Capitolo 42

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DANTE

La notte cuciva tenebre e ombre in un unico tessuto, unendole in una vasta tela cupa e priva d’ogni bagliore

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La notte cuciva tenebre e ombre in un unico tessuto, unendole in una vasta tela cupa e priva d’ogni bagliore. In me calò il sole e nubi di tempesta costellarono il mio cielo. Persino l'atmosfera, satura di emozioni contrastanti, parve raggelarsi, soffiando su di noi il suo gelido fiato...

Non voglio proprio un bel niente da te, maestrina del cazzo. Se non lo è, quella è la porta.

Ersi di nuovo un muro fra lei e me. Un muro fortificato di mutismo e accuse, in modo tale che mi proteggesse il cuore e persino gli ultimi brandelli d'anima rimasti, ancorati alle membra come tristi fiori, germogliati in inverno. D'altronde perché avrei dovuto affidarmi ad una ragazzina inesperta? Troppo spesso ero stato  l'alternativa, l'ultima opzione, e mai la prima scelta. Adesso non più. Adesso che conoscevo l'animo umano delle donne, e persino degli uomini, non lasciavo avvicinare nessuno... Avevo appreso l'arte della seduzione, padroneggiandola come se mi fosse sempre appartenuta. Affascinavo chiunque incontrassi perché non mi nascondevo dietro un dito. Orgoglioso e individualista, pensavo prima al mio bene che quello altrui, preferendomi a tutti gli altri. La mia filosofia esistenziale si basava sulla chiarezza e sulla semplicità: Se le persone mi volevano nella loro vita - alle mie condizioni -, bene, altrimenti estranei come prima e bene lo stesso. Non avevo bisogno di altre delusioni, inutili complicazioni, drammi o nuovi traumi da risolvere...

E allora perché non vedeva gli sforzi che compivo per lei?

Edith, fulgida creatura luminescente, un’essere fragile per i miei capricci, credeva nel “Per sempre”, i lieto fine e nella bontà del prossimo. Tutti ideali stereotipati e fasulli, confezionati nelle fiabe della buonanotte dei bambini, mascherando il loro veleno, distillato di bugie e inganno, ingabbiando gli individui che ancora ci speravano. Ideali nocivi, putridi di falso, una grossa menzogna travestita di verità. E tutto questo per cosa? Per il vero amore.

Il vero amore non era altro che un'enorme fregatura, una cazzata colossale, l'illusione utopica a cui tutti abboccavano. Qué guea*

La piccola maestrina, accartocciata su sé stessa, mi fissava con occhi sbarrati, colmi di lacrime non versate e aspettative infrante, mentre il suo viso svelava una delicatezza perpetua, pronto a spaccarsi al minimo singhiozzo. I capelli disfatti e le lenzuola immacolate le conferivano un aspetto dannato. Un angelo che aveva assaggiato il peccato per la prima volta. Non provai alcuna gioia, né dispiacere per lei, immolato all'irascibilità del momento. Ad un tratto bussarono alla porta, interrompendo la nostra litigata. «E adesso chi cazzo è?!» sbottai contro il misterioso individuo chiuso fuori.

«Ehm... Dan... Volevo dire Ispanico, sono io, Ken. Sono giunto ad avvisarti e avvertirti che lei è arrivata. Vuole cenare con noi. Ora.» proclamò Liam, l'americano, improvvisamente intimidito dal mio tono di voce.

Sbuffai, sgonfiando il malumore che mi animava e imporporava la faccia, percependo all'improvviso un grosso peso sulle spalle. Odiavo mostrarmi in questo modo, ma nessuno si dimostrava mai all'altezza delle mie aspettative: «Arrivo. Mi preparo e scendo.».

«Vuole incontrare anche Edith e...» aggiunse appena, continuano ad argomentare parole che non ascoltai. Provai un brivido lungo la schiena quando l'immagine di lei si palesò nella mia mente difronte alla niña.

Che. Cosa?!

Edith ed io sussultammo all'unisono, ma non le rivolsi l'attenzione o le spiegazioni che le spettarono di diritto. In quel momento, assorbito da quell'unica frase, mi precipitai alla porta, agitato e nervoso, spalancandola con forza: «Ripeti ciò che hai detto?!».

«V-Vuole anche Edith al tavolo.» farfugliò un poco Ken, indicando il lungo corridoio che conduceva al piano inferiore.

Assottigliai lo sguardo sul mio interlocutore dopo un breve attimo di sbigottimento momentaneo: «E Cara Joels come sa della presenza di Edith, qui?!» chiesi sospettoso.

Ken fissò l'arredo circostante, vagando con occhi sfuggenti, tranne che me: «Ecco... Lei è arrivata proprio mentre Nico ed io prendevamo una boccata d'aria fresca e...». Lo interruppi bruscamente. Avevo già capito tutto...

«E vi siete sfogati con lei sugli argomenti discussi.» conclusi al posto suo. Lui annuì, abbassando il capo, ed io imprecai: «Mierda.».

«Dante... Dante, che succede? Chi è lei?» udii alle mie spalle. Il suono armonico della sua voce ebbe un effetto calmante, ma la sensazione durò un battito di ciglia. Edith si accostò all'entrata, nascondendosi in un punto cieco. Anche se coperta dal lenzuolo bianco, era sempre molto pudica e riservata.

Appresa la nuova notizia, dimenticai la nostra litigata, accantonando la discussione precedente. Presi un lungo respiro e rivolsi a lei il mio interesse: «Una donna che non volevo che rivedessi.» mormorai. La rabbia, adesso era incanalata tutta su Cara. Perché mi puniva in questo modo?!

«E cosa vuole da me?» domandò, frastornata e confusa, intimorita dalla situazione creatasi.

«Quello che vuole con tutti. Giocare al gatto e al topo, solo che stavolta è lei il felino tanto temuto ed io, il povero roditore in trappola. Tu... Sei tu la trappola per topi.».

*Cara Joels la donna del capitolo 18

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*Cara Joels la donna del capitolo 18

*Qué guea: ha un significato dispregiativo.

Stripper Love | Parte 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora