Capitolo 25

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EVA

Mi domandavo spesso se fossi stata o meno una comparsa nella vita degli altri o semplicemente un'ombra di scena. Le persone si ricordavano di me quando mi passavano oltre od ero solo di passaggio? Valevo la pena di essere scolpita nella memoria di qualcuno e viverci? Io non rimembravo quasi nessuno, sarebbe stato un desiderio egoistico pretendere in silenzio che al contrario gli altri mi ricordassero? La gente andava e veniva, fuori e dentro la mia vita, con la stessa fluidità delle onde del mare. Situazioni e avvenimenti, tutti simili fra loro, con protagonisti dalle facce diverse, ma mai abbastanza da definirli, che si ripetevano in un costante loop, alla stregua dell'acqua salata che bagnava incessantemente la spiaggia, un cavallone dopo l'altro. Le cotte momentanee di Dante, volti che ormai si confondevano fra loro, duravano qualche giorno, massimo una settimana, e quando lo lasciavano - o lui lasciava loro per scarso interesse - tornava tutto come prima, proprio come l'oceano che si infrangeva e si rimodellava ad ogni ondata... ma non questa volta. Edith non era e non sarebbe mai stata mera spuma marina, impalpabile e anonimo fantasma di salsedine. Per lui, lei era e sarebbe stato l'orizzonte che si agognava raggiungere in un giorno d'estate.

Il ragazzo italo-cileno scagliò il cellulare contro la parete, alle mie spalle, a meno di un metro di distanza da me, in un impeto di collera. Erano trascorsi tre giorni da quando l'ingenua maestrina aveva chiuso ogni rapporto con lui, ignorandolo in ogni modo possibile. E forse la colpa era anche mia...

Il sole del tardo mattino di fine Marzo, filtrava dalla finestra della spaziosa cucina dei due proprietari, ma questa non era affatto una buona giornata... Dante non sembrava più in sé, colto da crisi isteriche e di rabbia. A stento mangiava e a malapena riposava. Non lo avevo mai visto in quello stato; ma conoscevo la natura di quel malessere. Il desiderio di spaccare tutto, glielo leggevo in faccia. Gli occhi lucidi, venati di risentimento, e i denti grignanti. L'abbandono di una persona a cui teneva particolarmente non lo tollerava. Ne aveva paura. D'altronde come biasimarlo?

«Mi amor, smettila! Così ti fai solo del male...». Era da tre giorni che continuava respingermi e l'ennesimo silenzio di Edith aveva scatenato un altro impeto di frustrazione. Sapevo che soffriva...

Le donne - e diversi uomini - lo guardavano con bramosia e lo mangiavano con gli occhi, mutando in vogliose creature di cupidigia e lussuria, ma della carne, non dell'anima. «E a chi importerebbe?! Fissami e fallo bene. Per un motivo o per un altro, alla fine mi abbandonano tutti...». Vendersi per cifre esorbitanti ed essere bello e dannato aveva il suo alto prezzo.

«Io sono qui. Sono ancora qui...» provai a fare un passo in avanti, le lacrime agli occhi mi rendevano la vista sfocata.

«Tu non sei abbastanza.» mormorò rassegnato, mentre una goccia silenziosa gli solcava lo zigomo bronzeo.

Affermare che le sue parole non mi ferirono nel profondo, sarebbe stata una bugia, ma ingoiai il groppo in gola e continuai: «Anche... Anche Raissa e Fabian sono ancora al tuo fianco. Chi se ne frega se lei non ti vuole. Ti vogliamo noi.».

Ti voglio io.

«Ho bisogno di tornare in terapia...» sussurrò soltanto, accasciandosi contro il muro, accanto a me e scivolando al suolo, sedendosi sul pavimento. Lo riteneva migliore delle sedie. Il suo sguardo era perso nel vuoto, lontano da quel luogo che si ostinava a chiamare casa - ma che di fatto non lo era -, la mente ottenebrata dalla tristezza e l'espressione affranta di chi ha perso la speranza.

La maestrina possedeva un controllo tanto vasto su di lui, che ne fui gelosa. L'impatto di una conoscenza tanto effimera poteva contaminarti fin dentro le ossa. Mi accomodai anch'io, inginocchiandomi difronte al giovane spogliarellista, e risentita da quelle elucubrazioni deprimenti. Io volevo solo essere l'unica. Con cautela lo strinsi al mio seno. In momenti come questi, donare conforto aiutava più di ogni altra cosa. E infatti funzionò.

Eravamo due giovani tizzoni ardenti pronti a bruciare, dandoci in pasto alle fiamme.

Dante cominciò a baciarmi il collo, scoperto dal maglioncino sottile, ed esplorare il mio seno con le mani. Il sesso era il linguaggio con cui comunicava meglio e se per farmi capire avrei dovuto parlare la sua stessa lingua, l'avrei fatto ben volentieri.

Gli presi il volto fra le mani e lo baciai, imprimendo emozioni che non avrei mai saputo spiegargli a parole, consumandomi fra le fiamme di sentimenti e sensazioni viscerali. Il mio amato prese vita sotto il mio tocco, assecondando le mie carezze e spogliandosi della tuta che indossava. Aveva già intuito le mie intenzioni e lo imitai in tutta fretta. Colta dal bisogno di sentire il suo corpo nudo cingere il mio, lo stesi sulle pistrelle fredde della cucina. Mi guidò sopra di lui dopo che ebbi recuperato un preservativo dalla tasca dei pantaloni, montandogli sopra. Lui era già pronto, scottava sotto il mio tocco, mentre percorrevo con le mani il torace sodo e gli addominali scolpiti. Lo divorai di baci e leccai ogni centimetro di pelle esposta, nutrendomi del suo sapore, della sua collera e della sua rabbia. Ben presto i nostri ruoli si capovolsero, trovandomi sovrastata da quel fisico asciutto e tonico. Divaricò le mie cosce senza alcun preliminare e mi penetrò per tutta la lunghezza del suo membro. Ogni spinta divenne sempre più irruenta e brutale, affondando il naso nell'incavo del mio collo e arpionando saldamente il mio bacino, come se fosse stato uno scoglio in balia di una tespesta mentre lui, un naufrago che voleva salvarsi. Gemetti ad ogni colpo, al punto di urlare il suo nome, stringendolo a me con braccia e gambe. Gli offrii in dono tutto il mio corpo e l'amore di cui aveva bisogno in quel momento. Mi sarei servita su un piatto d'argento fino al punto da dimenticare ogni dolore e sofferenza patita. Fino a scordarsi di lei. Edith.

*Angolino dell'Autrice*

Ve l'avevo detto... Da qui in poi andrà sempre peggio.

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