sulla fronte.
Mi hanno voluto fare una tac per controllare se avessi riportato danni celebrali, ma io sto benissimo, a parte un leggero mal di testa.

In camera non sono solo. C'è un ragazzo coricato sul letto di fronte al mio, ma da ciò che mi hanno detto, è molto grave. Ha avuto un incidente ieri mattina e si teme non superi la notte. È stato operato d'urgenza, purtroppo senza ottenere i risultati sperati. È intubato ovunque. La sua testa è fasciata da una benda bianca e la sua gamba destra è ingessata fin sopra il ginocchio.
Penso siano state le parti più colpite, in aggiunta a qualche costola rotta.

La cosa più brutta è che ho sentito dire che è stato portato in questo reparto perché non c'è più niente da fare. La sua vita è appesa ad un filo, che se si spezza, porterà via tutto ciò per cui ha lottato, tutti i suoi sogni e ogni speranza di poterli realizzare.

Con l'incidente che ho avuto, mi sarebbe potuta capitare la stessa cosa e al suo posto, ci sarei potuto essere io.
Mi vengono i brividi al pensiero di finire la mia vita in questo modo. Se potessi scegliere, preferirei morire sul colpo, piuttosto che soffrire così tanto.

«Amore mio!» La voce di una ragazza in lacrime, mi distrae dai miei pensieri e mi giro verso di lei.
Non guarda nella mia direzione, corre subito verso il ragazzo e si precipita al suo fianco.
Lo accarezza sulla fronte, poi si china e appoggia la testa sul suo petto, piangendo forte. Purtroppo però, non ottiene alcuna reazione, lui continua ad avere gli occhi chiusi.

Io, tu e uno stage. (Primo libro)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora