Capitolo 23

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DANTE

“La peggiore delle colpe sarà
sempre e soltanto svalutare
i sentimenti altrui.”

“Sappia, quando si subisce un trauma, e si rimane profondamente turbati da ciò, le conseguenze che ne derivano, si percuotono e si amplificano sul soggetto traumatizzato - su di lei, quindi -, proiettandolo in un futuro deviato

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“Sappia, quando si subisce un trauma, e si rimane profondamente turbati da ciò, le conseguenze che ne derivano, si percuotono e si amplificano sul soggetto traumatizzato - su di lei, quindi -, proiettandolo in un futuro deviato. Infatti, una telefonata conclusasi in maniera tragica, può lasciare una ferita aperta per anni se non sarà cicatrizzata - figurativamente parlando - a dovere in terapia, lasciando credere, ogni volta, che il dramma sia dietro l'angolo...”

Il fatto era che tutta la mia esistenza roteava e si plasmava su tragedie continue. Come se fossi stato il triste personaggio di una sadica scrittrice. Un burattino dotato di coscienza, gioco di un crudele destino.

Le parole analitiche del Dottor Fitzgerald, un uomo sulla sessantina di origini svizzere, mi ossessionavano spesso nei momenti più critici, ricordandomi gli sbagli commessi, malgrado non fossi più in cura da lui. Anche se, da come avevo reagito male all'essenza di chiamate della mia dolce bimba, avrei dovuto tornarci.

E di corsa...

In fondo, il mio psicologo privato aveva ragione; non potevo risolvere i miei problemi col sesso... Anche se ci mettevo amore nel farlo, questo non era di per sé garanzia di felicità. La mia vita era costellata di drammi irrisolti, ma prima o poi avrei dovuto affrontarli. Dopotutto ero una prostituta, non un codardo.

Sospirai e chiusi gli occhi, cullato dalla quiete mattutina. Accarezzai distrattamente, utilizzando le punte delle dita, con gesti pigri e controllati i lunghi e soffici capelli di Edith. Erano una criniera selvaggia e indomabile di seta bruna lucente, alla fragranza di cocco e fragole - probabilmente utilizzava diversi bagnoschiuma -. Il capo appoggiato sul mio torace, entrambi distesi su un materassino blu, impolverato ed usurato, rinchiusi in uno sgabuzzino colmo di cianfrusaglie e quisquilie, a fissare un soffitto crepato e scrostato. C'era una piccola finestrella, dal vetro opacizzato, da cui filtrava la luce soffusa del giorno e i rumori urbani, attutiti dalle mura in pietra. Mi crogiolai in quell'attimo, importandomi ben poco di chi fossi e cosa mi attendesse fuori dalla porta di quel piccolo sgabuzzino.

Sbadigliai. Non era la prima volta che facevo after tutta la notte e restavo sveglio le ventiquattro ore successive, ma lei riusciva ad calmare i bollenti spiriti e, allo stesso tempo, eccitarmi pur tuttavia senza spogliarsi. Assurdo.

Edith, s'era accostata alla parete, indietreggiando dinnanzi alla mia figura mentre io, al contrario, mi pregustavo la perversione che sarebbe avvenuta di lì a poco. Una scia di baci bollenti dal collo, al seno, fino a raggiungere l'ombelico e da lì, sfiorarle il monte di Venere, con la lingua, da sopra le culotte.

Arricciai la bocca in un sorriso divertito. Non avevo mai visto mutande simili, bianche, addosso ad una ragazza di vent'anni. La bella maestrina era singolare. Parve essere di carta velina, quasi eterea e onirica. Non sembrava una persona vera come tutti gli altri, quanto la rappresentazione fisica di una dolce fantasia. Richiamai alla mente il sapore delle sue labbra. Era accostata a me e già mi mancava.

L'avevo palpeggiata senza riguardo, come un novellino alle prime armi. Avevo saggiato la pelle con cupidigia, dissetandomi del suo profumo.

Col braccio libero, mi portai una mano alle labbra, sfregandoci sopra l'indice. Avevo assaporato per la prima volta la  sua vulva... e adesso n'ero dipendente. Ammettevo che quelle mutandine sapevano il fatto loro.

