Capitolo 31

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EDITH

«Tesoro, tesoro, stai bene? Parla con me piccola Ida

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«Tesoro, tesoro, stai bene? Parla con me piccola Ida.».

Quand'ero bambina, e incominciavo ad apprendere l'arte oratoria delle sillabe, non riuscivo a pronunciare il mio nome e lo storpiavo in Ida. D'allora fu questo il mio soprannome in famiglia. Il significato in anglosassone era quello di "donna guerriera". Che ironia...

La voce di nostra madre era rassicurante, quasi analgesica. Persino ascoltarla a vent'anni comminava un senso di quiete interiore, alleviando la sofferenza patita. Impugnavo il cellulare di Micky, con una forza tale, da sbiancare le nocche e ferire i polpastrelli. «Mamma...» mugugnai fra le lacrime, mentre Micol mi accarezzava i lunghi capelli, sciolti sulle spalle. La sensazione fuorviante di calma, non era altro se non il profondo vuoto che attanagliava la bocca dello stomaco, riverberando lo sconforto costante.

«Cosa succede? Tesoro... Parla.» il tono preoccupato di Bianca, la mamma, riprese assiduamente a inondare la cornetta.

I singhiozzi capitolarono a cascata dalla mia bocca. «Ho sbagliato tutto, mamma. Ho sbagliato tutto... Non volevo che finisse in questo modo. Non volevo ferirlo a tal punto.» piansi, lamentandomi.

«Finire cosa? Ferire chi? Piccola Ida, spiegami.» insistette lei. Il tono altisonante che si propagava per la stanza.

La mia camera era rimasta ferma nel tempo, appartenuta ad una me infantile di dieci anni, dalle pareti azzurro pastello e il letto a castello - sul quale riposavo ancora da ben undici anni -.

«Io... Io lo amo, ma...» tirai su col naso: «Lui non ama me...» conclusi con rammarico, tirando su col naso. L'effetto benefico della Tachipirina cominciava a dare i suoi frutti.

«Oh no, Tesoro... Hai subito una delusione d'amore. Anselmo, presto corri. Edith, sta male. Qualcuno le ha spezzato il cuore...» udì dall'altra parte del cellulare.

Anselmo Costanza, nostro padre, era un uomo calmo e pacato. Altruista con chiunque. «Come?!». Il suono della sua voce mi ridusse di nuovo in lacrime.

«Papà...» anelai, affaticata dal pianto che percuoteva il mio corpo.

Avrei voluto raccontare loro ogni cosa, ogni dettaglio e particolare che impreziosiva il suo ricordo. Su come mi sentissi, afflitta dal rimorso, e su ciò ch'era accaduto; ma non volevo scaricare su di loro le mie ansie e le restanti paranoie, procurando loro del dolore. Così le tenni segrete e lasciai che facessero del male a me.

***

Quel pianto isterico fu liberatorio, perché dormii per tutto il pomeriggio, fino a sera inoltrata. Fu la suoneria del mio cellulare a destarmi. Racchiusa in un bozzolo di coperte e lenzuola, allungai un braccio da sotto le coltre di tessuti pesanti e risposi con un bisbiglio assonnato: «Pronto.». Per un attimo, sperai che fosse Dante.

«Come stai, dormigliona? Ho saputo che hai l'influenza.». Non era lui.

«Ciao Manfredi. Sì, infatti, ma sto già meglio...» mentii. Mi veniva da piangere per la delusione e il mio interlocutore colse subito la mia menzogna.

«È successo qualcosa di grave?» si preoccupò.

«No...» singhiozzai. «Nulla.».

«Sciocchina, lo sai che puoi discutere di qualsiasi cosa con me. Raccontami cosa ti affligge, magari posso aiutarti» mi rincuorò con dolcezza.

«Fredy, sei mai stato innamorato?» gli chiesi di getto, cancellando le lacrime col dorso dell'altra mano.

«Problemi di cuore, eh... Sì, ricordo anche di chi e quando. In terza liceo, Lisa Aldin mi sorrise, seduta nel banco davanti al mio, e il mondo sembrò un posto migliore.». Intuii un sorriso.

«E come...» mi schiarii la voce: «Come ti è passato?».

«In che senso, Edith? L'amore non passa. Non è mica un treno. L'amore nasce e muore con te.» mi specificò.

Ragionai sull'ultima affermazione udita prima di rivolgermi nuovamente al mio amico in linea: «Secondo te ci si può innamorare di una persona che non conosci abbastanza, della quale frequenta persone e ambienti nettamente diversi dai tuoi?».

«Ti ho mai narrato che Dante Alighieri ebbe una crisi esistenziale alla morte di Beatrice? Una sconosciuta che incontrò tre volte nell'arco della sua vita. Le dedicò Vita Nova e Paradiso, ma questo già lo sai. Io non sono il più afferrato in materia, ma so che ci si può innamorare di chiunque, dolcezza. Non esiste legge o teorema a riguardo...» enunciò da bravo maestro qual era.

Sorrisi di quelle affermazioni. Aveva ragione: «È un bel nome, non trovi?».

«Quale?» chiese con sincero interesse.

«Dante... È proprio un bel nome.» affermai osservando il plenilunio fuori dalla mia finestra. Quella notte, ella abbagliava più delle stelle, oscurandole col suo pallore. Quante persone, pianeti e costellazioni, aveva affascinato con le sue varie facce? Ogni giorno, un altro volto. La luna, in fondo, era una bugiarda. Prometteva attenzioni che solo uno agognava... Concubina degli astri celesti, dei poeti, del Sole e della Terra. La luna non ero io, ma lui.

 La luna non ero io, ma lui

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