Capitolo 3

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Mia varcó timidamente la soglia della sua classe, un'aula abbastanza grande, una delle più grandi all'interno della scuola, per contenere la sua enorme classe pollaio.

Ventuno paia di occhi di ogni colore la fissarono mentre si sedeva al suo banco, e mentre la professoressa smetteva di spiegare per rimproverarla del ritardo. La sua vicina di banco, Francis Bolter, si scostó leggermente dal suo posto, senza nemmeno degnare di un'occhiata Mia.

Nessuno la degnó di un'occhiata, e nessuno si accorse che faticava a vedere, dato che aveva tolto i suoi occhiali per nasconderli nella cartella, rotti e rovinati. Durante tutte le ore di lezione stava zitta e in silenzio, prendendo appunti e cercando di ascoltare quelle noiose materie che odiava, e che proprio non capiva, nonostante i suoi considerevoli sforzi.

Nei cambi d'ora era un'agonia; sentiva tutti i suoi compagni di classe chiacchierare tra di loro, gridare, e fare casino, mentre lei stava in silenzio, con la testa piegava sul cellulare nel tentativo di sentirsi meno sola. Francis si era girata a chiacchierare con le compagne sedute negli altri banchi, e nessuno si preoccupava di calcolare lei.

Poi scattó l'intervallo. Il terribile intervallo, in cui era costretta a restare sola, in cui cercava la compagnia di Dakota, che puntualmente, non la calcolava. Dakota la calcolava solo nel momento in cui era lei a trovarsi sola, solo nel momento in cui non aveva nessuno. E a Mia andava bene quel trattamento, almeno aveva un'amica.

Si alzó dal suo banco, mentre Francis osservava con i suoi critici occhi azzurri i leggins neri che mettevano in evidenza la forma fisica non proprio perfetta di Mia.

La ragazza si era spesso chiesta se il motivo per cui nella sua classe non veniva calcolata era la sua stazza, troppo grande per gli standard della società. E Mia ci stava male per questo. Ma non riusciva a cambiare, non riusciva a dimagrire, preferiva piuttosto continuare a mangiare e a indossare abiti comodi e poco alla moda.

Passó l'intero intervallo chiusa in bagno, a giocare al cellulare, o a guardare fisso davanti a se la porta chiusa, sperando che nessuno bussasse per entrare. Era sola. Come sempre.

Il resto della giornata passó lento e fu come una tortura; come tutti i giorni della sua vita scolastica d'altronde. Ma la tortura della sua giornata non era ancora finita.

Quando finalmente la campanella che annunciava la fine delle lezioni suonó, Mia quasi corse fuori da scuola, mentre il cuore le batteva forte nel petto per la paura di incrociare Sean, Derek e Phil.

Sua madre la aspettava in macchina, parcheggiata al solito posto nel piazzale esterno del liceo scientifico, mentre era ovviamente impegnata a parlare al cellulare. Mia salì sulla vettura, e salutó a bassa voce la madre, che le fece un cenno, mentre continuava a parlare al telefono.

Mia subito si attaccó al cellulare, mentre la madre partiva veloce verso casa.

- Allora Mia, come è andata oggi? - Genna finalmente riattaccó il cellulare, e potè dedicare un po' della sua attenzione alla figlia.

- È andata bene mamma. - Mentì Mia, senza nemmeno alzare gli occhi dal telefono. Sua madre non immaginava nemmeno tutto quello che passava ogni giorno, e non immaginava nemmeno tutto il male che Mia era costretta a subire.

La conversazione tra madre e figlia si bloccó li, e il resto del viaggio si risolse in un agghiacciante e imbarazzante silenzio tra le due, mentre il disagio all'interno della vettura saliva a vista d'occhio.

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