Madre De Dios.

«Dante... Stai dormendo?» ascoltai il tono leggero e tenorile di una bambina; ma com'era possibile che volessi farci l'amore con una voce?! Era miele impastato. Un orgasmo uditivo. Ambrosia invisibile. Accennai un sorriso e schiusi l'occhio sinistro, guardandola compiaciuto. Infine scossi il capo, mentre lei arrossiva sempre di più.

Rimasi sospeso nel tempo, ad ammirare come il roseo incarnato stonasse con l'armonia di blu e grigi delle iridi argentee. Luce cristallina e trasparente.

«In questo momento sono in Paradiso.» ammiccai. Era tutto perfetto nella sua imperfezione.

Lei ricambiò il sorriso, dimenticandosi del dispiacere patito: «Per te, questo è il Paradiso?».

«Per te, no? Un piccolo angolo di mondo, dove siamo solamente tu ed io, dedicandoci alle grazie l'uno dall'altra. Se non è questo l'Eden, allora non saprei cosa possa esserlo.» affermai. Mi puntellai sui gomiti, sollevandomi di poco: «Ceni con me, stasera?» le chiesi ancora una volta, mentre il suo indice vagabondava fra le colline dei miei addominali scoperti e con particolare interesse. Ero così preso da lei, da essermi dimenticato di riabbottonare la camicia da sera.

Non che volessi farlo proprio adesso...

Il suo sguardo si animò di nuovi luccichii: «Stasera?» domandò con affermazione.

Annuii, sempre più entusiasta: «Sì, ho le prove di coreografia con i ragazzi nel pomeriggio, ma stasera il Bianco rimarrà chiuso.». Avvicinai il mio viso al suo.

Quei luccichii si smorzarono all'improvviso: «Non hai altri impegni?».

Confuso dal quel quesito, mi accigliai, accomodandomi fiaccamente: «Che intendi?».

«Nulla, io... Non importa.». Inclinò la testa verso il basso e una cortina di ciocche scure le oscurò lo sguardo. Tutta quella contentezza provata, si dissolse come polvere al vento. E adesso cosa diavolo era successo?!

«Edith, dimmi.» marcai in tono serio, fissandola in maniera decisa.

«N-Non devi vedere altre persone?» mormò piano, afflitta e senza osservarmi.

Stranito e frastornato, le risposi con ovvietà: «Sì, con gli altri spogliarellisti. Te l'ho detto.».

Dov'era il problema?

La vidi scuotere il capo: «Non mi stavo riferendo a loro.».

Corrugai le sopracciglia vagamente irritato: «E a chi ti riferivi, sentiamo.».

«Lascia perdere, va bene?». Voleva chiudere l'argomento senza darmi alcuna spiegazione?

No! Non andava bene affatto.

Edith voleva chiudersi nel suo mutismo, ma io ero fatto di chiarimenti: «No, non lascio perdere. Perché ti ostini a chiedere, allora?! Ti compiaci nel mettermi in difficoltà, forse?? Che cosa vuoi da me di preciso, Edith?» insistetti, agitandomi sul posto su cui ero seduto. «Dimmi, cosa vuoi.» ripetei con tono fermo.

Lei si rannicchiò, diventando piccola piccola, come se si fosse pentita di aver aperto bocca: «I-Io... Io vorrei...» balbettò, ma non riuscì ad aggiungere altro che, ad un tratto, la porta della piccola stanzetta si aprì di colpo.

Chuca.

*Angolino dell'Autrice*

Bella Raga, come va? Indossate mutande provocanti?? No... aspettate, domanda stupida, non rispondete. Sono moooolto fusa.

Finalmente ho aggiornato e sono anche riuscita ad allungare (se pur di poco) questo capitolo rispetto a quello precedente, solo per farvi un po' contente (spero) <3

I prossimi aggiornamenti saranno più hot, ma sto provando nuove tecniche di narrazione, perché essere monotoni non mi è mai piaciuto, ma nel prossimo vi chiederò cosa ne penserete perché sia questo che quello dopo, sono collegati da questa "tecnica" :3

Su Instagram metterò le foto zozze: @ autricenotturna.

Stripper Love | Parte 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora