Capitolo 1

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Capitolo 1
Maledetta timidezza

EDITH

La nostra vita è determinata dalle opportunità; persino da quelle che non cogliamo, o che lasciamo decidere agli altri al posto nostro. Io per esempio non riuscivo mai a dire di no, soprattutto in circostanze particolari. E questa, divenne una di quelle volte...

Un altro singhiozzo straziante ruppe per l’ennesima volta il mio discorso di incoraggiamento. Noemi, stagnante nel salotto di casa, era inconsolabile. I capelli corti, di un colore indefinito, tra il biondo scuro e il castano chiaro,  sembravano una selva indomabile; incorniciandole la faccia, ridotta a una maschera di rammarico. Il corpo floscio, fasciato ancora nella tenuta lavorativa, da estetista, concludeva la triste mattinata.

Per quanto apprezzassi Micol e la sua inguardabile ospitalità, temetti che nessun buon proposito sarebbe andato a buon fine, allietando il dispiacere.

Serafina - la migliore amica di mia sorella - le passò il ventesimo fazzoletto di carta con aria vagamente seccata e stufa. Piantata nel cuore dell’appartamento, provava inutilmente a rallegrarla. Almeno sperai che fosse quello il suo intento. Alta e slanciata, sfiorava il metro e ottanta, superando tutte noi in altezza. Aveva una passione per le griffe, e riteneva le divise di lavoro l’ultima tortura in commercio.

La mia amica piangeva, disperata, da quasi un’ora, e io non sapevo più che dirle per consolarla almeno un poco. Si era presentata prima di pranzo, in condizioni pietose, e l’unica cosa sensata a cui pensammo, fu chiamare i rinforzi.

«Una pausa. Vi rendete conto?! Diego mi ha chiesto una pausa», si lamentò di nuovo, soffiandosi il naso e proseguendo a piangere, raccattando un altro tovagliolo pulito: «Dice di amarmi e mi fa questo?!». Il pavimento ormai era un cimitero di fazzoletti appallottolati, raggruppati tutti ai suoi piedi. Si sarebbe sepolta da sola, in un cumulo di carta e lacrime.

Micol - la mia saggia sorellona - arrivò con una tazza di tè caldo, provando a smorzare il dolore emotivo e calmare la mente, porgendole il tutto su un piccolo vassoio. Anche Serafina e io ne avremmo avuto bisogno.

«E già. Succede con chi è incoerente. Suvvia Emy, stai piangendo per un volgare ominide», boffonchiò Fifì, ma Micky la fulminò con lo sguardo prima che potesse aggiungere qualcos’altro, rivolgendosi infine a Noemi con più gentilezza, nel vano tentativo di correggere le parole della sua amica.

«Sono sicura che anche lui stia soffrendo quanto te, tesoro», le accarezzò il capo. Fu un gesto dolce, cadenzato dalla compassione. Ricordava una mamma con le sue figlie: gli occhi azzurri ricolmi d’amore e le mani pure, prive di egoismo.

«Sì, anch'io ne sono convinta», incoraggiai mia sorella, sedutasi accanto a lei. Entrambe le sorridemmo fiduciose; Noemi però non ricambiò affatto. Era ancora troppo scossa dall’accaduto per farlo.

«E allora perché questa pausa? In una relazione non si dovrebbero risolvere i problemi invece di crearne altri? Perché non venirci incontro?», chiese, ancora paonazza per le lacrime versate e il labbro inferiore che non cessava di tremare. Mi guardava, in attesa di risposte.

Poneva i quesiti alla persona sbagliata. Non sapevo nulla dell’amare, né dell’amore, se non quello che millantavano scrittori e poeti. E tutto perché non avevo granché esperienza in materia... aspiravo a insegnare altro nella vita. Le questioni di cuore le avrei lasciate volentieri da parte se ti riducevano a uno straccio.

«Incoerente», sbuffò Serafina, mentre Micol la richiamava in silenzio con un altro sguardo severo.

«Sono discorsi delicati tesoro, devi trovare da sola la tua risposta», suggerì lei, sedendosi dall’altro lato del divano, usando il tono più dolce di cui fosse capace: «Solo tu conosci il tuo fidanzato meglio di chiunque altro, e solo tu puoi decidere della tua felicità. La gente tende a dimenticarlo troppo spesso che si è padroni del proprio destino».

Nel guardarle, ascoltando i loro discorsi, mi chiesi se fosse vero. Era padrona della sua sorte o n’era schiava? E io, lo ero?  

«Io dico che ti serve una notte di pura follia per smettere di piangere», proruppe Fifì, attirando l’attenzione di tutte noi: «Una serata al Bianco è quello che ti ci vuole, e soprattutto, è quello che ci vuole a me dopo aver sopportato questo piagnisteo per una scemenza», borbottò, indispettita con tutte e tre.

Al suono di tale commento, percepii la peluria rizzarsi dietro il collo. Il night club più in voga in città... Oh no.

Detestavo i posti molto affollati. Stare in compagnia di una moltitudine di bambini era facile, loro erano semplici; ma con gli adulti diventava inesorabilmente tutto più complicato e difficile.

«E come pensi di entrare senza prenotazione? Per quel locale, che è anche uno strip club, ci vogliono almeno due mesi di anticipo. Lo sai benissimo che è molto gettonato», le ricordò con severità Micky, incrociando le braccia al petto e fissandola piccata.

«Nulla di più facile. Ci imbuchiamo», scrollò le spalle lei: «Uno dei buttafuori all’entrata del Bianco è, guarda il caso, un tizio che mi deve un favore...», ammicò compiaciuta.

Ebbe su di me lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. Presi un bel respiro, puntando lo sguardo a terra per meditare qualcosa di concreto da obbiettare. Anche se ero una ragazza abbastanza allegra e solare, non prediligevo i locali nottambuli: «Ragazze non so se sia il caso...», incominciai con timidezza.

«Facciamolo.», mi interuppe d’impeto la mia amica: «Voglio annegare i miei dispiaceri nell'alcol, e lo voglio fare stanotte».

Ah.

«È in questo modo che si diventa alcolisti», puntualizzò mia sorella, raccogliendo i cadaveri di moccio da terra.

L’aiutai mogia, buttandoli nella spazzatura.

«Guastafeste. È soltanto per una serata, che sarà mai? Siamo tutte più che ventenni e vaccinate! E poi sono mesi che non usciamo tutte e quattro insieme, insomma», proseguì Fifì, battendo nervosamente il tacco di dieci centimetri a terra. Indossava décolleté di marca, perché per lei lo stile era più importante della comodità.

In cuor mio sperai che Micky insistesse sul non andare, trovando una qualsiasi scusa che io in quel momento non riuscivo a pronunciare, e optare per un’altra alternativa - meno affollata, rumorosa, e impegnativa. Ti prego, ti prego, ti prego...

Inginocchiata sulla pavimentazione in marmo, alzai il capo verso di loro, in attesa del dissenso di mia sorella. Se lei proclamava no, era no.

Quel dissenso non arrivò mai e io non ebbi il coraggio di obbiettare di nuovo.

Maledetta timidezza.

*Angolino dell'Autrice*

Se ancora non ci conosciamo, piacere io sono Emma, altrimenti Bella a tutte, come andiamo? Chi di voi non sa dire di no? XD

Non sono molto convinta di questo capitolo, Edith non mi piace particolarmente. Voi cosa ne pensate a riguardo?

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