-capitolo 41-

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-MAI-


Dabi's POV

Mai, mai una volta in cui andasse bene qualcosa.
"Cazzo!" sbottai stringendo i pugni.
Quel giorno aspettai ore il ritorno di Shouto e di nostro padre, passare a fissare quelle quattro parole che sembravano le uniche cose visibili.

Arrivato alla sera, ancora nessuno era tornato a casa.
La mattina dopo, nemmeno.
Decisi quindi di chiamare la polizia, in preda all'ansia, la quale arrivò dopo un quarto d'ora circa. Gli spiegai la situazione, pensando ovviamente al peggio.

Temevo che mio fratello potesse essere dichiarato scomparso.

Dalla polizia si passò all'anagrafe, la quale mi informò del fatto scatenante.
Appena gli dissero il nome di mio fratello, essi dissero che Shouto aveva ormai cambiato residenza.

Non nel nostro paese.
Non nel nostro continente, l'Asia.
Shouto era partito per un posto talmente lontano, che non riuscì a non farmi domande.
Ringraziai, ma appena uscirono, fiumi di lacrime inondarono il mio viso.

Avevo capito.

Todoroki's POV

"Cammina." ordinò mio padre.
Non so come io potessi sentire quelle parole. All'inizio pensai che fossero solo un'allucinazione, insomma, mi credevo davvero morto.
O almeno senza forze nemmeno per stare in piedi.

Ma la realtà non è ciò che si vede.
Fuori gli altri vedevano Todoroki Shouto, che camminava, passi lenti e trascinati, certo, in un quartiere malandato dell'America dopo essere stato portato via dal padre.
Dentro io non avevo nulla, nulla.
Se non un nome, il suo nome.
Izuku.

Chissà se sta bene.
Chissà se ci è rimasto male.
E le rose? Le avrà ricevute?
Spero di si, mi sono costate un polso rotto e qualche decina di calci.
Sarà deluso?
Sarà...Vivo?

Un'ansia, un'ansia terribile.
Non avevo modo di saperlo.
Il mio telefono? Beh, spaccato in qualche angolo della vecchia casa.
Ed ero lí, distante dalla mia unica ragione di vita, e tutto quello che potevo fare era camminare, camminare verso quella che sarebbe stata la mia nuova vita senza di lui.

Così credevo, anche se non lo speravo. Avevo troppe cose da sapere, troppi baci da scambiarli, troppi abbracci con cui riempirlo, troppi 'grazie' da sussurrargli nelle sere in cui eravamo soli.
Avevo troppo tempo da occupare tenendogli la mano e troppe lacrime da asciugare.
Non le mie, ovviamente.

E poi il dolore, il dolore più profondo.
Fisico e psicologico.
Mi aveva distrutto, picchiato in tutte le maniere possibili, condannato ad una tortura mentale enorme.
Volevo solo sapere se Izuku stesse bene.
Vaffanculo a tutto il resto, non mi interessava, non me ne fregava un emerito cazzo.

Le macchine che passavano a tutta velocità scompigliavano i miei capelli, le lancette del grande orologio sul più alto dei palazzi scandivano il tempo, la cenere della sigaretta di una ragazza dai capelli viola cadeva liberamente.
Insomma, tutto si muoveva, ma in quel momento non era percettibile, non a me.
L'unica cosa che percepí fu una lacrima che rigó il mio viso macchiato dai lividi.

"Enji Todoroki..." una voce femminile scandì il nome di mio padre, facendomi girare distrattamente.
"Da quando hai iniziato a rigirare per le strade dell'America?" chiese ella.

Era la ragazza di prima.
Piuttosto bassa, i capelli viola erano mischiati al nero probabilmente naturale, stava appoggiata al muro con una gamba piegata e la sigaretta fra le dita.
Al pronunciare di quelle parole però si alzò mettendosi composta.
I jeans erano appunto neri, strappati sulla maggior parte delle cosce e delle ginocchia, i quali strappi lasciavano intravedere delle calze a rete.

Forever and Never //TodoDekuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora