Capitolo 28

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EDITH

Il dolore assumeva forme diverse e si manifesta nella cruda essenza, oscurando qualsiasi gioia terrena

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Il dolore assumeva forme diverse e si manifesta nella cruda essenza, oscurando qualsiasi gioia terrena. Il mondo parve perdere lucentezza e le tonalità sgargianti e accese, che possedeva, si spensero in un'infinità di grigi indefiniti, annacquando in una triste sfumatura bruna. In quel momento speravo solo che il pavimento mi inghiottisse. Pensieri taglienti quanto lame di cristallo, che dissezionavano le membra, tartassavano il mio cervello. Non credevo esistesse una sofferenza simile; capace di smebrarti pezzo per pezzo malgrado sembrassi tutta intera. Avevo perso il conto delle parti di me che si stava portando via.

“Non mi interessa.”, “Abbiamo chiuso. L'hai voluto tu.”, “Ogni azione ha una una consulenza...”.

Ogni frase, una condanna. Macigni che mi crollavano addosso, uno dopo l'altro, come massi di un muro invalicabile.

Aveva ragione.

È colpa mia. Hai visto quello che hai fatto? Lui meritava di meglio mentre io, io meritavo questo.

Non avevo mai riflettuto sul fatto che le nostre scelte o le nostre indecisioni possono contribuire a far del male a qualcuno. Un dolore, anche se involontario, faceva comunque male. E nessuno era costretto a perdonarti, dopo. Una lacrima mi solcò la guancia sinistra, delineando la gota arrossata e che percepivo andarmi a fuoco. Forse avevo la febbre; non ne sarei stata stupita da com'ero sopravvissuta al giorno prima... E mi sentivo debole, priva di forze per alzarmi e tornare a casa.

La luce artificiale dei lampioni filtrava dalle vetrate opacizzate della porta antipanico, proiettando una luminescenza tenue nel buio corridoio, spazio appartato e solitario. Piangere non aveva fatto altro che svutarmi di ogni forza ed energia. Provai a raggiungere il maniglione rosso, per prendere qualche boccata d'aria fresca, ma non riuscivo a reggermi in piedi. Avevo un calo di zuccheri improvviso e la febbre alta. Una pessima combinazione. Non ebbi memoria di quanto rimasi lì, seduta sulle piastrelle fredde del lungo corridoio sul retro. Minuti? Ore? Giorni? Mi svegliai di soprassalto - avevo preso sonno all'improvviso? - in un letto che non era il mio, in una tarda mattinata di pioggia... E fra le braccia di Dante.

Sgranai gli occhi, trovandomelo addosso a riposare pacifico. Oltre ad essere entrambi seminudi, avvolti dal piumino invernale, il fatto che avesse il viso affossato in mezzo al mio seno sfiorò elucubrazioni indecenti, spaventandomi. Cosa accidenti era accaduto?!

Avevamo litigato. Lui se n'era andato e poi...

Un mal di testa colossale parve volermi aprire il cranio in due, rintronandomi completamente. In altre circostanze, sarei morta dalla vergogna, respingendolo all'istante, ma in quel momento non mi sentivo in me. L'influenza faceva uno strano effetto. Avevo sonno... ed ero stanca. L'unica cosa che avrei voluto fare era quella di dormire. Il ticchettio della pioggia sul vetro della finestra era rilassante, ma il chiarore diffuso che ne permeava la superficie, per niente.

Stripper Love | Parte 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora