Capitolo 47

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DANTE

Preferisco essere amato che amare.

«E tu, chi sei sotto questa maschera a led?» miagolò in tono mellifluo un'amica di Cara. In una manciata di minuti eravamo stati accerchiati da pochi intimi, volti già visti, conoscenti della della pericolosa americana. La donna, sulla quarantina e travestita da gatta nera, odorava di profumi costosi e soldi. Molti soldi. Accomodata sul divanetto bianco, incollata al mio fianco sinistro, accarezzava pigramente le dune di carne esposte con le unghie finte dei guanti in pelle, solleticandomi l'incarnato. Gesti lenti e pigri, controllati e cadenzati, esplorativi di tutto il basso ventre, come quando si accarezza il gatto di qualcun'altro. Inarcai un sopracciglio, interessato alle sue intenzioni.

E non ho intenzione di chiedere scusa a nessuno per questo.

La musica in sottofondo e l'oscurità, tagliata a intermittenza da piccoli lumi fucsia, mostrava scorci di realtà carnevalesca e burlesque, offrendo una variante nel completo anonimato e ad alto tasso erotico. Chi avrebbe mai voluto rinunciare al lusso perverso di un posto tanto eccelso ed esclusivo?

Elida aveva pur spezzato il mio cuore, ma in cambio di questo, ottenni ben altro. Ella scatenò il mio risveglio, svelandomi altre opportunità che non avrei mai preso in considerazione, altrimenti. Tra cui: «Quien tu quieras, Dulzura.» le sussurrai all'orecchio, mentre infilava - con discrezione - una mazzetta da cento nella tasca laterale dei bermuda. Fra chiacchere a mezza voce e brusii a malapena udibili, il nostro "allegro" gruppetto si amalgamava al pubblico presente. Sconosciuti loquaci fra gli altri bizzarri ospiti.

Chiunque tu voglia, Dolcezza.

«Adoro la tua parlantina latina.» ridacchiò, offrendomi un bicchiere di prosecco pregiato; uno di quelli derivati dai colli di Conegliano, patrimonio dell'unesco, e una pasticca colorata. Ecstasy, una droga sintetica che agiva come stimolante e allucinogeno, aumentando l'energia e il piacere delle esperienze tattili. Ne ammirai il piccolo disegno inciso, incuriosito, accigliandomi nell'identificarlo. Un sole stilizzato. Scostai di poco la maschera: «Te gusta escuchar español?» le chiesi, tirando fuori infine la lingua, e lasciando che depositasse la pillola sulla punta.

Ti piace ascoltare lo spagnolo?

Ritirai il tutto fra le fauci quando ne sentii la piccola forma compatta. Di solito non assumevo stupefacenti; non amavo perdere il controllo delle mie facoltà mentali in determinate situazioni, ma la dannata maestrina del cazzo sapeva rovistare nei meandri nascosti del mio cervello, abbandonare in subbuglio il mio cuore - quello che n'era rimasto - e riesumare ricordi che avrei preferito affogare nell'alcol. Il tutto senza chiedere permesso...
«Me gusta.» sorrise lei, increspando le guance e brindando con una certa euforia.

Tantomeno a te, Edith.

Ricambiai con lo stesso entusiasmo, fingendo un'emozione che non provavo, e sforzandomi di apparire il più rilassato possibile. Cara Joels, travestita da diavoletta rossa, l'attendeva con impazienza, intanto che il suo accompagnatore la distraeva con qualche stuzzichino locale. Il suo sguardo di giada, cerchiato di nero e rosso, tradiva una certa impazienza. La stessa che apparteneva anche a me, nervoso all'idea di vederla frequentare l'ambiente in veste notturna. Un luogo a cui non apparteneva. Avrebbe spiccato sugli altri quanto una stella nella notte, splendendo nel buio del cielo e conquistando gli sguardi di tutti gli altri, in ombra; perché lei non aveva alcun lato oscuro. Proprio come il sole.

