Capitolo 51

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DANTE

L’interno della bocca di Edith era torrida quanto l’Inferno

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L’interno della bocca di Edith era torrida quanto l’Inferno. Ed io lo conoscevo bene, l’Inferno. La parte sgradevole dell’emotività; quella goccia che traboccava dal vaso, guastandoti irrimediabilmente. Quando scoperchiavi e scoprivi la parte peggiore dei sentimenti, non eri più la stessa persona di prima. La tortura peggiore rimaneva quella psicologica, autoinflitta, non certo fisica. Eppure, in lei non vi trovai nulla di spiacevole o profano, anzi. La sensazione delle sue labbra rosee, che avvolgevano la cappella come il migliore dei guanti, mi mandava in estasi. E non perché fosse brava - non lo era affatto, in verità -, ma perché era lei a farlo. Fui costretto a sfilarmi la maschera a led fucsia dal volto, mentre percepivo la pelle scaldarsi, bruciare a causa di un fuoco interno, inestinguibile, e lambirmi le membra annacquate con la prepotenza di un incendio fuori portata. Nel vederla, immaginando cosa provasse, avevo già l'affanno e il cuore in gola. Strizzai le palpebre, buttando la testa indietro e spingendo quella di Edith più a fondo, librando nell'aria un gemito di piacere. Avevo pregato per questo, l’avevo desiderata dal primo sguardo, e continuavo ad agognarla nonostante l’avessi già avuta poche ore prima. Ogni mia fantasia erotica gli apparteneva, roteava attorno a lei, centro di tutto... e non riuscivo ad evitarlo. Le volte che precipitavamo nei nostri discorsi, perdendoci l’uno sulle labbra dell’altro, diventava inevitabile, collidere. Aggredirsi sino all’ultimo morso. Avrei voluto morderla... Imprimerle segni del mio passaggio sui sentieri dei suoi piccoli seni, prosperosi e vergini.

Colpa dei suoi occhi, mi dissi. Quello sguardo smarrito e timido, animato dall'interesse, fotteva il mio cervello come la migliore delle prostitut, notte e giorno. Persino adesso, intenta a leccarmi l’uccello, ero io l’oggetto della sua curiosità e non il contrario.

Che ironia. Erano sempre le iridi particolari delle donne a fregarmi; questo perché il gentil sesso, in realtà, sapeva esser spietato. Usufruiva di un potere che gli uomini non possedevano, men che meno io, e ne approfittavano, scorticandomi la carne. A poco a poco, pezzo per pezzo, si rubavano qualcosa di mio... e la niña, di questo passo, avrebbe posseduto gran parte di me.

Ritornai a fissare la figura angelica, china sul mio grembo, e devota a donarmi piacere, trovandola bellissima. Ondeggiava il capo per stuzzicare il mio appetito, leccando e succhiando come se fosse stato un lecca lecca. L'atteggiamento di una principiante, assaggiare al contrario di ingoiare per intero. Ne ammirai il profilo, accarezzandole i lunghi capelli sciolti. Non mi ero nemmeno reso conto di averci tuffato dentro la mano destra, in precedenza. Soffici nastri di seta bruna, impreziositi dai bagliori rosa e blu, appartenenti ai lumi bicolore del locale. Strattonai l'estremità della chioma, forzandola a smettere il fellatio e strappandole un mugugno addolorato. Anche lei respirava a fatica; il seno squassato dalle avide boccate di ossigeno, accaldata e imbarazzata dal modo in cui la scrutavo, spogliandola con gli occhi e immaginandola compiere su di me le perversioni peggiori. Aggrappata alla cintola dei bermuda, la diafana fanciulla, armata di guance arrossate e bava alla bocca, divenne l’unica visione che valse la pena del viaggio. «Montami in groppa.» le bisbigliai piano.

Lei annuì, docile e assecondando la mia richiesta. Le sorrisi compiaciuto, soprattutto quando ebbi i suoi glutei fra le mani, rotondità piene e sode, disposte alla mia merce. Tutto quello che non possedeva davanti, lo compensava dietro. Il culo a forma di cuore più bello che avessi mai visto: «Continua a guardarmi, mi niña hermosa, e non pensare a nient'altro che non sia scoparmi.» enunciai, guidandola sopra di me, e sistemandomi in mezzo alle sue cosce. Le pupille, dilatate, avevano divorato quasi tutto l'azzurro delle iridi, risparmiando un sottile cerchio ceruleo. Vi lessi un caotico tumulto  di emozioni contrastanti: paura, eccitazione, ansia, trepidazione... persino dell’amore, perdendomi in quelle voragini cupe. Non interruppi il contatto visivo finché non fu lei a farlo, mentre la vulva cedeva alla penetrazione.

Edith roteò gli occhi all'indietro, svelando il biancore dei bulbi oculari, attraverso le sclere, e inarcando la schiena, ansimando e gemendo, incapace di trattenersi. Non fui delicato, né romantico, deciso ad affondare dentro di lei fino in fondo, con colpi sicuri e ritmici, osservando come le gote si arrossassero ad ogni mia nuova spinta. Il suo godere, era il mio, ardendo di passioni e tormenti taciuti. «Non.. Non voglio credere di usarti per il mio piacere.» ansimò con fatica.

Incredibile come una sola singola frase rovinasse l'atmosfera creatasi. Voleva sul serio discuterne un’altra volta e soprattutto adesso?!

«È quello che sta accadendo, Edith... e può solo peggiorare. Ti avevo avvisata...» mormorai, in un impeto di fredda lucidità, innervosito dal commento inopportuno.

Pessimo tempismo, maestrina del cazzo.

Lo sguardo languido e libidinoso, contornato da folte e lunghe ciglia, sgranato contro di me: «Come?» esalò. Il respiro mozzato in gola.

EDITH

Il volto di Dante era lo specchio del mio: stravolto e allucinato

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Il volto di Dante era lo specchio del mio: stravolto e allucinato. Forse ciò che aveva assunto lui, cominciava a far effetto anche su di me. Era possibile? Percepivo le vene delle braccia bruciare, i polmoni ingabbiati nella cassa toracica, serrata, e poter compiere un respiro profondo. Il cuore, precipitato e liquefatto dai succhi gastrici. La laringe ringonfia, impedendomi in questo modo di parlare, e le ginocchia tremolanti. Accarezzai lo zigomo sinistro dell'avvenente spogliarellista, avvinta a lui, incapace di proseguire la conversazione. Alla fine compresi. Troppo tardi.

Una mano femminile, che non mi apparteneva, strattonò una ciocca corvina, tirandogli indietro la testa mentre un'altra gli ficcava due dita in bocca. Lui voltò il capo, senza smettere di fissarmi, succhiando l'indice e il medio della Gatta morta. Cara Joels si sedette al suo fianco e gli leccò avidamente la guancia destra, distogliendo la sua attenzione da me. Sentii un pugno allo stomaco, e la vista annebbiarsi. Mi venne da vomitare quando un'altra maschera si unì al perfido duo, toccandolo con avidità.

Basta!

Era troppo per me. Sotto l’effetto della sofferenza, e senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai a correre via, diretta nella stanza in cui avevamo condiviso il nostro segreto universo; ignara di chi mi stesse spiando nell'ombra. Lì, in un certo qual senso, percepivo d’essere al sicuro. Immune dal dolore e dal rimpianto.

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Stripper Love | Parte 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora