PROLOGO

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Le grida si erano spente già da alcuni minuti, ma il bambino rimase comunque rintanato in un angolo dell'angusta cabina armadio.

L'uomo cattivo gli aveva ordinato di non uscire, ed era ciò che avrebbe fatto.
Si arrabbiava sempre molto quando gli disobbediva... e, se lo faceva, lo puniva facendogli cose brutte.

Ma se fosse stato buono, non gli avrebbe fatto male.
Non di nuovo.

In realtà, il bambino non ne era sicuro. Non aveva mai visto l'uomo cattivo così infuriato. Per un attimo, gli era sembrato perfino spaventato, ma non era possibile.

I mostri non avevano paura.
La incutevano agli altri.

E, in quel momento, il bambino ne aveva parecchia.
Gli spazi piccoli e stretti lo terrorizzavano e il senso di panico gli provocava tremiti incontrollabili, malgrado il caldo.
Era così madido di sudore che i vestiti gli aderivano alla pelle e ciocche di capelli gli si erano appiccicate alla fronte imperlata.
Gli sembrava quasi di soffocare, come se i polmoni fossero stati sostituiti con sacche bucate, e doveva lottare contro i continui conati di vomito.

La porta non era chiusa a chiave... sarebbe bastato allungare una mano per aprirla, o almeno socchiuderla.

Ma aveva troppa paura anche solo per pensare di muoversi, figurarsi uscire.

Per andare dove poi?
A casa? Quella era casa sua, l'unica che avesse e che avrebbe mai avuto.
Anche se, per lui, era sempre stato il luogo più terrificante del mondo.

No, sarebbe stato bravo e avrebbe atteso che l'uomo cattivo tornasse.

Il bambino si rannicchiò meglio nel suo cantuccio, le braccia esili che circondavano le gambe, sottili come fuscelli, con il mento posato sulle ginocchia ossute.

Ogni respiro gli provocava delle fitte acute che partivano dalle costole fino alla schiena. Tutto il corpo pulsava di dolore per i nuovi lividi, rossi e gonfi, che si erano formati dove i calci lo avevano colpito. Il volto era tumefatto sulla mascella e sulla guancia a causa degli schiaffi.
Sentiva le ossa indolenzite e fragili, come fossero fatte di porcellana, e la cute dei capelli gli faceva male nel punto in cui l'uomo cattivo lo aveva strattonato.

E poi c'era la fame che gli artigliava lo stomaco, anche se non era difficile ignorarne i crampi e i brontolii.
Era abituato a non mangiare per tanto tempo: era uno dei modi in cui lui lo puniva.

In seguito, il bambino si sarebbe dimenticato della puzza di rancido, di muffa e di polvere che gli faceva prudere le narici.
E anche dei maglioni sgualciti, delle camicie consunte e dei pantaloni sbiaditi che gli solleticavano la pelle.
Avrebbe scordato le ragnatele alle pareti, gli insetti nell'aria, il raspare di un topolino, il pavimento freddo e sudicio sotto i piedi e perfino il formicolio incessante alle mani.

Ma l'eco dei passi che salivano le scale, lenti e strascicati, gli sarebbe rimasta impressa a fuoco nella memoria per sempre.

Con il cuore che gli tamburellava frenetico in gola, il bambino cominciò a tremare sempre di più e strinse forte le gambe al petto.

Giunti al piano superiore, i passi si fermarono per un secondo, poi proseguirono lungo il corridoio.

Il bambino trattenne il fiato, nervi e muscoli in tensione, e lo rilasciò solo quando sentì i passi sparire nella camera accanto.

Per almeno cinque minuti, regnò un silenzio atroce, così profondo che gli faceva fischiare le orecchie.

Forse, l'uomo cattivo si era dimenticato di lui ed era andato a dormire?
A volte, quando beveva ancora più del solito, gli capitava, e ciò lo costringeva a rimanere ad aspettarlo fino alla mattina seguente.

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