All'improvviso una piccola figura attirò la mia attenzione. Accadde nello stesso modo in cui la invontrai la prima sera... Non servì ascoltare la sua voce, intuii all'istante chi fosse. Calamitati l'uno verso l'altra, ci saremmo sempre trovati. Avanzò fra noi con una solennità che sfiorava l'inquietudine, e quando fu abbastanza vicina, da poter afferrare la maschera che indossavo e portarsela al volto, celando l'espressione stravolta e lacrimosa che solo io sembrai aver notato, si ritirò nella penombra della sala. Spiazzato dal suo intervento, o probabilmente dal travestimento scelto, udii a malapena la donna accanto a me: «E quella chi era?».

«Finalmente Sweety ci ha raggiunto.» la ignorò Cara, accennando una smorfia soddisfatta e adocchiando ancora la direzione in cui era sparita, scappando di nuovo. Senza indugiare oltre, sgusciai via dalle loro grinfie e la inseguii. La mia niña hermosa, travestitasi da angelo, era fuggita per lasciarsi rincorrere.

Fu facile scovarla. Si lasciò trovare ai margini della stanza, accostata alla parete: la maschera come scudo e le mani dietro la schiena, ancorate al muro. Le spalle nude le tremavano, ma solo per soffocare i singhiozzi che le squassavano il corpo. Piangeva. «Volevi giocare. Bene, stiamo giocando.» mi fermai ad una breve distanza, imperscrutabile.

La figura angelica ebbe un sussulto: «Ti piaceva... mentre quella donna ti toccava?» esalò a fatica, trattenendo il respiro.

«Sì.» affermai, spudoratamente sincero. La ferrii con la verità; perché essa non era mai gentile.

«Allora quale sarebbe la differenza tra le altre e me?!» singhiozzò, chiedendo un'altra risposta sincera.

«Edith...» la redarguii, accostandomi ulteriormente a lei per non dare spettacolo.

«Dimmelo!» sbottò, attirando l'attenzione di qualche sconosciuto.

«Perché con te c'è di più, va bene?!» proruppi con irruenza, stanco di doverle spiegare l'ovvio. Sospirai, mentre lei scostava via la mia maschera dal volto. «Con te c'è sempre stato di più... Non ho mai confessato a nessuno di Elida, malgrado ciò, non ho intenzione di farmi incastrare una seconda volta.».

Edith mi accarezzò una guancia, un tocco totalmente diverso da qualsiasi altra persona mi avesse mai toccato. «Io non ti rifiuterei...» sussurrò con dolcezza.

«Mpf... Lo farei io al tuo posto.» mi scostai dal tocco. «Questo mondo mi piace. E mi piace molto. Mi fa sentire vivo, vero e concreto.» enunciai, mostrandole una panoramica generale del luogo, per poi tornare a fissarla: «Tu sembri un bel sogno, Edith, ma nient'altro che questo. Un'onirica forma, troppo dolce e pura per avere sostanza.».

«Davvero non lo faresti?» mi domandò, tornando ad accarezzarmi il viso. Mi aggrappai a quella carezza. «La nostra prima sera insieme, hai confessato che sedurre un uomo era facile...» ricordò con un fil di voce.

«Se l'uomo sono io e la donna, tu, è molto semplice.» mormorai.

«Bugiardo.». Una lacrima solitaria le solcò la gota sinistra.

Gliela asciugai con l'indice destro: «Non mentivo. Se mi chiedessi di inginocchiarmi e gattonare sul pavimento, lo farei.» confermai. «Per te lo farei.».

«Non pretendo di vederti in ginocchio... Non ti chiederei nulla in cambio. Voglio solo che tu scelga me.» mi svelò, infine.

Era la seconda volta in una notte che mi spiazzava. «Edith, io...».

«Allora, cominciamo Ispanico?» piombò Cara Joels, comparendo fra i veli oscuri di Wellcum.

Puta Mierda.

*Angolino dell'Autrice*

DAL PROSSIMO CAPITOLO PARTIRÀ IL CONTO ALLA ROVESCIA PER LA CONCLUSIONE DELLA PRIMA PARTE.

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